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Caffè Letterario Musicale

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rubrica a cura di Massimo Acciai

Interviste 

Intervista agli Underfloor
a cura di Massimo Acciai
Intervista a Emanuele Rovere
a cura di Massimo Acciai
L.A. Vermont: un mosaico fluido di generi in un incontro di stili differenti
a cura di Alessandro Rizzo

Recensioni e articoli 

Underfloor: quattro
di Massimo Acciai
Looking for truth (di Margherita Pirri)
di Massimo Acciai
Antiche emozioni
di Rossana D'Angelo

L.A. Vermont: un mosaico fluido di generi in un incontro di stili differenti


a cura di Alessandro Rizzo


Davide Veronese, tromba, e Francesco Lanaro, chitarra, sono due ragazzi che hanno formato un gruppo, L.A. Vermont, generi diversi in una ricerca stilistica e molto complessa. Il loro gruppo risulta essere, cosi, un "mosaico fluido", come la loro stessa formazione: partono dal duo per, poi, trovare altri elementi che si aggiungono, come Simone Monti, violino, la parte più classica, arrivando anche a formare, a volte, un trio, un quartetto e un quintetto. Li abbiamo intervistati. "Noi suoniamo principalmente - hanno considerato - come una band degli anni 70" per, poi, aggiungere: "non abbiamo una ricerca, come i cantautori, ma siamo più anarchici".

Da dove nasce l'idea del nome del gruppo: L.A. Vermont?
Perché abbiamo la tendenza di suonare il jazz come se fosse nato in Vermont.

Nel Vermont c'è una musica particolare?
Noi abbiamo registrato quattro pezzi, che sono la premessa del nostro disco, con un contrabbassista e abbiamo visto che dai nostri cognomi, Lanaro, Veronese e Monti, che è il contrabbassista, uscivano le parole L.A. Vermont, formulando una sorta di acronimo.

I vostri brani, scritti da voi: ne possiamo parlare?
Uno è nostro, un altro risulta essere un arrangiamento di Horace Silver in un suo brano che si intitola Nica's dream. I testi che noi scriviamo e componiamo sono dei brani originali legati alla vena swing di Davide, o a quella più pseudo intellettuale che troviamo in Francesco. Non vogliamo rendere troppo difficile la nostra proposta musicale.

Perché avete scelto un pezzo di Horace Silver?
Esclusivamente lo abbiamo fatto per la parte poetica e per il paradosso che si legge nella persona di Nica, titolo dell'opera, una grande mecenate del jazz, che negli anni 40 e 50 produceva musicisti jazz statunitensi. Stiamo parlando di una contessa, Pannonica de Koenigswarter, che abitava a New York e che si era presa sotto la propria ala protettiva diversi musicisti b pop, tra cui Thelonius Monk, che, ospitato da Nica, iniziò a impazzire.
La verità si fonde tragicamente con la poesia, come spesso accade nel rapporto tra commedia e tragedia: noi non abbiamo dei mecenati, ci troviamo a suonare in un duo pensando di suonare un pezzo fatto per un ottetto con sensazioni latine: occorre dire che fare questo in due risulta abbastanza ambizioso. Abbiamo pensato a un arrangiamento che portasse su i toni più lounge, introducendo elementi di modernità, in quanto nel pezzo si prendono degli effetti per chitarra, chiamati delay, non ancora inventati e dall'altra parte troviamo elementi che provengono dal tango, tenendo, cosi, la base ritmica del brano.

La vostra formazione: come nasce, come si sviluppa, come è nata?
Entrambi veniamo dalla Scuola civica di jazz, ma abbiamo, sempre entrambi, preso in mano gli strumenti nella giovanissima età, approfittando poco di questo vantaggio.
Simone ha fatto la Scuola civica di musica classica ed è un violinista di formazione chiaramente classica. Francesco e Simone hanno suonato nel trio Chomage, che in francese significa disoccupazione, formazione ormai sciolta, suonando in giro, in media una o due date a settimana a Milano, e producendo una demo.

Lo stile: come possiamo definirlo?
Ci lasciamo far fare i complimenti dagli altri, in un contesto di diseducazione generale riguardo la musica. Come la cucina e il contadino cerchiamo di mettere qualcosa di nuovo, sempre: un jazz caldo, non suoniamo il jazz degli anni 30, ma melodico. Francesco accompagna il tutto, mettendo da parte la sua spinta creativa per tenere il ritmo complessivo. Davide affronta un jazz da song di tradizione. Davide, invece, ha seguito un'evoluzione più o meno cronologica sul genere, cercando di capire gli stili storicamente precedenti: tutto questo garantisce una comprensione migliore di quello che succede dopo. Importante risulta avere la cultura necessaria per capire dove siamo giunti: come un albero che si dirama.

La produzione dei testi come avviene nelle sue fasi?
Dal disagio principalmente: per quanto ci si impegni per cercare di essere internazionali, alla fine siamo italiani e abbiamo qualcosa da dire quando risulta esserci qualcosa di cui lamentarsi. Le belle idee vengono quando sei felice, ma pensi ad altro. Nel disagio è più facile dedicarsi a qualcosa.
Dall'originale qualcuno, poi, aggiunge gli accordi e la melodia, qualcun altro la musica e il testo: dopo di che occorre mettere d'accordo tutti sulle scelte fatte.

Quindi risulta essere il disagio che vi ispira?
Non il disagio inteso nel senso classico del termine. Il disagio si avverte nel vedere le altre persone che non sono a disagio. Per esempio Davide sta male nel vedere gli altri gioire. Molti luoghi esprimono, nonostante potrebbero essere idealmente a noi vicini, musica ad alto volume, alienante e senza ricerca. In tutto questo ambiente si avverte disagio fisico, pur constatando che, invece, il pubblico frequentatore di questi luoghi se la gode. E ci si domanda: se sto male io, dovrebbero stare male tutti ...

Possiamo parlare delle ultime vostre uscite?
Siamo stati a Verona e a Rovereto tra il 15 e il 19 dicembre. A Milano abbiamo lavorato, Francesco e Simome e una contrabbassista, con il Teatro del Vigentino accompagnando l'attrice, Isabella Cremonesi, che ha scritto testi di cabaret. Non è facile reagire in modo pratico in questo contesto, ma con lei abbiamo già fissato alcune date per la messa in scena de Il corpo dell'amore. Abbiamo lavorato con Jazz for business di Dario Villa, che si occupa di portare nel mondo dell'azienda tutto il patrimonio del jazz, con cui lavoreremo ancora. Il 16 dicembre abbiamo tenuto a Verona una nostra esecuzione in occasione di un vernissage: musica, giocolieri e funamboli tutti insieme per questo evento.

Qual'e' il vostro testo più significativo?
Dipende dalle volte. Abbiamo riscritto il testo di Fred Bongusto, "Spaghetti, pollo e patatine", in memoria di Sauro, incontrato casualmente per strada mentre suonavamo, e che ci aveva fatto sentire una sua composizione in grange cor sul subutex al limone, che è il metadone in forma moderna. Francesco e Davide hanno suonato in modo continuativo soprattutto d'estate, per strada, ottenendo un contatto più diretto col pubblico: in queste occasioni si esegue un repertorio che ti possa essere di aiuto e che viene creato senza derive intellettuali, scendendo a compromessi, tale da poter essere apprezzato dal pubblico di strada.
Abbiamo 70 e 80 pezzi nel nostro repertorio, realizzato in due anni di attività. Questa è una cosa che non tutti i gruppi hanno: suonando 4 ore al giorno non per diletto ma per attirare la gente si è indotti a scegliere il pezzo e a eseguirlo o in loop, così impazzendo, o aggiungendo dei nuovi pezzi sempre rinnovati.
Uno degli aspetti negativi di suonare in strada è che ti ritrovi con qualsiasi persona che abbia un disagio e che senta la necessità di comunicartelo. Non c'è barriera tra te e il pubblico. L'incontro con l'uomo della strada può essere a volte gratificante, altre volte si può incontrare un soggetto abbastanza particolare come l'amico Sauro, a cui abbiamo dedicato "Spinelli, popper e chetamina", parafrasando Fred Bongusto. Sauro era pieno di tatuaggi autoinflitti, con varie ferite e lo abbiamo conosciuto a Pisa in Piazza Cavalieri, uno dei posti dove potevamo esprimerci. La situazione che si è presentata è stata la seguente: Sauro chiede la chitarra a Francesco che, dopo alcune vicissitudini, gliela lascia, incominciando, cosi, a suonare il proprio pezzo. Sauro in quel momento non riusciva suonare come avrebbe voluto fare: questo è il disagio, in altra forma, il disagio di chi vive nel disagio.
Non abbiamo dei testi significativi, non abbiamo una bandiera da portare avanti. Cerchiamo di suonare bene, secondo le nostre disponibilità. Non vogliamo fare i cantautori, ma i nostri testi sono frivoli con un aspetto ironico e scherzoso, tale che possa aiutarci a leggere il disagio. Il pezzo che si intitola Penelope vuole, per esempio, sminuire una canzone d'amore. I pezzi ci prendono poco sul serio, non vogliamo essere patetici come diversi parolieri.

Il vostro prossimo lavoro a cui vi state dedicando?
Con Francesco abbiamo un pezzo b-pop dal titolo "Villa for ever", scritto per un'occasione. Somewhere è un pezzo per il gruppo venuto in mente grazie a un riferimento a Gogol: l'ispirazione e venuta a Francesco che, di solito, non ascolta altra musica perché lo blocca, ma, invece, legge qualcosa che lo possa ispirare. Il pezzo in questione parla dei cosacchi, testo legato all'atmosfera cosacca, della steppa, al sole ghiacciato, alla dimensione contemplativa. Questo brano risulta appartenere al filone serioso, ma non ci si può mettere solo in modalità seriosa. Quando c'è qualcosa di serioso si può esprimerlo solo attraverso la musica. Se c'è qualcosa di serio da dire occorre tenerlo per se. Questo testo appartiene al filone sentimentale. Comunicare un sentimento risulta essere un gesto di spudoratezza dettato dalla necessità. Un artista che fa qualcosa lo fa per se stesso e per liberarsi da qualcosa, come correre nudo per strada, esternando qualcosa di estremamente intimo, deprecabile, ma, pur sempre, una necessità. L'artista fa del bene a se stesso e non agli altri. Davide non si ritiene artista: il gruppo è fatto di artigiani. Una situazione di disagio e di forte disagio, messa bene per iscritto, può risparmiarci l'aspetto poetico. Si vuole buttar fuori davanti alla società quel che ci logora come fossimo in una catena di Sant'Antonio del dolore: questo muove, secondo noi, l'artista, liberandolo e condannando gli altri a sentire quel che lui sente.
Un altro testo su cui stiamo lavorando è di genere samba con giri armonici e unito ad altre diverse sambe.

 

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