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Narrativa

Lo shopping delle lingue di Massimo Acciai, Lingue di Antonella Pedicelli, Fiesta di Massimiliano Chiamenti, Città smarrita di Paolo Ragni, La parola di Anna Maria Volpini

Poesia italiana

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi poetici inediti, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
poesie di Massimo Acciai, Caterina Bigazzi, Miriam Cividalli Canarutto, Giuseppe Costantino Budetta, Andrea Cantucci, Chiara, Francesco Felici, Renato Lonza, Manuela Palchetti, Luciano Valentini, Anna Maria Volpini

Poesia in lingua

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi poetici inediti, in lingua diversa dall'italiano, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
poesie di Francesco Felici, Maria Pia Moschini, Julianna Vas-Szegedi

Teatro

La favola dello spettacolo di Liliana Ugolini
intervista di Massimo Acciai  

Aforismi

10 AFORISMI in poesia...
di Andrea Cantucci  

Saggi

José María Eguren di Enrico Pietrangeli
Scritture minimali, scrittori metropolitani di Caterina Rocchi

Recensioni

Marta di Antonio Sofia, recensione di Massimo Acciai
Disorder di Gianfranco Franchi
Comunque bella di Marco Boscaro, recensione di Marco Bazzato
Il fantastico mondo dei sogni di Sabina Rellini, recensione di Enrico Pietrangeli
C'è una spina che mi buca la vita di Sonia Cincinelli
C'era una volta un computer di Gianluigi Zuddas

Interviste

Intervista ad Antonio Sofia (autore di "Non ti chiederò niente" e "Marta")
di Massimo Acciai

Città smarrita
 

di Paolo Ragni


Franco *** si ritrovò smarrito, per strada, forse verso le sette di sera, in una città sconosciuta.
"Dove sono?" fu il suo primo pensiero, ma subito dopo questo gliene vennero altri, inusitati.
"Sono nella mia città!? Quale è la mia città? E' vero che mi chiamo Franco? O forse mi chiamo Fabio, o Francesco, o Fenomeno. Quale è il mio nome?"
Il disorientamento durò alcuni minuti. Franco *** restò dove era, in una piazza alberata, all'impiedi, aspettava che gli si schiarissero le idee. Infine decise di soprassedere, in definitiva davanti ai suoi occhi c'era un'invitante osteria, lì davanti la gente stava prendendo posto ai tavoli apparecchiati. L'insegna era scritta in greco, si leggeva bene TABEPNA. Brillava ancora un po' di luce, forse era autunno o forse era già iniziata la primavera, senz'altro l'ambiente dava l'impressione di spensieratezza. La contentezza -disse tra sé- è così difficile da ottenere!
Entrò nella trattoria e per prima cosa chiese un posto all'aperto. Una ragazzetta minuta lo accompagnò sotto un gazebo, a un tavolo a due - Franco *** osservò che tutti gli avventori non parlavano italiano come lui ma una lingua slava. Chiese un quotidiano del posto, lì per lì non ne avevano, ma insisté, doveva trovarvi una notizia importante. Dopo qualche minuto la ragazza glielo portò. Andò subito a cercare la cronaca locale, era di una media città piuttosto lontana da casa sua, non molto, ma abbastanza, qualcosa come quattrocento chilometri.
"Ma perché mai sono finito qui a quest'ora? A quanto pare, è questa del giornale la città dove mi trovo! E perché questi qua parlano serbo-croato dopo la guerra? Dopo Vukovar non si può".
Arrivò un cameriere. Costui, un giovane distinto, coi capelli così neri che sembravano blu e l'orecchino, chiese se c'era un albergo a poco prezzo nei pressi. Il cameriere manifestò profondo stupore e rispose faticosamente che no, non c'erano alberghi, da quel che lui personalmente ne sapeva.
"Nothing. Nothing at all".
Franco rimase altrettanto stupito e si guardò nel portafogli quanti soldi aveva: per fortuna era molto munito di contanti, veramente molti. Preso da improvvisa curiosità, tirò fuori la sua carta di identità: la fotografia era la sua, senz'altro, anche se un po' scolorita, ma i dati non si leggevano, in ogni caso avevano strani accenti e apostrofi. Provò con la patente, ma anche questa gli riservò la stessa sorpresa. C'erano anche tutti gli altri suoi documenti. Guardò allora cosa stava scritto sulle carte di credito: davanti erano illeggibili i nomi e, dietro, solo un frego.
"Che strano!" esclamò "eppure me ne ricordo ancora i codici!"
"Il signore ha detto qualcosa?" intervenne il cameriere premuroso "Vuole mangiare nella nostra gostionica?"
"Oh, niente! mi sono ricordato una cosa".
Il ragazzo gli si avvicinò:
"Mi scusi per prima, ma vede, la nostra trattoria affitta camere; per questo prima Le ho detto di no. Sa, la Sua domanda mi pareva strana. Non aveva visto qui sopra l'insegna della locanda?"
Guardò bene e vide una scritta, molto polverosa, recitava Inn.
"Ma che bella notizia!" rispose Franco, sollevatosi "Quanto costa una notte?"
"Quattrocentocinquanta quadrati".
"Quadrati? Ma io non ho quadrati. Io ho solo euro, ërò".
"Allora è un problema" replicò l'altro subito pensieroso; subito dopo però fece un largo sorriso.
"Nessun problema, anzi. Lei potrà pagare in sterlinali, ballerini e due di denari, like it your own way, c'est la même chose…"
"Eppoi" rispose Franco *** "ho anche la carta di credito!"
"Pensi un po'" riprese in aria riflessiva il giovane "Quando si ha una carta di credito si crede di potere fare tutto, anche di essere qualcuno; and you know you're nobody's fool. E poi invece la vita è sempre la solita, sembra che non cambi mai niente. Chissà se poi le cose cambiano davvero oppure no".
"Io penso spesso" interloquì Franco *** "a quelli che non hanno alcuna carta di credito in tasca. I bambini che vivono nelle discariche non hanno niente di tutto questo. In Brasile parlano un portoghese difficile. Tanti pensionati non possono permettersi neanche di andare al mare una volta l'anno".
Accanto a lui, a un tavolino tondo, andò ad accomodarsi una giovane donna sola. Intanto, sui tetti di plastica del gazebo iniziò a ticchettare una leggerissima pioggia.
"Ma guarda! Mi sono dimenticato di guardare che giorno è oggi. Scende la pioggia ma che fa? Rain and tears".
Riprese in mano il giornale. Sembrava di leggersi che era un sabato di ottobre, ma la cosa più strana era che accanto al giorno, mese ed anno (quest'ultimo corrispondeva senz'altro a quello che si ricordava) erano indicati tutti i nomi dei mesi della Rivoluzione Francese, proprio in francese; inoltre, in alto a destra, dove sta di solito la pubblicità, erano i disegnini stilizzati dei lavori dei mesi, come usava nel Medioevo, con le didascalie in latino.
"Ma guarda un po'!" esclamò ancora, ad alta voce, allietato dalla piega che stavano prendendo le cose "La città non è di poco conto, la stagione discreta e in fondo ho un po' di soldi in tasca. Domattina prendo un treno e torno a casa. Già j'entends siffler le train!"
"La stazione è vicina" intervenne la ragazza al suo fianco "il primo treno per uscire di qui è la mattina alle sei e settantadue. Tolstoj cercò molte volte di fuggire in treno. Che disgrazia Jasnaja Poljana!"
"Oh, grazie!" rispose voltandosi verso la ragazza "Ma perché, scusi, ha detto: 'uscire di qui?'"
"Oh, questo posto…! Ma non mi faccia dire troppo. Questo posto… questo posto - Oh Dio…"
"Cosa vuol dire? Scusi" sollecitò Franco.
"Oh, niente…" rispose fattasi seria la ragazza. Prese un fazzoletto e se lo stropicciò sugli occhi.
"Ma le è forse successo qualcosa?" insisté Franco ***.
"No, ma Eich stram aloviath fuftheli".
"Come dice?"
"Oh, niente, mi era venuto da parlare nella nostra lingua".
"Quale lingua?"
"Ma quella di qui! Che diamine! Si vede che lei è proprio uno straniero!".
Franco *** rimase ancor più stupefatto. Riprese in mano il giornale, per sincerarsi meglio dove era. La prima pagina adesso era invece scritta tutta in altri caratteri: dove mai avevano trovato quei caratteri tipografici?
"Riesce a leggerli bene?" domandò la ragazza con gentilezza "Se vuole, posso mettermi gli occhiali".
"Oh, grazie. Lei è già molto carina, ma con gli occhiali sarà certamente un amore!"
La ragazza si avvicinò e iniziò a scorrere col dito da destra verso sinistra, dalla prima riga in alto.
"Vede?" chiese con aria saputa "le rune provengono verosimilmente da una forma di alfabeto etrusco settentrionale; come Lei ben sa, l'etrusco ha una scrittura simile al greco euboico. Ecco, dal lago di Garda è poi penetrato attraverso i Veneti e i Reti per le vallate dell'Adige e degli Anni Novanta, e di là è dilagato per i popoli celti del centro dell'Europa, fino agli estremi confini del mondo, fino allo stato delle cose. Tu viaggi spesso per le cose?"
Franco *** voleva risponderle che erano alcuni anni che non viaggiava più, ma non gli venivano le parole. Apriva bocca, ma gli uscivano suoni strani, solo vagamente simili a quelli che voleva esprimere. Riuscì però a distinguere i termini "coraggio" e "vita".
La giovane donna ridacchiava tra sé.
"Lascia pure perdere il giornale, tanto non ci troverai niente di bello, niente di buono. Kalòs kagathòs. Under the bam, under the boo, under the bamboo tree!".
Così dicendo, gli chiuse il giornale davanti. Anche a Franco *** venne da sorridere.
"Ma come faccio a partire domattina?"
"Hai visto che ti riesce parlare la nostra lingua? Basta non pensarci! Più cerchi le parole, meno ti vengono! Aluiàmo, vanàsti, tatrèplice!"
"E' vero: mi sono accorto anch'io che più si cercano le cose, meno si trovano. E' anche vero il contrario. Non avevo neanche pensato che era ora di cena, e mi spunta davanti una trattoria. Non pensavo ad una bella ragazza ed ecco che me ne viene una a spiegare le lingue".
"Oh Dio…!" bisbigliò "Non mi dica mai queste cose in pubblico…"
"Ma perché mai? La mia nonna mi diceva sempre 'male non fare, paura non avere'. And then the fear grows. Eroistàno Phalèisou!".
"I tempi sono cambiati. Ma adesso facciamo cena. Non vorrei che avessero sentito".
Giusto in quell'attimo, il cameriere portò loro due piattini di gelato al cacao e, subito dopo, in velocissima sequenza, un grappolo d'uva, un bicchierino di grappa di prugne, un'insalata con formaggio fuso, una bistecca col curry, una minestra di verdure, un antipasto toscano, un vassoio di olive, un aperitivo.
Franco *** provò a spiegare al giovane che tutta quella roba non gli tornava, ma gli venne solo da parlare uno stentato tedesco. Il giovane si sorprendeva a sentirlo parlare così, e alla fine, risoluto, disse in modo appena percettibile:
"No. No. Qua usa così. E La prego, parli la nostra lingua. Ci vogliono secoli perché se ne formi una".
La ragazza pareva sprofondare dalla vergogna. Il cameriere, dai capelli più blu che mai, se ne andò via palesemente contrariato.
"Ma lo capisci?" piagnucolò lei "che tu te ne puoi andare via domattina, mentre io sono condannata a restare qui? Ma non lo capisci proprio?!"
"Scusami tanto, Elisa, non volevo farti del male! Eudiosi Staricon".
"Se io ti ho tanto amato, non puoi giocarmi questo tiro così!"
"Ma tu non lo sai che io ti ho sempre amata! Morirei adesso io al posto tuo, adesso. Tutto il resto non mi interessa più".
La ragazza arrossì, aveva ancora gli occhi lucidi.
"Esci di qui. Alzati. Non è vero che devi morire: non ho mai creduto questa cosa, no, non è vero, non è vero!"
"Non ci siamo mai capiti! neanche questa volta ci comprendiamo. Alziamoci, andiamo via di qui. Il prima possibile!"
Franco *** ed Elisa si alzarono. Muovendosi, rovesciarono per terra il tavolo con tutto quel che vi era sopra. Il cameriere apparve subito, ma non disse niente. Si limitò a contemplare perplesso i piatti per terra e a mormorare parole incomprensibili.
"Elisa, ma dove potrò dormire stanotte? E come farò a prendere domattina il treno delle quattro e novantadue?"
"Prima di tutto" rispose Elisa "hai la Carde di Identalia? La Passportia estrangeria? La Billeta Authoria?"
"Io non ho nulla di tutto questo. O meglio - ho un sacco di soldi nel portafogli!"
"Fammi vedere"
"Ma non qui il mezzo alla strada!"
"Verrà un momento in cui tutto quel che è nascosto verrà alla luce, perfino le pietre grideranno, quel che nessuno vuol confessare verrà gridato dai tetti!"
"E come faremo quel giorno?"
"In quel giorno sarà meglio che le donne vadano a nascondersi, invece di partorire. Inquietum est cor nostrum. Amèn lego humìn!"
Franco *** si sedette su una panchina. Elisa gli si mise accanto. Intorno tutto stava facendosi buio, la gente passeggiava, entrava nei negozi, portava a spasso cani, soffiava strane parole nei cellulari.
"Ma cosa stanno dicendo?!" la interrogò "non capisco niente!"
"Chi li capisce più! Vieni a dormire a casa mia. Non ti vorrà mai più nessuno all'hostal dopo lo sgarbo che hai fatto".
"Io non volevo fare male a nessuno. Capita nella vita di sbagliare. Errare humanum est. Ego te absolvo, comme il faut. Let it be".
"Dormi, amore, chiudi gli occhi".
Franco *** appoggiò la testa sulle gambe di Elisa. Socchiuse gli occhi.
"Sei bella…"
"Non capisco…"
"Ho detto che sei bella. Che ti ho sempre amata".
"Non capisco ancora … ma non ti preoccupare. Ci sono cose che non si possono dire con le parole. Anche la felicità è una di queste cose".
"Ma la felicità allora esiste?"
"Ma certo che esiste. Ma ora, caro, non farti troppe domande. Qualcuno ci ha stregato il cuore, ma solo per un attimo".
"Dici davvero?" chiese Franco ***
"O Freunde, nicht diese Töne!
Sondern lasst uns angenehmere
anstimmen und freudenvollere!"



Note al testo:

TABEPNA: TAVERNA, in greco maiuscolo; trattoria.
Vukovar; città croata, luogo di una strage compiuta dall'esercito serbo.
Nothing. Nothing at all: Inglese: Niente, niente affatto.
Gostionica: in serbo-croato: trattoria.
Inn: inglese: locanda.
Ërò: pronunciato alla francese.
Like it your own way: inglese: fai come vuoi.
C'est la même chose…: francese: è lo stesso.
You know you're nobody's fool: inglese, dai Pink Floyd: sai di non essere lo sciocco di nessuno.
Sembra che non cambi mai niente: citazione, imprecisa, da Franco Battiato.
Scende la pioggia ma che fa? Canzone di Gianni Morandi.
Rain and tears. Inglese: pioggia e lacrime, canzone degli Aphrodite's child.
j'entends siffler le train: francese: sento soffiare il treno, canzone di Charles Trénet.
Eich stram aloviath fuftheli: non significa niente. Le prime due parole sembrano di ceppo germanico, le altre etrusco.
Kalòs kagathòs. Greco antico: bello e buono;
Under the bam, under the boo, under the bamboo tree: inglese. Sotto il bam, sotto il bu, sotto l'albero di bamboo. Da Thomas Stern Eliot.
Aluiàmo, vanàsti, tatrèplice: non vuol dire niente. Le ultime due parole sembrano slave, forse ceke.
And then the fear grows: Inglese. E allora la paura cresce. Pink Floyd.
Eroistàno Phalèisou: nessuna lingua, ma sembra greco antico.
Eudiosi Staricon: nessuna lingua, ma sembra greco antico.
Verrà un momento in cui tutto quel che è nascosto verrà alla luce, perfino le pietre grideranno, quel che nessuno vuol confessare verrà gridato dai tetti: parafrasi di parole di Gesù Cristo.
In quel giorno sarà meglio che le donne vadano a nascondersi, invece di partorire. Parafrasi di parole di Gesù Cristo.
Inquietum est cor nostrum. Latino, E' inquieto il nostro cuore. Da Sant'Agostino.
Amèn lego humìn: Greco antico: dal Vangelo, in verità vi dico.
Hostal: Spagnolo: hotel.
Errare humanum est: Latino: errare è umano.
Ego te absolvo, latino: Io ti assolvo.
Comme il faut. Francese: come si deve. Usato spesso per sottolineare una convenzione, in particolar modo dai romanzieri russi.
Let it be. Inglese. Così sia. Anche i Beatles.
La felicità domestica. Titolo di un breve romanzo di Tolstoj.
O Freunde, nicht diese Töne! Sondern lasst uns angenehmere anstimmen und freudenvollere!: Tedesco: Amici, non questi toni! Lasciateci intonarne altri più allegri e più graditi. Schiller, Beethoven.

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