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Narrativa

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi narrativi inediti, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
Partita di calcio a Napoli est di Giuseppe C. Budetta, Il cupolone di Giuseppe C. Budetta, Alle grotte di Burgio di Antonio Carollo, Ten bells (prima parte) di Italo Magnelli, La lastra di ghiaccio di Pietro Rainero, La dama inglese di Pietro Rainero

Poesia in italiano

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi poetici inediti, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
poesie di Erika Casini, Antonio Caterina, Rossana D'Angelo, Italo Magnelli, Emidio Montini

Poesia in lingua

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi poetici inediti, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
poesie di Massimo Acciai Baggiani, Lucia Dragotescu, Aurelian Sorin Dumitrescu, Manuela Leahu, Valentin Nicolescu

Recensioni

In questo numero segnaliamo:
- "Nello spazio di un sogno" (poesie di F. Porta e dipinti di C. Monet)
- "Perché non cento" di Alessandro Pagani
- "Sedotto dall'incomprensibile" di Francesco Falcone

Articoli

La biblioteca poetica del Gozzano
di Pietro Rainero
Casanova autore di fantascienza ovvero una lettura moderna dell'Icosameron
di Massimo Acciai
Il dio ateo: realtà e fantasia tra Gaarder ed Ende
di Massimo Acciai
Il diverso e il fantastico
di Massimo Acciai
Viaggi e mappe di Roberto Balò
di Massimo Acciai
L'Isola delle Rose: nascita e morte di un'utopia
di Massimo Acciai
Due opposte concezioni del fantasy: il caso "Sempre ad est" e la saga del "Canto delle montagne"
di Massimo Acciai

Interviste

Norys il Nano e la principessa Giada: Intervista a Cristian Vitali
a cura di Massimo Acciai

 

 

Partita di calcio a Napoli est
 

Giuseppe C. Budetta
 


 

 In estate, giocavamo a pallone sulle aiuole davanti agli edifici INA-CASA di Napoli est. La scuola era finita e liberi dai compiti, potevamo giocare a pallone dalla mattina alla sera con l'unica interruzione del pranzo a mezzogiorno, quando le nostre madri ci chiamavano dai balconi con ripetute grida:
"Peppino, sali subito sopra…"
"Angelino, sali…"
"Lelluccio, vieni subito qua…"
Qualcuno rispondeva con un vaffanculo alla propria madre che non la finiva di strillare. Ogni madre che ci chiamava dal balcone verso mezzogiorno, aveva una cadenza particolare, perché nel palazzo, c'erano famiglie del potentino, del salernitano, del frusinate e dei bassi di Napoli est, questi ultimi figli di sfollati a causa della Seconda guerra mondiale.
A furia di giocare a pallone, l'erba del prato era scomparsa, lasciando la polvere che si attaccava alle nostre magliette inzuppate di sudore. Prima della partita, contavamo coi passi quanti metri dovesse essere larga ogni porta che per paletti aveva una bassa pila di pietre tufacee, raccattate da un edificio in costruzione. Allestite le porte, nessuno voleva fare il portiere. Erano i più piccoli ad essere piazzati in porta, oppure disposti a cerchio, si faceva il tocco. Si dava il conteggio: uno, due, tre…L'ultimo ad essere toccato restava per il primo tempo, in porta. Nel secondo tempo, subentrava un volontario che si era stancato troppo, o restava lo stesso di prima, con la promessa che nella prossima partita avrebbe giocato all'attacco.
Tutti volevano fare il centravanti di sfondamento, od in alternativa l'ala destra come Garrincha del Brasile. L'ala sinistra era meno ambita, fino a che non cominciarono ad apparire in tivù grossi bomber che da quella parte del campo facevano favolosi gol, come Gigi Riva.
Negli anni Settanta, eravamo più grandicelli e giocavamo in un vero campo sportivo, con le linee a bordo campo, quelle per l'off side, gli angoli retti per il corner e la chiazza rotonda per i rigori. Agli estremi, c'erano vere porte con le reti. Con le rispettive divise di squadra, giocavamo nel campo sportivo dietro la vicina chiesa, partecipando ai tornei rionali con la coppa placcata d'oro per la squadra vincente. C'era un arbitro col fischietto e la divisa tutta nera. C'erano due portieri titolari con la divisa anch'essa nera ed il numero uno, stampato sulla schiena. C'era la foto ricordo dell'intera squadra, prima del fischietto d'inizio e quelle scattate in azione, durante la partita. A volte, assisteva uno sparuto pubblico, o un gruppo di ammiratrici a bordo campo.
Invece negli anni Sessanta, eravamo alunni delle medie. Giocavamo nelle aiuole davanti al palazzo e nessuno voleva stare in porta. Difficile anche affidare il ruolo dei terzini. Ognuno era convinto di essere un centravanti di sfondamento, come in una squadra di serie A. Pensavamo a Sivori, Pelé do Nascimento, Mazzola (che spesso faceva la mezz'ala destra), Eusebio, Luis Vinicio, o uno più alla portata come Traspedini…Volevamo essere come loro: dei veri centravanti di sfondamento. Chi aveva la palla al piede non la passava e se l'azione sfumava, i compagni di squadra gli gridavano ch'era troppo individualista. Gli gridavano che avrebbero fatto anche loro così, non passandogli più il pallone.

Angelino abitava al terzo piano, scala B era rispettato da tutti perché aveva il pallone: era il padrone del pallone. Se non lo vedevamo scendere in cortile, andavamo a bussare a casa, al terzo piano. Rispondeva al citofono una voce femminile: "Chi è?"
A gara, impetravamo: "Può scendere, per favore, Angelino?"
Spesso, era la sorellina a troncare le querule richieste con un secco no. Di conseguenza, gridavamo da giù: "Angelinooo, scendi. Porta il pallone…"

Accadeva che si facesse la questua per il pallone che correvamo ad acquistare alla merceria di don Michele o' carpecato, nel vicino Rione Santa Rosa. Erano palloni color arancione e costavano sulle 50 lire. Si faceva spesso la questua, cinque lire a persona. Se si bucavano su una scaglia di vetro, si potevano gonfiare con la siringa, occludendo la bucatura col mastice: la colla filante per le gomme delle bici. Tutti nel ruolo di centravanti, accadevano le ammucchiate davanti ad una delle due porte, come nel rugby. Il pallone rimbalzava qua e là tra la selva delle scarpe scalcagnate. All'improvviso, c'era chi alla fine riusciva a sferrare contro la porta avversaria il tiro risolutivo che il portiere non parava. Esplodeva il grido trionfante: GOL! Nell'accanita baruffa, non si capiva chi fosse stato l'autore del tiro. Qualcuno chiedeva: "Chi ha segnato?"
L'autore del gol levava le mani al cielo, dicendo con orgoglio: "Io… Io ho segnato."
Qualcuno contestava: "E' stato autogol…"
Un altro tagliava corto: "E' gol lo stesso."
Uno portava il conteggio e gridava: "Due a zero. Palla a centro."
Qualcun altro cercava di contestare il gol, perché in fuorigioco ed allora quello che aveva segnato s'impadroniva del pallone, minacciando di sospendere la partita. Qualcuno della squadra opposta gli rubava il pallone da sotto il braccio e diceva che era punizione dal limite, non gol. Alla fine ci si metteva d'accordo: è gol e basta.
Per la squadra perdente, la colpa rimbalzava sul portiere, rimasto impalato, senza tuffarsi nella polvere. C'era solo Palladino che in porta, non del nostro rione intercetta a volo il tiro, come Bugatti del Napoli. Palladino era un ragazzo con la faccia tutta mangiata dal vaiolo che di rado veniva a giocare da noi e volontariamente si metteva in porta. Tutti lo volevano in squadra, sia perché sceglieva di starsene in porta, sia perché era bravo a parare i tiri a volo e tutto questo faceva la differenza. Nelle nostre partite giornaliere, la palla carambolava senza tregua tra gruppi di giocatori provetti. Grida e schiamazzi, richieste di ricevere al momento la palla per il tiro risolutivo. Qualcuno esasperato gridava stronzo al compagno, perché non manteneva le marcature strette. L'altro si riteneva un incompreso e rispondeva: "Stronzo sei tu."
Ci si spintonava, mentre la squadra che stava vincendo se la rideva e faceva sberleffi. I perdenti si convincevano a mettere la palla al centro col desiderio della riscossa, mentre l'altra squadra si disponeva alla difesa, ma attenta al contrattacco. Le ali e le mezz'ali ansimavano, piegate con le mani sulle ginocchia, aspettando d'intercettare i passaggi di palla. Si disponevano le marcature strette che poco dopo nessuno rispettava. Ripreso il gioco, cominciavano i passaggi veloci, fino a portarsi davanti ad una delle due porte. Avveniva una nuova baruffa di cosce e gambe impolverate. Il pallone gironzolante frenetico tra le scarpette dei molti centravanti di sfondamento. Dal CHAOS, usciva il tiro in porta, imparabile, secondo il portiere. Seguiva il grido trionfante:
"Gol. Tre a zero. Palla a centro."
I perdenti sbottavano: "Figli di zoccola."
Correvano le parolacce contro le schiappe per aver fatto segnare agli avversari il terzo gol. Il povero portiere non ne poteva più. Tre gol subiti erano troppi. Mandava affanculo i suoi ed abbandonava il polveroso campo.

 
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