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Narrativa

La stanza di Massimo Acciai, Tecnostorie di Massimiliano Chiamenti, Il tempo sospeso di Maddalena Lonati, Camera 730 di Maddalena Lonati, Un altro giorno, un'altra mosca, per caso... di Enrico Pietrangeli, Sette racconti al futuro di Paolo Ragni, Il Piano di Daniele Profeti

Poesia italiana

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi poetici inediti, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
poesie di Massimo Acciai, Elvira Balestracci, Caterina Bigazzi, Daniel Bosco, Miriam Cividalli Canarutto, Andrea Cantucci, Sonia Cincinelli, Rossana D'Angelo, Elisabetta Giancontieri, Renato Lonza, Manuela Palchetti, Paolo Ragni, Anna Maria Volpini

Poesia in lingua

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi poetici, in una lingua diversa dall'italiano, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
poesie in lingua napoletana, esperanto ed inglese

Recensioni

Di amore e morte di Enrico Pietrangeli - recensione di Lidia Gargiulo
Seduti dalla parte del torto di Devil Buio - recensione di Simonetta De Bartolo
Tutta colpa della poesia di Dario De Lucia - recensione di Massimo Acciai

Interviste

Il ruolo del consulente letterario: Intervista a Marco Bazzato
di Massimo Acciai

Camera 730
 

di Maddalena Lonati


Attesi un quarto d’ora camminando a piccoli passi fasciata nella longuette cremisi, ad ogni passaggio la mia figura riflessa si perdeva distratta nell’angolo dell’occhio. Non era più il tempo dei controlli ansiosi alla pettinatura, dell’incessante ultimo tocco di cipria, non era più il momento di presentarmi come un regalo da scartare, era terminata la ritualità giocosa che mi trasformava in un balocco nelle tue mani. Sapevo che quello sarebbe stato il nostro ultimo incontro, e tu non te ne eri neppure accorto, troppo impegnato a inventare deboli scuse per una moglie occupata a fingere di non sapere che gli anni l’avevano esclusa da una competizione in cui vincevi solo tu. La nostra relazione si era svolta tutta lì, fra quelle pareti neutre, conoscevo meglio il copriletto avorio e i comodini rococò di te. Solo falsità aveva modulato la tua voce fumosa, e se ero qui ancora una volta forse era solo per congedarmi da una camera ormai tanto familiare. La stanza mi parlava di amori clandestini che odoravano di nuovo, di matrimoni stantii che si affacciavano da quel balconcino vezzoso per rinfrescarsi, di cameriere sottopagate che esageravano coi detersivi, tanto non li pagavano loro; le pareti mi confidavano in segreto le promesse sentite sussurrare alle giovani donne che poi svanivano all’alba toccate dal primo raggio; gli specchi mi riportavano le immagini ormai offuscate delle mogli che si ritoccavano il trucco prima di tornare dal marito, e delle prove fatte dinnanzi a loro dagli avvocati per farsi coraggio prima di entrare in tribunale. Ora la stanza avrebbe parlato anche di me a qualcun altro che l’avesse voluta ascoltare, gli avrebbe spiegato che era una farsa, e che gli attori recitavano un copione scadente. Fra poco avresti appoggiato la ventiquattrore sulla moquette a fiori e mi avresti dedicato un sorriso convenzionale lasciandomi intrisa di amarezza sino al prossimo pomeriggio rubato. Neppure sai chi sia davvero, sembri non voler essere contaminato da scorie di personalità che non ti appartengono, sei così arido da aver prosciugato anche il mio entusiasmo. In fondo, a te mi legava solo questa suite lussuosa, meglio chiuderla al più presto e lasciare lì intrappolati per sempre due anni della mia giovinezza. Il tuo ego ipertrofico non sentirà la mia mancanza, e io ti relegherò presto fra i ricordi non significativi della vita. Quella stanza aveva scandito i ritmi delle mie settimane, all’inizio l’avrei rimpianta perché aveva visto la mia nudità nell’apoteosi dell’età adulta, e mai più sarei stata così perfetta, ma la nostalgia di me stessa avrebbe trovato altri modi per compiangersi. No, nessun valido motivo per rimanere schiava di un’abitudine. Non ti aspetterò, capirai. Quando solo il tuo corpo anziano respirerà quell’aria viziata saprai che è finita. Un ultimo sguardo dalla finestra sull’autunno meneghino e chiudo per sempre la porta 730, come il numero di giorni inutilmente non vissuti nell’attesa di te.

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