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Narrativa

Neve & nebbia di Massimo Acciai, Ospedali di Giuseppe Costantino Budetta, I gatti di Villa De Santis di Rossana D'Angelo, Camomilla per due di Renato Lonza, Novanta anni di Paolo Ragno, La pelliccina di Anna Maria Volpini

Poesia italiana

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi poetici inediti, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
poesie di Massimo Acciai, Elvira Balestracci, Mariella Bettarini, Daniel Bosco, Miriam Cividalli Canarutto, Elisabetta Giancontieri, Renato Lonza, Gabriella Maleti, Maria Pia Moschini, Manuela Palchetti, Barbara Pumhösel, Paolo Ragni, Aldo Roda, Nicola Ruggiero, Roberto Veracini, Anna Maria Volpini

Poesia in lingua

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi poetici, in una lingua diversa dall'italiano, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
poesie in lingua napoletana, esperanto ed inglese

Recensioni

Artico di Francesca Mattoni - recensione di Marco Simonelli
Impromptu di Amelia Rosselli - recensione di Marco Simonelli

Interviste

Intervista a Paolo Ragni: scrittore e poeta
di Massimo Acciai

Arte a Milano

Isola nell'Arte a Milano: un museo del futuro
di Alessandro Rizzo

Recensioni

 

In questo numero:

Artico di Francesca Matteoni - recensione di Marco Simonelli
Impromtu di Amelia Rosselli - proposta di lettura di Marco Simonelli

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Francesca Matteoni, ARTICO (Milano, Crocetti, 2005)

Lo spazio in cui il testo poetico accade non è riconducibile ad un luogo geografico per il suo autore: piuttosto una scelta (istintiva? Meditata?) di locazione filmica di ciò che viene facendosi, una scena in cui far scorrere la propria affabulazione, un fondale davanti al quale porre il proprio dire. Un fondale in cui l'autore sceglie di essere contenuto. Nella poesia Paesaggio possiamo leggere due differenti ottave in verso libero, slegate tra loro dal triplo asterisco eppure strettamente unite da una figuralità glaciale mossa da sinestesie ( "i rami sognano la direzione della neve", "l'orizzonte bianco, drappo di nidi/ sonnolenti"). In tutte le poesie di Artico è lo stesso paesaggio a raccontare liricamente l'autrice, s-oggetto spesso sottinteso eppure sempre presente nella tessitura poetica e grammaticale. Un io che diventa un quasi corale noi, usato spesso nella forma impersonale ("Si scivola sotto ai mastelli"; "Si è ricordati nelle case"). Come in Neurosuite di Margherita Guidacci (autrice verso cui Francesca, nell'intervista pubblicata in fondo al libro, dichiara di nutrire debiti culturali) la scenografia poetica si dilata dall'interiorità sofferente delle figure che popolano le pagine. Artico di Francesca Matteoni è un libro compatto ed essenziale che nei suoi 24 testi racconta, attraverso una mappatura energicamente tracciata, una sorta di spedizione e relativa ricognizione attraverso le "zolle d'una terra malferma". L'iceberg, la cui parte emersa è una minima percentuale delle sue reali dimensioni, si frattura e si manifesta interamente creando una superficie praticabile solo da colui (colei, in questo caso) per cui "L'inverno è consolazione/ indomabile ghiaccio, puro". Nonostante la matrice metaforica sia composta in parte da un immaginario quasi fiabesco, il timbro generale del testo poco ha in comune con la consolazione: la continua paratassi, la scelta di immagini dai contorni definiti, gli incisivi dettagli di un paesaggio interiorizzato (più che interno o meramente simbolico) non sono altro che gli stratagemmi retorici necessari ad un approccio dinamico e combattivo nei confronti di una realtà ostile. Una lingua scandita dallo sguardo che compie la sua iterazione dall'interno della condizione reale, abbandonandosi ad una descrizione quasi onirica di sé e della propria esperienza umana in una sorta di fase REM dei codici espressivi.

Marco Simonelli

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ALL'IMPROVVISO UNA SCONOSCIUTA
[Proposta di lettura per Impromptu di Amelia Rosselli]



In una lettera dell'11 Luglio 1980 indirizzata a Giorgio Devoto Amelia Rosselli, accompagnando l'invio del poemetto Impromptu, preoccupata che la brevità del suo scritto possa distogliere l'editore dalla pubblicazione, propone l'aggiunta di altri testi:

"Potrei darle anche degli inediti (appunti, oppure alcune poesie del periodo '66/'77), ma penso che il poemetto stia meglio da solo […]".

Interessante il post scriptum:

"Se proprio è necessario aggiungere una seconda parte inedita a questo poemetto avrei anche della prosa del 1968, inedita, anch'essa di 10 pagine, intitolata Diario Ottuso […]"

Impromptu sarà pubblicato nel 1981 presso le edizioni San Marco dei Giustiniani come testo singolo, con una prefazione di Giovanni Giudici mentre Diario Ottuso apparirà in volume solamente nel 1990 presso l'Istituto Bibliografico Napoleone in Roma. Perché Amelia propone, seppur riluttante, l'abbinamento della sua "autobiografia possibilmente pochissimo biografica" a quel poemetto composto dopo un settennale silenzio e che per lei costituisce uno "sbalzo tecnico rispetto a Documento"? Possibile ipotizzare un rapporto che in qualche modo leghi le due opere aprendo uno spiraglio interpretativo (uno dei possibili) sull'intelligenza di Impromptu? Al di là del dato stilistico, entrambi i testi sembrano suggerire più che una serie di rimandi impliciti alle proprie vicende esistenziali, un punto cronologico che sintetizza sulla pagina un'improvvisa visione d'insieme dell'esperienza. Se è possibile attribuire alle tre raccolte maggiori (Variazioni belliche, Serie ospedaliera e Documento) l'intenzione di registrare attraverso la spazialità metrica una visione della realtà immortalata nel suo cubico divenire, Impromptu e Diario ottuso sembrano funzionare secondo un meccanismo in cui la realtà non è più soggetto monologante ma oggetto di interrogazioni e dubbi, imputato a cui contestare il "nostalgico procedere/ verso un' impenetrabile morte".
In particolare, la prima parte di Impromptu afferra due diverse percezioni dell'io mettendole in antitesti. Amelia rifiuta d'essere il borghese che "tralappia" e ribadisce l'integrale matrice della propria poesia intesa non solo come vocazione ma anche come scelta personale di lavoro e impegno politico all'interno di una società ("un sudore/ tutto concimato, deciso, coinciso/ da me, non altri-": si noti la possibile devianza linguistica di quel sudore "coinciso", verosimilmente inciso con, quasi che la fatica del lavoro contenesse insieme l'accezione del latino "cadere dentro" e quella dell'apertura con un taglio netto). Amelia ingiunge "l'alt" alla percezione di sé da parte "d'altri" come "clown faunesco": la mancata "epidemia" di sillabe e parole che negli anni precedenti ha generato il corpus della sua opera poetica è contrapposta energicamente alle sue "ossa che/ si rifiutavano di seccarsi al sole"; il nucleo di tensione politica che costituisce lo scheletro-intelaiatura della poesia di Amelia è ancora presente in questi versi del 1980 (in un'intervista rilasciata nel 1992 a Francesca Borrelli dichiarerà a proposito di Impromptu: "…Lì ricominciai a parlare di politica, se pure in modo larvato").
La terza strofe del poemetto introduce concettualmente un paesaggio metaforico sempre in antitesi: non esiste un sole che non sia "lumière": qui l'elemento cosmico e naturale, diremmo quasi patriarcale, assume una sfumatura significante possibilmente luce soffusa oppure, seguendo il connettivo linguistico della Rosselli, per la quale ogni parola è un "pozzo della comunicazione" da cui estrarre una pluralità di senso sempre aderente alla di lei intenzione comunicativa, potremmo supporre che qui Amelia stia parlando liberamente "alla luce del giorno". Il francese, poi, è un "par terre" (espressione che, con differente grafia, ha il valore di aiuola d'erba ma anche, per estensione, la zona del teatro in italiano definita come boccascena. In questa strofe Amelia dispone e prepara la scena verbale dichiarando i propri intenti discorsivi e ribadendo la poetica di sempre, scrittrice che parla di sè attraverso la funzione teatrale e rappresentativa delle parole. Non si tratta di parola teatrante ma di parola "teatrata", rappresentata. E' in questo palcoscenico che avviene la metamorfosi: "cangiando viste" e "forme": con una inedita percezione della realtà che si riflette sull'asciuttezza dell'impalcatura metrica di questi versi (lo "sbalzo tecnico" che Amelia stessa ravvisa in questa scrittura evidentemente differente da quella di Documento e dalle precedenti).
Nei "soli e luci/ per nulla naturali" Amelia "impenetrava" la sua notte: in questa devianza linguistica (che Manuela Manera riconduce ad una contaminazione fra penetrare x imperniare x impermeare) è possibile vedere l'estremo impegno del lavoro poetico dell'autrice che entra nella sua notte, la aggancia e la fissa col perno-scrittura, non ammette più una compenetrazione fra il suo privato silenzio e la necessità del suo dire pubblicamente alla luce del sole.
Si distingue, a questo punto, fra "chi era fermo, e chi non/ lo era". Si tratta di prendere una posizione, di riconoscere ancora una volta (in sè stessa e nel suo ruolo pubblico di poeta) la necessità di un'azione, agire esercitando una scelta. Improvvisamente, è il riconoscersi ancora capaci di discernere fissità e movimento. Un "elettrico ballo non più/ compaesano" sembra essere il principio di questa distinzione.
Appena dimostrata la sostanziale differenza tra la stasi e il movimento (intellettuale? ideologico? politico? artistico?) Amelia passa immediatamente all'azione (e qui sarebbe necessario notare come nella rendition interpretativa vocale del proprio testo, la voce dell'autrice segua un timbro più martellante, frenetico, concitato, mitragliante). Iscritta al Pci da ventotto anni, la Rosselli (fedele all'animo patriottico dell'illustre genitore) difende "i lavoratori" e "il loro pane a denti stretti" e cacciando quel metaforico "cane" dalla sua "mansarda" (la sua abitazione romana in via del Corallo era effettivamente una mansarda) si prepara a una "vendemmia", quindi ad un raccolto (poetico? artistico? politico? Nella Rosselli l'impegno poetico e quello civile si mischiano generando una pluralità di letture).
Gli ultimi versi di questa prima parte del poemetto sono una clausola importante di un contratto morale fra il poeta e i suoi lettori. Impromptu rischia di essere "l'ultima opera" e quell'inquietante condizionale "se non mi salvate" getta adesso, a dieci anni dalla scomparsa, una macabra luce sull'intelligenza del testo: una richiesta di aiuto non solo personale che, anzi, diretta al pubblico (entità che Amelia in più interviste si dichiarerà incapace di figurare) pare un'esortazione all'azione. non già ad una rivoluzione ma ad una coscienza identificativa di massa che riconosca il sole (con le sue molteplici sfumature di chiarezza, di luce, di entità splendente etc.) come legittima proprietà del popolo.

Marco Simonelli

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