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Terrorismo islamico e fondamentalismo economico
 

Antoine Fratini


Di fronte agli attentati terroristici di matrice islamica che si succedono ormai quasi quotidianamente l'unica certezza che abbiamo è la totale inadeguatezza delle misure di difesa messe in atto dai nostri governi. Siamo insicuri delle nostre difese, ma in compenso siamo certi degli attentati a venire. Forse, prima di mettere in atto piani d'azione che immancabilmente si rivelano inefficaci converrebbe analizzare meglio il fenomeno.
Da un punto di vista storico il terrorismo islamico appare come l'espressione attuale di un antico conflitto tra le varie correnti religiose dell'Islam. Queste correnti si dividono principalmente in due : quella che si rifà ad una interpretazione letteralista e rigida del Corano (il sunnismo, tra cui il wahhabismo e il salafismo moderno) e quella più elastica nella interpretazione dello stesso (lo sciismo). La prima appare in forte crisi identitaria dato che propina valori in assoluto contrasto con la modernità, con la democrazia, con la laicità e che nutre il bisogno di convertire gli altri anche con la forza e il terrore se necessario. La psicoanalisi ci ha infatti insegnato che la rigidità di pensiero altro non è che una reazione alla debolezza dello stesso. Anziché aprirsi coraggiosamente all'Altro e rielaborare le falle del proprio pensiero, ci si irrigidisce e si cerca di annientare le voci contrastanti all'interno come all'esterno di sé. Così si spiega infatti il fanatismo : un sovrainvestimento della posizione dell'Io o, per dirla con C.G.Jung, una sovracompensazione del dubbio. Lo sciismo, considerato la corrente minoritaria più importante dell'Islam, è notoriamente più aperto alla laicità, al rinnovamento della società, al confronto con la modernità e quindi sembra rispondere meglio alle intime esigenze religiose dei fedeli. Si stima però che il numero degli sciiti non superi il 15 % dei musulmani. Come vediamo, in realtà siamo ben lontani da un Islam unito ed univoco e quando si parla di attentati terroristici bisognerebbe, mi sembra, ricordarne la matrice sunnita.
Tale conflitto interno all'Islam comunque non è nuovo. Esso risale all'inizio del wahhabismo nato nel '700 dopo la morte del profeta, un movimento religioso particolarmente rigido nella interpretazione del Corano e intollerante nei riguardi di tutti coloro che vi si discostano, in particolare del sufismo (la mistica musulmana). E' importante notare che gli aspetti più suggestivi e interessanti dell'Islam, dai monaci dervisci che raggiungono la comunione con Allah attraverso una danza estatica, a certi testi metaforicamente pregnanti come per esempio il Kitab al-Alim wa-l-ghulam (Il libro del sapiente e dell'adolescente) dove un giovane iniziato finisce per demolire l'interpretazione letteralista del Corano proposta da un teologo ortodosso, appartengono alla corrente sciita.
A complicare la situazione qui molto succintamente descritta si inserisce il rapporto con l'Occidente diventato oggi il maggiore bersaglio del fondamentalismo islamico. Non vi è dubbio che il colonialismo bellico ed economico dell'Occidente ha finito per fornire una pseudo leggittimazione all'estensione del conflitto fuori dall'Islam. A tale punto che i giovani musulmani più sprovveduti di conoscenze religiose e in crisi identitaria si dimenticano del significato più autentico del Djihad inteso come « grande guerra santa », ovvero come di uno sforzo (la parola Djihad significa proprio « sforzo ») rivolto alla lotta contro i nemici interni di cui l'ego è il massimo rappresentante. La grande guerra santa, in opposizione al « piccolo Djihad » volto alla lotta contro i nemici esteriori e considerato secondario nel Corano, è una operazione che si ritrova sotto ad altri nomi in tutte le religioni : per esempio nella lotta contro lo spirito maligno nel zoroastrismo, contro le passioni dell'anima nel buddismo e contro le tentazioni nel cristianesimo. Lo stesso motivo si ritrova anche nella mitologia classica. Si pensi per esempio a Ulisse che dovette resistere al canto delle sirene. Essa denota una operazione ardua e solitamente lunga che tempra l'anima preparandola a seguire e a realizzare la propria vocazione spirituale nel mondo. Secondo l'esperto di scienze religiose Pierre Lory è possibile assimilare l'individuazione (in senso junghiano) del musulmano alla realizzazione del compito assegnatogli da Dio[1]. Con tutte le differenze del caso, la grande guerra santa potrebbe anche accostarsi a quel delicato sviluppo psicologico che mira a sostituire progressivamente il principio di piacere con il principio di realtà, ossìa il governo delle pulsioni dell'Es con quello della ragione dell'Io. Una differenza di non poco conto è che in psicoanalisi tale operazione non porta necessariamente all'assunzione di un credo o di una identità religiosa.
Da quanto si è appena detto il fenomeno della radicalizzazione appare come il risultato della combinazione di diversi fattori : carenza di cultura religiosa autentica, crisi identitaria (perdita dei fasti dell'antica civiltà araba con relativo sentimento di inferiorità inconscio) e manipolazione politica. Trattasi di un problema difficile da sradicare proprio per la sua complessità e il cui aspetto culturale è sicuramente molto importante. Questo però non si affronta regalando biglietti per i musei, ma incentivando i dibattiti pubblici sui grandi mass media, invitando a parteciparvi veri esperti di Islam i cui discorsi possono fare breccia nella mente dei fanatici. Per questi ultimi sarebbe logicamente più difficile respingere argomentazioni di sapienti appartenenti alla loro stessa religione che dai soliti politici o comunque da non esperti. Purtroppo, raramente si possono sentire esperti di religione islamica nei dibattiti televisivi e radiofonici. Ad ogni modo questa via richiede tempi lunghi per dare frutti apprezzabili. Occorre quindi riflettere anche su possibili soluzioni a breve termine. E qui le cose si complicano. Se si potesse distinguere il musulmano buono da quello cattivo (il potenziale terrorista) il gioco sarebbe fatto. Purtroppo, i tanti casi di musulmani che si sono radicalizzati in tempi più o meno brevi e che hanno commesso attentati nell'assoluta incredulità di famigliari, amici e vicini di casa dimostrano che quella possibilità non esiste. I terroristi islamici si scoprono quando è ormai troppo tardi. Pertanto, anche se a malincuore, bisogna onestamente riconoscere che fintanto che saranno presenti quelle due condizioni, quella del fanatismo islamico e quella della presenza di musulmani nei nostri paesi, non si potrà risolvere il problema terrorismo e si dovrà convivere con il rischio, anzi la certezza di attentati. Il che significa migliaia di vittime ogni anno.
Al popolo delle nazioni occidentali si vuole presentare il terrorismo islamico come una fatalità : gli si chiede una sorta di accettazione passiva in nome dei valori dell'Occidente (la democrazia, la laicità, la libera circolazione delle persone, la libertà di espressione e di culto...). Una fatalità simile, per esempio, a quella degli incidenti stradali. Il paragone è inopportuno solo in apparenza, in quanto se si obligassero i costruttori ad immettere sul Mercato automobili poco veloci si ridurrebbe sensibilmente il rischio di incidenti e quindi il numero delle vittime. Ma quale politico (e quale giornalista) osa toccare i grandi interessi e rimettere in questione gli assunti del fondamentalismo economico ? Chi può vantarsi di essere consapevole della propria radicalizzazione economica[2] ?
Ci si deve infatti interrogare sulle reali motivazioni che spingono l'Europa a dare residenza a milioni di musulmani, potenziali terroristi compresi. Sarebbe veramente ingenuo invocare il mantra dei valori dell'Occidente propinato dai nostri governanti. L'Europa unita non è né più buona né più cattiva di altre nazioni. Vogliamo davvero pensare che i potenti dell'economia che tirano le redini dei burattini della politica agiscono per altruismo o per buonismo ? Certo che no. Per loro conta esclusivamente il profitto e quindi la quantità : quante persone rientrano nel Mercato e possono essere sfruttate e in quanto tempo. Più numerose esse sono, più rapida è la loro integrazione, più veloci ed ingenti saranno i profitti. Poco importa se la mescolanza di razze e di culture provoca disagi alle popolazioni, se qualche elemento diventa recalcitrante e se si rafforza l'estrema Destra. Nel nostro modello di società basato sul PIL ed eretto alla gloria del dio Economia[3], l'uomo esiste solo in qualità di consumatore. E meno egli è consapevole delle sue scelte, meglio la religiosità inconscia riesce a prendere il sopravvento. Più limoni vi sono, maggiore è la quantità di spremuta che se ne può ricavare. Ma chi sta in cima alla piramide dei profitti ? Chi attua la grande indigesta spremuta ? La risposta appare scontata : le grandi multinazionali e soprattutto i grandi istituti bancari che si comportano da strozzini nei confronti degli Stati ai quali prestano danaro in cambio di interessi ingenti. Chiamare tale sistema « economico » è un paradosso in quanto, come l'espressione « fare economia » suggerisce, il fine dell'economia dovrebbe essere la corretta gestione e spartizione delle ricchezze. In una economia giusta e razionale non potrebbe succedere che l'1% della popolazione detenga il 50% della ricchezza mondiale. Eppure, il significante « economia » è diventato oggi la chiave che apre ogni porta, che leggittima ogni scempio, che annulla ogni altro valore, che conquista tutti senza eccezione. L'economia è l'unica relgione che, parafrasando Paul Lafargue, non ha ancora incontrato atei. Quando i politici affermano che una data decisione, anche se si scontra con la volontà delle minoranze, è necessaria per l'economia, bisognerebbe chiedersi per quale economia ? Perché l'economia non è la stessa per tutti. Tornando alla questione immigrazione, per esempio, quel tipo di economia ad essa collegato favorisce chi in qualche modo intende sfruttare mano d'opera a basso costo, ma mina il potere contrattuale dei lavoratori autoctoni. E così si produce sfruttati da una parte e disoccupati dall'altra. Sempre in nome di un fondamentalismo economico basato sul PIL, la Crescita, il Mercato al confronto della cui potenza numinosa ogni altra religione impallidisce.
In pratica, usando abili giri di parole i nostri politici ci dicono che non esiste una soluzione a breve termine al terrorismo. Eppure, è evidente che se si rimandassero tutti i musulmani nei loro paesi di origine il problema a breve termine verrebbe risolto. Certo, non sarebbe una risoluzione elegante, ma un provvedimento dettato da forza maggiore in quanto la vita umana dovrebbe passare prima di ogni altro valore. Visto che siamo in democrazia, mi parrebbe comunque giusto chiedere almeno il parere del popolo al riguardo. Ma, si sa, la democrazia è un valore che i politici invocano solo quando fa loro comodo. Quali sarebbero le conseguenze a breve di una tale eventuale risoluzione ? Il conflitto tornerebbe ad esprimersi unicamente nel mondo arabo finché lì non verrebbe finalmente risolto. Migliaia di vittime innocenti verrebbero risparmiate ogni anno. L'economia dei meno abbienti tornerebbe a crescere con centinaia di migliaia di posti di lavoro che si libererebbero e con gli stipendi che tornerebbero a salire. Insomma, una vera e propria calamità per quella economia che piace tanto ai nostri politici.


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[1]In Danger et nécessité de l'individuation, Esperluète/L'Arbre Soleil, Bruxelles 2015.

[2] Perché di fronte al sacrificio totale di sé in nome di Economia non è esagerato parlare di ralicalizzazione.

[3]A.Fratini, La religione del dio Economia, CSA Editrice, Crotone 2010.

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