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Narrativa

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi narrativi inediti, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
L'ultima regina d'Inghilterra di Massimo Acciai Baggiani, Il riposo di Rossana D'Angelo, Verso l'Australia di Gennaro Tedesco

Poesia in italiano

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi poetici inediti, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
poesie di Massimo Acciai Baggiani, Andrea Cantucci

Poesia in lingua

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi poetici inediti, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
poesie di Valentin Ioan Remus Niculescu, Aurelian Sorin Dumitrescu

Recensioni

In questo numero segnaliamo:
- "La lingvovendejo", di Massimo Acciai, recensione di Davide Zingone (esperanto/italiano)
- "Laura e il treno per Elintur", di Antonio Messina

Articoli

Breve panoramica sulle associazioni di scrittori italiani
di Massimo Acciai Baggiani
Replica
di Gennaro Tedesco

Intervista

Ritratto di Patrizia Beatini
a cura di Massimo Acciai Baggiani

Replica
 

Gennaro Tedesco
 


 

Noi non pretendiamo di "asserire qualcosa a maggior diritto di un altro."Esprimiamo soltanto un nostro parere,che,in quanto nostro,è diverso da quello degli altri,ma non asserente "qualcosa a maggior diritto di un altro".La nostra è una delle tante possibili e "verosimili" opinioni.
Anche ammettendo che "il poeta parla di ciò che è nel mondo per la sua esperienza",egli lo fa attraverso il mezzo espressivo linguistico,che non è la realtà,ma una convenzione.E ciò vuol dire,proprio perché il poeta parla della"sua esperienza",che tale sua "esperienza" non è più sua perché ora ce la comunica attraverso il linguaggio,e,se mai lo è stata prima di comunicarla,l'unico modo per comunicarla è solo il linguaggio in quanto convenzione che ci accomuna.
E non è vero che affermiamo che"esistenza cosciente a se stessa possa essere letta come una affermazione metafisica",perché il metafisico è colui che afferma o nega qualcosa sulla realtà,ma il poeta come il mistico,anche se con le dovute differenze,non sono metafisici,non operano sulla realtà,ma sul linguaggio,o meglio,"alle frontiere del linguaggio".Il poeta e il mistico urtano contro il linguaggio,lo distorcono,gli danno un "loro senso",che poi ovviamente non è un senso o per lo meno non è il senso della convenzione linguistica usuale,ma agiscono sempre sul linguaggio,mai sulla realtà.
D'accordo,"il nome rimanda all'oggetto",ma siamo noi che diamo convenzionalmente i nomi agli oggetti e non gli oggetti ai nomi! Certo che "ci accorgiamo che sta piovendo",ma che la pioggia fosse "reale" e che la pioggia fosse "
pioggia" ce ne siamo accorti solo quando siamo entrati in possesso del mezzo linguistico,prima la pioggia non era altro che…non si potrebbe dire che cosa. Solo dopo la prima riflessione umana attraverso il linguaggio abbiamo appreso della "pioggia". Ora noi distinguiamo due possibilità all'interno del linguaggio: la prima riguarda la prova dimostrativa così detta "scientifica",che ha come oggetto la sperimentazione che dovrebbe verificare o falsificare l'ipotesi. La verificazione e la falsificazione dello scienziato è sempre una selezione dei dati,cioè una scelta personale,che avviene attraverso il linguaggio,che, pur vago,non è zoppicante,ma,anzi,proprio grazie alla sua vaghezza consente il calcolo delle probabilità,che forse nella scienza è meno soggettivo,ma mai meno oggettivo,che in altri campi.
Certo che "nostro padre capitale è sempre troppo paranoicamente presente",ma siamo noi,che,che attraverso delle riflessioni anch'esse linguistiche,vediamo l'"esistenza del capitale".Ma l'"esistenza del capitale" non è "oggettiva" se non nella misura in cui siamo capaci di addurre prove non assolute,ma probabilistiche,di una probabilità senz'altro inferiore rispetto a quella della scienza,non fosse altro perché siamo in pieno regno dell'opinabile,dell'estremamente soggettivo.Proprio perché non esiste l'obbiettività,e tanto meno quella del capitale,dobbiamo sempre essere pronti a ricrederci su tutto,anche su noi stessi,"Ciò che conta è chi parla,e chi parla è fuori del mondo,e lo dice proprio Wittgenstein." Certo che lo dice Wittgenstein,ma egli,nelle "Ricerche filosofiche",che sono anche un ripensamento critico del "Tractatus",sostiene anche un'altra cosa: dato che siamo nel mondo e parliamo,anche il linguaggio fa parte del mondo e quindi parliamo nel mondo e non fuori del mondo a meno che non si tratti del mistico,ma di lui già abbiamo detto.Le formule matematiche,come la logica,sono differenti rispetto alla lingua.La matematica e la logica sono analitiche,cioè necessitanti perché non ammettono il dissenso dell'uditorio. Sono stabilite così e basta.Non c'è possibilità d'intervento personale. Le cose stanno diversamente per la lingua. Il significato di una parola è il suo uso.e ognuno di noi può fare l'uso che vuole di una parola a patto che ci dica il modo in cui la usa. E se la vuole usare in maniera diversa da noi senza spiegarne l'uso,lo faccia pure,ma si renda conto che non ha più un senso a noi comprensibile. La lingua quindi si distingue dalla matematica e dalla logica perché non è necessitante,perché ammette il nostro intervento critico e la nostra immaginazione personale.E' possibile che il poeta non riesca a "convenzionalizzare una comunicazione",ma non perché non usi una convenzione,cioè il linguaggio,ma,anzi,perché egli usa un nuovo tipo di convenzione di cui non sa o non vuole chiarire il senso.Il fatto stesso che scriva e che abbia un pubblico conferma l'esistenza della nuova convenzionalità. D'altra parte è proprio l'esistenza della convenzione linguistica che consente "l'eccezione poetica".
"Se il referente è il mondo,allora siamo nella tautologia".E infatti l'analisi del linguaggio,la chiarificazione logica del linguaggio,non scopre nulla,solo chiarisce ciò che già esiste e che noi avevamo sotto i nostri occhi,ma prima non vedevamo.

 
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