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Narrativa
Poesia italiana
Recensioni
In questo numero:
- "Sempre ad est" di Massimo Acciai,
recensione di Liliana Ugolini
- "Un fiorentino a Sappada" di Massimo Acciai,
prefazione di Lorenzo Spurio
- "La metafora del giardino in letteratura" di
Lorenzo Spurio e Massimo Acciai, recensione di
Marzia Carocci
- "Flyte & Tallis: Ritorno a Brideshead ed
Espiazione, una analisi ravvicinata di due
grandi romanzi della letteratura inglese" di
Lorenzo Spurio, recensione di Emanuela Ferrari
- "Scrittrici in giardino: Profumi e colori
nei giardini di dieci scrittrici" di Adele
Cavalli, Recensione a cura di Lorenzo Spurio
- "Poesie tra le orchidee" di Massimo Grilli,
Recensione a cura di Lorenzo Spurio
- "Grecità marginale e suggestioni
etico/giuridiche: i Presocratici" di Ivan
Pozzoni
- "Gli invisibili" di Gianfranco Menghini
- "Flyte & Tallis" di Lorenzo Spurio
- "I giorni della preda" di Gianfranco
Meneghini
- "1800 una nuova era" di Gianfranco Meneghini
- "I cannoni di Jardine" di Gianfranco
Meneghini
- "Sangue caldo, nervi d'acciaio" di Arto
Paasilinna
- "Quando Ero Come Voi" di Marco Sambruna
- "Effetto giorno" di Maria Lenti
- "Polar 14" di Gianfranco Meneghini
- "L'uomo che uccise Dio" di Ennio Montesi
- "Zeroventicinque" di Fiorella Carcereri
- "Nel cuore della rosa" di Rosa Di Fiore,
recensione di Emanuela Ferrari
Articoli
Interviste
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Qui, nel silenzio di questo luogo
immerso nella penombra umbratile di un ricco
soggiorno carico di mobili e di ninnoli, posso
finalmente riflettere con calma sugli ultimi
avvenimenti.
Dalla porta a vetri aperta sul giardino vedo gli
alberi, la siepe, un vecchio tavolo di legno bianco
sporcato dalle foglie che vi si sono depositate
sopra; le sdraio attorno ad esso sono ugualmente
sbilenche, abbruttite dal tempo e dalle intemperie.
L'ora del crepuscolo pacifica i pensieri mentre la
fresca brezza della sera agita appena le tende
sdrucite che pendono dalla porta finestra.
Io sono qui in piedi, immobile come sempre. Anche
stasera sono stato lasciato solo; è capitato sempre
più spesso gli ultimi anni. Non so perché l'uomo e
la donna che abitano l'immensa villa immersa nel
parco gli ultimi anni hanno cominciato a entrare
sempre meno spesso in questo piccolo soggiorno
stracarico di oggetti. Ricordo che lui a volte
entrava trascinando qualcosa di pesante (l'ultima
volta era una vecchia poltrona), la deponeva sul
pavimento cercando di addossarla il più possibile
alla parete, apriva la porta affacciata sul
giardino, usciva il tempo necessario a fumare un
paio di sigarette una dietro l'altra mentre l'alito
caldo delle afose giornate estive entrava nel
soggiorno.
Poi rientrava e cominciava a guardarsi attorno con
aria vagamente malinconica spesso scuotendo
leggermente la testa. Poi chiudeva la porta finestra
che immette nel giardino, attraversava la stanza, si
avviava verso la porta d'ingresso, gettava un ultimo
sguardo agli oggetti contenuti nel soggiorno,
chiudeva bruscamente la porta e se ne andava.
Tuttavia le sue ultime apparizioni qui mi hanno un
poco turbato perché mi è sembrato avesse un aspetto
malsano, malato. Comunque durante la sua ultima
visita le procedure di questo schema ripetitivo e
monotono hanno subito un cambiamento imprevisto:
l'uomo dimenticò di chiudere la porta finestra che
conduce al giardino lasciandoci così esposti al
vento che, specialmente di sera, s'introduce nel
soggiorno come un ospite indesiderato.
Da allora per un lungo periodo (forse un anno), più
nulla: nessuno è più entrato qui e nel giro di pochi
giorni insetti di tutte le specie, soprattutto
formiche disposte in lunghe file ordinate, hanno
cominciato a percorrere il tappeto e ad esplorare
ogni angolo del pavimento. Nel pieno dell'estate
l'aria immobile e stagnante della stanza si è
riempita di mosche: poi l'autunno e con esso il
fogliame sospinto dal vento ha cominciato a invadere
il soggiorno.
Era il giardino che con i suoi insetti, il suo
fogliame, i suoi profumi densi e maturi cominciava a
propagarsi qui dentro mentre io, impotente ed
immobile come una statua, ho osservato il degrado e
il lento disfacimento degli oggetti che mi
circondano. Me li ricordavo ancora belli quando
l'uomo li portava qui. Ora invece, dopo il
risveglio, li vedo per quello che sono: brutti,
sporchi, laceri. L'usura del tempo e l'azione delle
intemperie che s'infiltrano dal giardino li ha
deteriorati mentre giacciono in un abbandono
spaventoso.
Qualche mese fa credo ( mi è sempre più difficile
avere la cognizione del trascorrere del tempo) è
accaduto però un fatto nuovo ad alterare il tedio di
queste giornate tutte uguali: dapprima ho udito un
gran trambusto, mi è parso procurato da gruppi di
persone in movimento, provenire da altre stanze
della villa. Persone entravano e uscivano in
continuazione soprattutto dalla camera adiacente il
soggiorno. Credo si tratti della camera da letto
dell'uomo e della donna che abitano qui anche se non
ci sono mai stato. Ogni tanto mi giungevano
ovattati, quasi soffocati dei singulti, sospiri,
parole inintelligibili mormorate a mezza voce,
brandelli di frasi interrotti da lamenti improvvisi.
Questa insolita processione è durata quasi tutta la
notte. Solo all'alba finalmente tutto si è
acquietato ed è tornato il silenzio.
Il mattino successivo però è ricominciato il
trambusto sommesso, quasi discreto, di persone che
andavano e venivano accompagnato dall'ululare
lugubre dei cani in giardino. Verso mezzogiorno un
altro evento imprevisto mi ha fatto molto
riflettere: la donna che abita qui, accompagnata da
un uomo alto e molto più giovane di lei, è apparsa
in giardino. L'uomo le reggeva il braccio mentre lei
mi è sembrata piuttosto sconvolta. Non ne sono
sicuro, ma credo piangesse violentemente. L'uomo le
parlava dolcemente all'orecchio cercando di
calmarla. Fatto curioso entrambi erano completamente
vestiti di nero e, non so perché, entrambi mi sono
apparsi molto addolorati. Senza badare troppo al
fogliame e alla sporcizia si sono accomodati sulle
sdraio del giardino, in silenzio, mentre la donna si
copriva il volto con le mani e l'uomo, tenendo i
gomiti appoggiati alle ginocchia, si torceva le dita
in modo convulso. Infine si sono alzati e se ne sono
andati senza nemmeno accorgersi della porta finestra
spalancata e senza curarsi minimamente almeno di
accostarla. Ricordo che io con dispetto pensai che
era un peccato, a causa di quella piccola
negligenza, lasciare che gli oggetti tanto preziosi
accumulati all'interno del soggiorno rischiassero di
rovinarsi.
Dopo qualche settimana la mia curiosità circa gli
ultimi eventi si trasformò in preoccupazione.
Improvvisamente mi resi conto che un silenzio cupo,
denso, ostinato dominava ovunque: ho pensato allora
che evidentemente la casa era stata abbandonata e
che tutti, soprattutto i proprietari, se ne erano
andati forse in vacanza. Da allora tuttavia nulla ha
più turbato il sonno profondo della villa immersa
nel parco: solo una volta, qualche tempo fa, la
porta d'ingresso del soggiorno si è spalancata
improvvisamente a causa dell'irruzione di tre
persone, due uomini e una donna. Uno degli uomini
era vestito elegantemente con abiti di ottimo
taglio, mani e capelli ben curati; sembrava
estremamente disinvolto mentre si rivolgeva alla
giovane coppia che era con lui. Continuava a
magnificare con enfasi l'ampiezza, le dimensioni, il
carattere della casa e non la finiva più di
sorridere gesticolando in modo bizzarro, come una
marionetta. Notai che la donna mentre ascoltava
osservava attentamente il nostro soggiorno voltando
lentamente lo sguardo con aria vagamente
infastidita, quasi schifata.
Subito dopo ha interrotto le declamazioni enfatiche
dell'uomo per chiedergli se nell'affare pattuito
(almeno così credo di aver compreso) era incluso lo
sgombero dal soggiorno di tutto quel "ciarpame".
L'uomo dal dialogo disinvolto è rimasto un attimo
imbarazzato con la bocca semi aperta senza sapere
che dire. Tuttavia si è ripreso subito dicendo che
gli oggetti che stavano vedendo non erano ciarpame
ma pezzi d'antiquariato di notevole pregio.
L'altro uomo allora, che fino a quel momento non
aveva ancora parlato, ha abbozzato un sorriso
stravagante, indecifrabile e con aria di sufficienza
ha afferrato una vecchia lampada da tavolo
affermando ad alta voce che quelle "cianfrusaglie"
non valevano un soldo bucato come dimostrava il
fatto stesso che il vecchio proprietario ora morto
ci avesse accatastati in quel vecchio soggiorno in
disuso.
Poi riappoggiò violentemente la lampada al tavolino
lacerandone il paralume decorato a motivi floreali.
Io allora mi sono indignato. Avrei voluto scendere
dallo scaffale in cui giacevo con gli altri pezzi
accanto e di fronte a me per dirgli che noi non
eravamo "cianfrusaglie" ma oggetti di valore fatti
di avorio ed ebano e che per decenni eravamo stati
ammirati da tutti i visitatori della casa quando
eravamo in bella mostra sul grande tavolo di mogano
col ripiano di cristallo in mezzo alla sala in cui
venivano ricevuti gli ospiti.
Avrei voluto dirgli che loro non potevano nemmeno
immaginarsi delle lunghe ore di battaglie che
avevamo trascorso: la disposizione tattica dei fanti
allo scoccare dell'ora in cui iniziava la contesa;
il lento avanzare a ranghi compatti verso il settore
nemico; le rapide incursioni della cavalleria che
seminavano lo scompiglio tra le fila avversarie; la
conquista strategica di un settore del campo di
battaglia.
E poi ancora: gli assalti improvvisi, i ripiegamenti
sotto l'incalzare del nemico a difesa del nostro
sovrano, le battute d'arresto, il rumore sordo degli
zoccoli dei cavalli lanciati al galoppo, gli ordini
convulsi urlati nel caos montante della lotta, gli
slanci eroici isolati, il dramma della caduta,
l'odore acre della sconfitta, il profumo della
vittoria…
Avrei voluto dire a quell'uomo tutto questo e molto
di più ma ho taciuto convinto che l'altro uomo,
quello che ci aveva descritto come oggetti di
valore, prendesse le nostre difese. Quest'ultimo,
invece, con aria imbarazzata disse che si, in
effetti, se c'era qualche oggetto che meritava di
essere recuperato, tuttavia quasi tutti andavano
indubbiamente eliminati. Non solo, ma aggiunse anche
che avrebbe provveduto lui stesso allo sgombero di
tutto quel "vecchiume".
Improvvisamente allora la giovane coppia annuì con
aria soddisfatta e le ultime battute fra i tre
furono cordiali ed amichevoli. Uscirono dal
soggiorno sbattendo la porta, parlando gioiosamente
e ridendo forte. Naturalmente nessuno si curò di
chiudere la porta finestra che dava sul giardino.
Quando furono usciti tutti la rabbia e l'orgoglio
che avevo provato fino a pochi attimi prima svanì ed
io ho avuto modo di riflettere molto.
All'improvviso, come grazie ad un'illuminazione
dall'alto, ho capito.
Ho capito che il soggiorno in cui giacevamo da anni
non era uno scrigno dorato dove venivano custoditi
gli oggetti più preziosi ma solo un misero ricovero
per le cose inutili che non interessavano più
nessuno.
Ho capito che se il vecchio proprietario defunto
aveva voluto conservarci in quel luogo invece di
liberarsi di noi subito era solo perché,
semplicemente, si era dimenticato della nostra
esistenza.
Ed in effetti come avevo potuto non rendermene conto
subito?
Ovunque vagassi con lo sguardo vedevo solo oggetti
rotti, deturpati, sporchi, laceri: vecchi libri
illustrati dalle pagine ingiallite, rovinate
dall'umidità che penetrava dal giardino; alcuni
quadri dai colori sbiaditi, dai soggetti ormai
indecifrabili; uccelli impagliati sbilenchi sul loro
piedistallo di legno; una vecchia cassapanca con le
decorazioni intagliate scalfite e sbrecciate; un
armadio pieno di vestiti polverosi forse appartenuti
alla proprietaria che se ne era andata dopo la morte
del marito; una radio a valvole ormai inservibile
muta da chissà quanti anni…
Per quanto mi ostinassi, per quanto osservasi con
scrupolo non riuscii a vedere altro che vecchie
reliquie di un passato ormai morto e sepolto,
completamente prive di qualsiasi utilità e
irrimediabilmente compromesse nella loro originale
bellezza.
Infine, con un atto di coraggio, guardai i miei
compagni disposti sulla scacchiera come se li
vedessi per la prima volta: eravamo stati lasciati
ancora ben allineati, certo; eravamo pur sempre
fatti di materiale pregiato, avorio ed ebano… ma da
quanto tempo più nessuno giocava con noi?
Guardai meglio e ciò che vidi fu uno scempio che mi
colmò di orrore: solo apparentemente eravamo ancora
integri.
Nella fila di fronte a me, quella dei Neri, uno dei
due cavalli era quasi completamente decapitato; una
Torre era inclinata di lato a causa della parziale
rottura del suo piedistallo; la Regina, una volta
bella e altera, era così coperta di polvere da
apparire più grigia che nera; un paio di pedine
mancavano, evidentemente andate perdute e ora
abbandonate nell'incuria chissà dove.
Ed anche tra il mio schieramento, tra le file dei
Bianchi dico, il nostro stato era penoso: io stesso,
l'Alfiere bianco che pure ero tra i meno intaccati
dal trascorrere del tempo, avevo la superficie
chiazzata da abrasioni in più punti.
Infine ho capito, finalmente, perché in tutto quel
tempo trascorso nel soggiorno in disuso nessuno si
era mai preoccupato di proteggerci dalle intemperie
chiudendo la porta finestra che dava sul giardino.
Ora siamo qui in attesa dello sgombero.
Fra un mese, un settimana o forse domani un robusto
facchino ci prenderà, ci getterà in una scatola di
cartone alla rinfusa insieme ad altri oggetti, ci
caricherà su un furgone rombante e, infine, ci
abbandonerà in qualche discarica cittadina
all'aperto oppure ai margini di una strada sterrata
di campagna.
Quando saremo lì depositati, inerti e dimenticati in
mezzo ad altre cianfrusaglie, penso non ci resterà
altro da fare che guardare il succedersi delle
stagioni e il vano affaccendarsi degli uomini.
Loro, sempre così intenti a comprare e poi
abbandonare oggetti che una volta avevano amato.
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