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                                  Narrativa
                                  Questa rubrica è aperta a 
                                chiunque voglia inviare testi in prosa inediti, 
                                purché rispettino i più elementari principi 
                                morali e di decenza... Frontiere di Massimo Acciai, 
                                  Noia di 
                                  Giuseppe Costantino Budetta, 
                                  Professione Euro 
                                  di Elisabetta Giancontieri, 
                                  Diario di 
                                  Vagabonda di Tiziana Iaccarino, 
                                  La Fata dai 
                                  capelli biondi di Cesare Lorefice e Luana 
                                  Milan, Follia di Alessandro Pellino, 
                                  I 
                                  viaggiatori d'Europa di Paolo Ragni, 
                                  Viaggio 
                                  in Inferno di Peter Robertson, 
                                  Starnazzatori 
                                  di Stefano Carlo Vecoli, 
                                  Trenta ottobre di 
                                  Anna Maria Volpini
 
Poesia italianaPoesia in lingua
                                Questa rubrica è aperta a chiunque voglia 
                                inviare testi poetici inediti, in lingua diversa 
                                dall'italiano, purché rispettino i più 
                                elementari principi morali e di decenza... poesie di Rossana D'Angelo, 
                                Lucia Dragotescu, 
                                Manuela Leahu, 
                                Anna Maria Volpini
Recensioni
                                  
                                  In questo numero:- "Vita di Ungaretti" di Walter Mauro, nota di 
                                  Enrico Pietrangeli
 - "Di chi è la luna?" di Massimo Acciai
 - "Un barlume di speranza" di Tiziana 
                                  Iaccarino, nota di Massimo Acciai
 - "Gli spettri del Quarto Riech" di Marco 
                                  Dolcetta, nota di Enrico Pietrangeli
 - "Image this. Io e mio fratello John Lennon" 
                                  di Julia Baird
 - "L'Occhio del Potere" di Stefano Peverati
 - "Tra inferno e paradiso" di Cristina 
                                  Soranzio
 - "Phönix" di Stefano Lanciotti
 - "Ho gettato dio nella pattumiera" di Bruno 
                                  Previstali
 - "La mummiona e altre storie" di Nicoletta 
                                  Santini, nota di Massimo Acciai
 - "Animali & animali" di Cristina Buzzi
 - "Chiedo i cerchi" di Valeria Serofilli
 - "Puttanate magistrali" di Marco Porta
 - "Triade" di Luca Vicari
 - "Europa" di Massimo Semerano e Menotti
 - "Malinconico Leprechaun" di Patrizio Pacioni 
                                  , recensione di Simonetta De Bartolo
 - "Le stanze del cielo" di Paolo Ruffilli, 
                                  recensione di Roberto Mosi
 - "Ritorno al mondo perduto" di Edward D. 
                                  Malone, nota di Enrico Pietrangeli
 - "Dizionario etimologico"
 - "Dizionario mitologia classica"
 - Gli almanacchi meneghini della libreria 
                                  Milanese
IntervisteIncontri nel giardino 
                                  autunnale |  | 
                                                    
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 Quando ero bambina, mia mamma, in 
                            vena di complimenti (come sempre), amava ripetere 
                            spesso: "Certo che sei proprio una vagabonda", solo 
                            perché mi piaceva gironzolare e bighellonare (in 
                            fondo, mi chiedo ancora cosa ci fosse di tanto 
                            male), lasciando la sua mano ed andandomene dove mi 
                            pareva.Mia mamma si pentì presto di avermi chiamata Serena 
                            (anche perché spesso non sembravo per nulla serena, 
                            anzi …) e decise di richiamarmi con un nuovo 
                            appellativo e cioè "Vagabonda".
 Nel corso degli anni, mi stufai pure di questo nuovo 
                            nome, ma oltre ogni mia immaginazione, cominciò a 
                            diventare 'famoso' e tutti quelli che mi 
                            conoscevano, cominciarono a chiamarmi proprio 
                            Vagabonda.
 A quel punto, all'età di 19 anni, decisi di dare un 
                            senso a quel mio nuovo nome e, zaino in spalla, feci 
                            sapere ai miei che ero prossima ad andarmene in tour 
                            per l'Europa, con la mia chitarra nuova di zecca e 
                            qualche soldo conservato per decenni nel salvadanaio 
                            appena rotto. Il mio era un sogno pazzesco: far 
                            ascoltare la musica che componevo in tutti i Paesi 
                            Europei che avrebbero potuto sopportarmi e decisi di 
                            compiere il grande passo.
 "Ha bevuto la sua birretta quotidiana prima del 
                            solito" sentenziò pigramente mio padre in salotto, 
                            leggendo le solite notizie di sport sul suo 
                            quotidiano preferito.
 "Secondo me, si è invaghita di qualcuno in chat e lo 
                            raggiunge chissà dove!" esclamò, invece, mia madre 
                            facendo un sorriso beffardo, mentre ripuliva 
                            l'aspirapolvere.
 "Vi sbagliate tutti e due: me ne vado in giro per 
                            l'Europa, per far conoscere la mia musica agli …" mi 
                            mancarono quasi le parole, ma poi giunsi a 
                            conclusione:" … europei!".
 "Certo" sorrise mio padre: "Sarebbe stato strano se 
                            tu avessi detto che te ne volevi andare in giro per 
                            l'Europa per far conoscere la tua musica agli … 
                            americani!". Sorrisero entrambi.
 "Comunque io … vado!" esclamai, allora, sul punto di 
                            varcare la soglia della porta di casa.
 "Va bene, ma non fare tardi per cena!" mi fece 
                            sapere a gran voce mia madre, dall'altra stanza.
 Insomma, i due non mi credettero, ma io diedi loro 
                            la dimostrazione che quel che dicevo era del tutto 
                            vero, porca vacca!
 Da quel preciso momento, iniziò la mia avventura per 
                            il continente Europeo: un'esperienza meravigliosa ed 
                            indimenticabile in tutti i sensi!
 
 Non dimenticherò mai le mie imprese per riuscire ad 
                            arrivare innanzitutto in Spagna, tra treni ed 
                            autostop selvaggi, lunghe camminate e nottatacce nei 
                            campi che il mio cammino incontrava. Ma proprio in 
                            Spagna decisi di far partire il mio mega tour: avevo 
                            in saccoccia appena 550 euro che decisi di farmi 
                            durare il più a lungo possibile (impresa quasi 
                            impossibile, ma ci provai).
 Mi fermai per qualche settimana a Barcellona, la 
                            città più internazionale della Spagna e trovai 
                            presto lavoro in una 'tapa' per soli 20 euro al 
                            giorno (ero un po' sfruttata, ma decisi di fermarmi, 
                            perché temevo di spendere tutti i soldi che avevo 
                            con l'alloggio economico trovato in una specie di 
                            pensione per stranieri alle porte … del porto!).
 E proprio nella tapa in cui lavoravo incontrai il 
                            mio primo e breve amore (purtroppo … e troppo 
                            breve): Manuel, un bellissimo brasiliano dagli occhi 
                            di ghiaccio e i lunghi capelli biondi e mossi che mi 
                            conquistò con un sorriso mozzafiato.
 Manuel aveva imparato lo Spagnolo stando in Spagna 
                            da appena qualche settimana prima di me e parlava 
                            con un accento brasiliano che avrebbe conquistato 
                            chiunque.
 Per qualche tempo condividemmo tutto: dai bocadillos 
                            con jamón y queso (panini con prosciutto e 
                            formaggio) al monolocale che aveva affittato poco 
                            distante dalla bellissima cattedrale in 
                            restaurazione della Sagrada Familia, il capolavoro 
                            di Gaudì.
 
 Quella mia avventura era cominciata alla grande, 
                            soprattutto perché i fine settimana, quando non 
                            lavoravamo, ci mettevamo a strimpellare per le vie 
                            della città con la chitarra e la speranza che i 
                            passanti si sarebbero fermati ad ascoltarci e a 
                            lasciarci qualche spicciolo.
 Manuel aveva una voce quasi idilliaca e di questo si 
                            accorgevano tutte le figure femminili che ci 
                            passavano di fianco, visti i sorrisi e le occhiatine 
                            che gli lanciavano.
 Qualcuna più generosa, poi, ogni tanto decideva di 
                            lasciarci qualche 'sostanziosa banconota' da 10! 
                            Insomma, quello che pareva riscuotere più successo 
                            era proprio lui e non certo io con la mia chitarra e 
                            la musica composta qualche tempo prima.
 Un po' mi fece incavolare il pensiero che lui mi 
                            rubasse la scena 'musicale', ma poi calcolando che 
                            più di una volta al mese, riusciva a guadagnarsi 
                            almeno 100 euro in mezza giornata, riuscivo a 
                            perdonarlo con l'idea che, in fondo, da quando 
                            condividevamo casa, mi aveva risparmiato l'affitto e 
                            questo mi avvantaggiava molto mensilmente dal punto 
                            di vista economico.
 Un pomeriggio, però, lo sorpresi ad amoreggiare al 
                            bar che si trovava vicino al nostro monolocale con 
                            una signora di mezza età, bella ed elegante e mi 
                            incavolai di brutto. Decisi di andarmene, senza 
                            proferir parola.
 Il mio viaggio successivo, sarebbe stato in 
                            direzione della vicina Francia, dove avevo la 
                            speranza di riuscire a trovare qualcosa di meglio.
 Non ero mai stata in Francia e m'incuriosì non poco 
                            l'idea di poterne conoscere ogni aspetto in modo del 
                            tutto libero ed autonomo, per la prima volta in vita 
                            mia.
 Mi fermai a Bordeaux, anche se le mie intenzioni 
                            erano quelle di raggiungere Parigi.
 Feci l'autostop per giorni, rimorchiando camionisti, 
                            autisti raffinati, impiegati, ragazzotti più o meno 
                            drogati e gente di una certa età: il mio ultimo 
                            passaggio, infatti, me lo diede una vecchietta di 89 
                            anni, arzilla come non lo ero neanche io a 19.
 "Gambe in spalla, ragazza mia!" mi disse in un 
                            morbido francese e mi fece scendere alle porte di 
                            Parigi: "Devo lasciarti qua, perché ho un 
                            appuntamento col mio amante" mi confessò poco prima 
                            di lasciarmi: "E non posso destare sospetti: mio 
                            marito è molto geloso!". Sorrisi, non credevo alle 
                            mie orecchie, sebbene la signora lasciasse intendere 
                            di far sul serio.
 
 Parigi fu la scoperta più bella della mia vita, con 
                            le sue luci, i suoi colori, l'eleganza, la 
                            raffinatezza, la bellezza e la storia di uno dei 
                            luoghi davvero più … 'in' d'Europa: mi sentii 
                            felice.
 A Parigi consumai l'amore più folle della mia 
                            esistenza: quello con un ricco industriale con 
                            famiglia al seguito che mi viziò per tutto il tempo 
                            del mio soggiorno in Francia.
 Lo conobbi in una boutique nella quale ero entrata 
                            semplicemente a curiosare, non potendomi permettere 
                            l'acquisto di capi d'abbigliamento firmati e 
                            ricamati.
 Nella boutique era presente sua moglie: una 
                            raffinatissima aristocratica di origini olandesi che 
                            non disdegnava acquisti sopra i 500 euro a … pezzo! 
                            Il marito, seduto in un angolo, le faceva passare 
                            ogni capriccio, sorrideva e … si guardava attorno.
 Ci notammo e ci piacemmo. Appena un'ora dopo, mi 
                            ritrovai avvolta tra le candide e morbide lenzuola 
                            ricamate di una lussuosissima suite d'hotel a cinque 
                            stelle del centro!
 Mi accorsi di non avergli neanche chiesto il nome, 
                            quando mi ritrovai sotto la doccia.
 Uscii e decisa a spiaccicare qualche parola di 
                            francese, mi diressi in salotto: lui era disteso sul 
                            divano a fumare un puzzolente sigaro e a 
                            contemplarmi in accappatoio.
 Ero sul punto di parlare, quando con l'indice 
                            m'indicò il tavolo che regnava imponentemente al 
                            centro del lussuoso salotto e mi fece notare su di 
                            esso una banconota da … 500 Euro che faceva bella 
                            mostra di sé, non aspettando altro che di esser … 
                            raccolta.
 All'inizio pensai d'infuriarmi di brutto, ma poi … 
                            osservando bene la banconota … insomma, ne avevo un 
                            gran bisogno e non ci misi neanche un quarto di 
                            secondo ad accettarla con un vergognoso sorriso 
                            compiaciuto sulle labbra ed una vocina interiore che 
                            mi diceva: "Vergognati!".
 Il mio idillio col francese fu dei più … lussuosi e 
                            comodi che la mia ancor breve vita avesse mai potuto 
                            ricordare: suite pazzesche, boutique firmate dai più 
                            grandi nomi della moda internazionale, ristoranti 
                            che accettavano di far entrare i propri clienti solo 
                            in abito da sera, casinò e gite folli per la Senna. 
                            Mi sentivo nel sogno che persino la mia più fervida 
                            immaginazione non avrebbe potuto creare!
 La Tour Eiffel era la prima cosa che potevo ammirare 
                            dalla suite in cui il mio misterioso amante aveva 
                            voluto che restassi per tutto il tempo che avessi 
                            voluto.
 La bellezza mi sembrava qualcosa di … parigino nella 
                            mia vita, perché quella città aveva un qualcosa di 
                            così magico, da non lasciarmi neanche capire cosa.
 In un mese riuscii a farmi regalare oltre 2000 euro 
                            dal bel francese e, quando mi stancai, consapevole 
                            che quella nostra avventura non sarebbe potuta 
                            continuare in modo indisturbato, decisi di andar 
                            via.
 In borsa scoprii di avere una bellissima spilla: 
                            cosa che non c'era prima ed intuii che, 
                            probabilmente lui aveva capito da tempo la mia 
                            insofferenza nel restare a lungo in un unico luogo. 
                            Mi aveva voluto fare un ultimo e di certo 
                            costosissimo regalo.
 
 Da bambina mio padre amava ripetermi: "L'Europa è un 
                            mondo da scoprire: te ne accorgerai da grande, 
                            quando capirai quanto i propri Paesi siano molto più 
                            vicini di quel che si possa solo geograficamente 
                            capire".
 Aveva ragione. Ad unire i Paesi europei è un'unica 
                            cultura: quella conquistata con le lotte decennali 
                            ed i poteri imperiali, quella creata sulle macerie 
                            degli errori storici che ne hanno forgiato la nuova 
                            esistenza ed una nuova unione con il passare dei 
                            secoli.
 Volevo che gli europei capissero ed ascoltassero la 
                            mia musica, tra le strade di un continente che mi 
                            era sembrato molto più grande di quel che potevo 
                            immaginare.
 Non volevo perdere in un soffio di vento i soldi che 
                            ero riuscita fortuitamente ad ottenere dal ricco 
                            francese e decisi di continuare a strimpellare per 
                            strada, piuttosto che di cominciare a spendere il 
                            gruzzoletto in qualche hotel che poi magari non mi 
                            avrebbe offerto neanche la Tv in camera!
 Li raggiunsi quasi tutti i miei sogni, nel corso di 
                            quella mia folle avventura europea e ne disegnai con 
                            cura ogni sfumatura, alla ricerca di un qualcosa che 
                            mi portasse a capire dove realmente stessi andando e 
                            soprattutto dove volessi andare.
 
 Chiamai i miei genitori da un telefono pubblico in 
                            Germania, avendo dimenticato a casa il mio già 
                            antiquato telefonino di qualche anno prima.
 "Stai bene, tesoro?" mi chiese con voce preoccupata 
                            mio padre: "Se hai bisogno di soldi, devi solo 
                            farmelo sapere".
 "(Non ci provare proprio)" pensai, ma risposi: "Non 
                            ho bisogno di nulla, grazie! Vi chiamo presto, mi 
                            fermo un po' in Germania" feci sapere ancor prima di 
                            deciderlo realmente.
 
 Non restai a lungo in Germania: lavorai per qualche 
                            settimana presso una pizzeria gestita da italiani 
                            che mi trattavano come fossi una componente della 
                            loro famiglia, ma in realtà era il luogo a non 
                            piacermi.
 La signora Dorella che tutti chiamavano 
                            affettuosamente Lella aveva cresciuto in Germania 
                            ben 4 figli, dopo esser andata via dall'Italia 
                            quando aspettava appena il primo, perché i suoi 
                            genitori la cacciarono fuori casa, non appena 
                            seppero che era incinta di un tedesco conosciuto in 
                            vacanza in Sicilia.
 Allora, decise di trasferirsi in Germania: venne 
                            accolta amorevolmente dalla famiglia di lui e si 
                            sposarono in men che non si dica, dando luogo 
                            all'inizio di una fantastica avventura familiare, 
                            perché i figli arrivarono uno dietro l'altro e tutti 
                            maschi. Al quarto, benché desiderasse la bambina, 
                            decise di fermarsi.
 
 Servii pizze per loro cantando "O sole mio" che i 
                            tedeschi amavano molto sentire, gustando la 
                            Margherita e l'atmosfera era così bella e rilassata 
                            da farmi quasi credere di trovarmi proprio in 
                            Italia.
 Nell'aria si respirava un'italianità che, spesso, 
                            non avevo trovato neanche nella stessa Roma, dove 
                            vivevo da sempre e dove amavo intrattenermi nella 
                            trattoria di mio zio Rodolfo.
 I tedeschi amano la pizza Margherita non solo per la 
                            sua bellezza e bontà, ma anche per quel che 
                            rappresenta: un vero simbolo di italianità, di 
                            genuinità mediterranea, pura e unica.
 La famiglia della signora Lella mi aveva persino 
                            organizzato un angoletto in pizzeria che volevano 
                            riservare all'intrattenimento ovvero al momento 
                            canoro che potesse accompagnare i propri clienti nel 
                            corso dei loro pasti.
 In men che non si dica e nel giro di pochi giorni, 
                            registrammo un incredibile affluenza di persone che 
                            volevano che servissi loro la pizza Margherita 
                            cantando col microfono "O sole mio"!
 Anche io non potevo crederci … eppure, riuscii a 
                            riscuotere più successo in qualche giorno da 
                            cameriera cantando canzoni napoletane che nel corso 
                            di tutto il mio viaggio, strimpellando per strada 
                            con la mia chitarra!
 Ci presi persino gusto, pur sapendo che non sarebbe 
                            stato certo quello il mio avvenire.
 
 La Signora Lella, per premiare le mie 'performance' 
                            canore con la pizza sul braccio, tra i tavoli della 
                            sua pizzeria, mi preparava quasi ogni sera l'amatriciana 
                            ed io mi sentivo felice ed ispirata: avrei potuto 
                            mettermi a cantare anche "Caruso", ma non ne feci 
                            parola, per non trovarmi di lì a qualche giorno a 
                            dover tenere dei veri e propri concerti con tanto di 
                            gruppo musicale al seguito, tra una pizza e l'altra.
 
 Quel ruolo mi stette presto stretto: la famiglia 
                            della pizzeria mi aveva accolta con grande amore, 
                            ospitandomi persino a casa propria ed evitandomi 
                            spese d'affitto che avrebbero potuto sequestrarmi 
                            quel che guadagnavo giornalmente.
 Ero molto grata loro per il trattamento che mi 
                            avevano riservato, perché mi avevano fatta sentire 
                            come parte della propria famiglia e questo mi aveva 
                            resa davvero felice e soddisfatta della mia 
                            esperienza in Germania.
 
 Mi ritrovai così ancora per strada, pronta ad 
                            intraprendere un nuovo viaggio: avrei voluto fare di 
                            più, vedere di più, vivere di più, forse anche 
                            cazzeggiare di più, non lo so.
 
 Un ragazzone mezzo ubriaco mi diede un passaggio in 
                            Austria, dove probabilmente avrei cercato 
                            innanzitutto un alloggio.
 Viaggiavamo con la vodka sotto i sedili e ci 
                            passavamo spinelli vari, fino a quando ad un certo 
                            punto: "Cazzo!". La polizia ci fermò ad un posto di 
                            blocco.
 
 In meno di due ore mi ritrovai in gattabuia, in 
                            attesa di qualcuno che potesse capire quel che 
                            dicessi nella mia Lingua e darmi l'opportunità di 
                            farmi chiamare almeno qualcuno in grado di farmi 
                            uscire da quella situazione.
 Il pensiero che gli austriaci potessero rintracciare 
                            i miei genitori mi intimoriva molto di più del 
                            pensiero di farmi qualche tempo dietro le sbarre. 
                            Avevo una paura fottuta della reazione di mio padre. 
                            Buono sì, ma non … coglione e se combinavo qualcosa 
                            di tosto, erano mazzate.
 
 Dietro le sbarre conobbi un ragazzo molto 
                            interessante oltre che molto sexy: alto, biondo, gli 
                            occhi azzurri e la dentatura perfetta. "Cosa avrà 
                            mai fatto un bel tipo come questo, per trovarsi qua 
                            dentro?" mi chiesi senza riuscire a trovare la 
                            risposta.
 Pretendere che il bel ragazzo parlasse l'Italiano 
                            era pura fantascienza e cercai d'instaurare con lui 
                            un dialogo in un Inglese marcio ed arrugginito 
                            (anzi, sembravo più una bambina di terza media che 
                            una di 19 anni che aveva studiato Lingue!).
 
 Presto mi accorsi che anche il suo Inglese non era 
                            fantastico, ma ancor non riuscii a decifrare di 
                            quale Paese europeo fosse e soprattutto cosa avesse 
                            fatto per trovarsi là.
 Ci scrutavamo come bambini e sorridevamo come 
                            deficienti, mentre una guardia fuori ci teneva 
                            d'occhio.
 Mi sembrò un … semi-incubo la mia esperienza in 
                            cella, ma poi qualcuno venne a salvarmi: un 
                            interprete (finalmente!).
 
 "Vi hanno trovati ubriachi e mezzi drogati, ma 
                            quello che guidava sta peggio di te" m'informò 
                            placidamente: "Domani uscirai".
 "E a chi devo questo miracolo?" chiesi esterrefatta.
 "A me?" chiese quasi sorridendo l'uomo mezzo 
                            attempato che venne a tradurmi e a dirmi ogni cosa.
 "Perché … a te?" allora gli chiesi: "Forse perché mi 
                            piaci e perché sono amico di quello che gestisce le 
                            cose qua?"
 "Ma …" non avevo molto da dire, non ci capivo 
                            niente: "Sei italiano?" allora chiesi.
 "Come te!" esclamò, sorridendomi.
 "E cosa dovrei fare in cambio di questa … cortesia?" 
                            cercai di capire come stavano le cose.
 "Fare sesso con me?" disse ironicamente, ma non al 
                            punto da farmi intendere che scherzasse.
 Feci un'espressione più schifata che comica, vista 
                            la situazione, anche se ero molto sollevata al 
                            pensiero di tornare in libertà e soprattutto di 
                            esser riuscita a non far avvertire i miei di quello 
                            che mi era capitato.
 "A casa di chi?" scherzai, cercando di 
                            sdrammatizzare la situazione a un certo punto.
 "Intanto stanotte te la fai in cella e domani si 
                            vedrà" mi sfiorò il volto con una carezza e andò 
                            via.
 Le guardie mi riportarono in cella dal bel 
                            giovanotto misterioso e la notte parve non passare 
                            più.
 Ero còlta da mille pensieri e non sapevo quale 
                            sarebbe stato davvero il mio destino. Avevo paura, 
                            ma decisi di farmi forza e di aspettare l'indomani 
                            per capire in che modo sarebbe tramutata la mia … 
                            avventura.
 
 L'indomani, entrai quasi in punta di piedi nella 
                            casa dell'uomo che mi aveva fatta scarcerare. Mi 
                            sentivo fuori luogo, oltre che in grande imbarazzo.
 Lui m'invitò quasi subito ad accomodarmi e, nel 
                            sistemarsi il grembiule già mezzo macchiato della 
                            propria cucina, si mise a rovistare nel frigo.
 "Hai fame?" mi chiese.
 "Tanta" risposi, in un tono un po' cupo. ("Forse 
                            intende far sesso dopo pranzo") pensai ("Alla nove 
                            settimane e mezzo, con la fragola sulla lingua e 
                            tutto il resto?") mi chiesi.
 Mi sentivo ridicola a pensare quelle cose, mentre 
                            lui era in cucina a preparare qualcosa di 
                            commestibile da mettere sotto i denti.
 D'improvviso sentii un rumore provenire da un'altra 
                            stanza e pensai: ("Ecco un complice, un pappone 
                            pronto a saltarmi addosso: cosa vuole fare? Si 
                            preparano ad un'orgia da nove settimane e mezzo in 
                            tre?).
 Poi mi girai e scorsi con grande sorpresa un bambino 
                            che mi veniva incontro con la sua sedia a rotelle.
 "E' tuo figlio?" gli chiesi e lui fece capolino 
                            dalla cucina ed annuì.
 
 Mangiammo una frittata con uova e cipolle, a quanto 
                            pare non c'era rimasto altro in cucina, ma mi 
                            adattai e mi sembrò la frittata più buona che avessi 
                            mai mangiato.
 Il bambino mi guardava con curiosità, ma non 
                            parlava.
 "E' muto" mi disse suo padre: "Non parla dalla 
                            nascita" ed io mi sentii male: un pugno allo stomaco 
                            mi spappolò quel che avevo appena mangiato.
 "Sua madre è morta quando era piccolo e ora siamo 
                            solo in due a crescere insieme" continuò l'uomo, 
                            mentre sorseggiava un bicchiere di vino bianco.
 
 Ero una deficiente: avevo pensato le cose peggiori 
                            fino a quel momento. E di punto in bianco mi 
                            ritrovavo a mangiare in silenzio una frittata in 
                            compagnia di uno sconosciuto che mi aveva tirato 
                            fuori dai guai e del figlio che mi guadava come se 
                            la cosa più strana al mondo fosse proprio la mia 
                            faccia. Forse aveva ragione. Mi sentii davvero 
                            strana.
 
 Mi congedai da loro poco dopo e sentii mancarmi 
                            qualcosa, anche se ancor non saprei ben definire 
                            cosa.
 Ripensai ai miei genitori e al fatto che anche loro 
                            avessero soltanto me ed io soltanto loro. Cominciai 
                            a capire le loro preoccupazioni nei miei confronti 
                            ed intorno al viaggio che avevo deciso 
                            d'intraprendere, ma decisi ugualmente di proseguire 
                            per la mia strada.
 
 Tornai a fare l'autostop, avevo pochi soldi in 
                            tasca: quei bastardi dei poliziotti austriaci mi 
                            avevano restituito solo in parte il denaro contante 
                            che avevo con me.
 Questa volta, però, a darmi un passaggio era un 
                            camionista polacco che in uno strambo Inglese mi 
                            fece capire che stava tornando in Polonia.
 E io risposi: "Ok!" e decisi di recarmi alla 
                            scoperta di un nuovo Paese. Ero una persona credente 
                            ed ero stata molto affezionata a Papa Wojtyla, 
                            pensai di andare a visitare la sua terra per fargli 
                            un omaggio, a modo mio.
 
 Arrivammo in un giorno, passato a bere tazze giganti 
                            di caffè e brodo, a Cracovia. Non mi sembrava vero: 
                            ero nella bellissima Cracovia, una delle città più 
                            antiche d'Europa!
 Faceva un freddo cane e a giudicare dalle strade 
                            mezze deserte, anche un cane sarebbe stato folle a 
                            passeggiarci!
 Entrai in un bar ed indicai con un ditino mezzo 
                            congelato una lattina di birra, quando d'improvviso, 
                            al momento di pagare, mi ricordai che in Polonia non 
                            era ancora presente la moneta unica ed io avevo 
                            dimenticato di cambiare il denaro: "Porca miseria!".
 Il barista lo capì e mi prese tra le mani 5 euro, 
                            facendo segno col pollice che andava bene così: ci 
                            credo … a chiunque sarebbe piaciuto guadagnarsi 5 
                            euro per una lattina di birra!
 Ma decisi di soprassedere e di sorseggiare in santa 
                            pace la mia birretta in un angoletto, quando scorsi 
                            poco distante, all'interno del bar, seduto ad un 
                            tavolo solo soletto, il bel ragazzo misterioso che 
                            mi aveva tanto affascinata ed incuriosita in 
                            carcere.
 Non potevo crederci: era proprio lui. Mi notò e mi 
                            raggiunse.
 "Ma … sei polacco?" gli chiesi. Mi fece l'occhietto 
                            e sporse la sua birra verso la mia, nell'intento di 
                            accostare le due lattine e pronunciare il fatidico 
                            ed internazionale 'cin-cin'.
 
 Tomek (era questo il suo nome) mi fece vedere casa 
                            sua, mi presentò la famiglia e persino il cane 
                            (infatti, col freddo che faceva, era il primo a 
                            starsene vicino al camino e a non mettere il naso 
                            fuori casa).
 
 Tempo qualche giorno e con Tomek riuscii ad 
                            instaurare un bel dialogo in un Inglese da pessima 
                            figura, ma in compenso avevo trovato un nuovo amico, 
                            oltre ad un'ottima persona.
 Mi spiegò che era finito in cella per un paio di 
                            notti solo per esser stato sorpreso ad acquistare 
                            dei sigari di contrabbando che avrebbe voluto 
                            destinare a suo padre, fumatore incallito che aveva 
                            deciso di andarsene a vivere sulle montagne di 
                            Zakopane, una bellissima località di villeggiatura e 
                            non solo.
 Gli feci sapere che mi sarebbe piaciuto visitare la 
                            dimora nella quale era nato e cresciuto Papa Wojtyla 
                            e lui mi ci portò qualche giorno dopo.
 La cittadina si chiama Wadowice ed è una delle più 
                            belle destinazioni polacche del sud, non solo meta 
                            di pellegrinaggio e turismo, ma anche luogo in cui 
                            poter vivere meravigliosamente tutto l'anno.
 La casetta di Papa Wojtyla era adibita a museo ed 
                            era stupenda: gestita da alcune suore che, tra 
                            l'altro, avevo sentito parlare anche in Italiano e 
                            visitata da persone che arrivavano da tutti i Paesi 
                            Europei.
 Un'esperienza indimenticabile, il mio viaggio in 
                            Polonia. Una terra che non immagini, perché 
                            sorprende il proprio visitatore in tutto e per 
                            tutto.
 Quando uno si reca in un luogo ha, spesso, 
                            l'illusione e la presunzione di conoscere già in 
                            parte quel che andrà a visitare e a conoscere 
                            meglio, ma la verità è tutt'altra, perché esistono 
                            luoghi che hanno il potere di far capire 
                            l'impensabile.
 In realtà un luogo non lo capisci e non lo conosci, 
                            se prima non hai modo di viverci, anche solo per 
                            poco e di condividerne persino quelle piccolezze che 
                            puoi credere di nessuna importanza, prima di 
                            assaggiarne l'essenza.
 
 L'Europa è continente antico e magnifico: unico per 
                            la sua storia, le sue meraviglie artistiche e le sue 
                            capacità culturali. E' un continente da vivere a 360 
                            gradi e forse neanche un'intera esistenza 
                            riuscirebbe a godersene appieno le sfumature che 
                            offre attraverso quel 'tutto' confinato tra le 
                            frontiere mentali esistenti di Paese in Paese.
 La verità è che le vere differenze sociali ed umani 
                            atte a far nascere il senso del razzismo, nascono 
                            solo ed esclusivamente dall'incivile ignoranza di 
                            quegli esseri umani che non ne comprendono la mera 
                            inutilità.
 
 Un viaggio in Europa può servire a tutti per 
                            comprendere meglio che siamo molto più simili di 
                            quel che si potrebbe immaginare!
 
 Una Serena Vagabonda
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