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Sopravvissuto - The Martian (2015)
 

Nota di Massimo Acciai

 


Marte ha sempre avuto un'attrattiva particolare per me, fin da quando vidi per la prima volta una foto della sua superficie ripresa da una delle prime sonde americane posatesi sulla sua superficie desertica (ero un bambino e trovai il paesaggio marziano incredibilmente simile a quello terrestre, e la cosa mi affascinò). Ho visto successivamente vari film ambientati sul Pianeta Rosso che descrivevano improbabili missioni umane. Questo è uno dei più interessanti e dei più plausibili, anche se non mancano le pecche che perfino un profano di scienze come me non ha mancato di notare. Innanzitutto uno si aspetterebbe che su un pianeta dove la gravità è un terzo di quella terrestre gli astronauti si muovano in modo particolare, un po' come nelle familiari immagini di Armstrong sulla Luna: un po' a balzi insomma, anche se un po' di meno. Certo, per rendere verosimile la cosa il film avrebbero dovuto girarlo direttamente su Marte, cosa improponibile anche per i budget stratosferici di Hollywood, ma si potevano sforzare un po' di più. Paradossalmente appare più verosimile, solo per questo aspetto, la trasposizione cinematografica di John Carter di Marte, per il resto del tutto fantasiosa.
Altro punto che non convince: come fa un astronauta a resistere per un anno e mezzo sulla superficie marziana senza perire a causa delle micidiali radiazioni solari, non schermate da un'atmosfera "seria" e da un campo magnetico, e addirittura a coltivarvi delle patate? Non ci vuole un premio Nobel per sapere che il problema delle radiazioni è il principale ostacolo ad una missione umana su Marte, oltre alla lunghezza del viaggio, e la coltivazione delle patate appare come "fantabotanica".
Il film è ambientato in un futuro talmente prossimo che è indistinguibile dal presente, a parte la cosa irrealistica di una missione umana su Marte, appunto (cosa annunciata da decenni per mantenere l'interesse del pubblico per il lavoro della NASA, ma che non avverrà finché non si sarà scoperto perlomeno un sistema di propulsione che accorcerà il viaggio a tempi ragionevoli… o a quando sarà possibile l'ibernazione); gli americani sono sempre stati ottimisti su queste cose, ma Marte non è la Luna e 80 milioni di chilometri non sono bazzecole.
Il paesaggio marziano è abbastanza convincente, ma non del tutto: le riprese del Pathfinder (che tra l'altro ha un ruolo chiave nel film) mostrano un mondo con rilievi più dolci e un orizzonte più curvo (ma, ripeto, avrebbero dovuto girarlo "in loco").
La trama è semplice e questo è un punto di forza: un astronauta americano viene creduto morto ed abbandonato dai compagni su Marte in seguito ad una tempesta di sabbia (di cui è implausibile sia la forza sia un decollo in tale frangente): sopravvive e riuscirà a tornare sul suo pianeta d'origine tra mille improbabili peripezie. Il "Robinson Crusoe" marziano deve cavarsela in un mondo certo più ostile della sua controparte terrestre, ma riesce a comunicare con la Terra e la NASA non esita a spendere milioni di dollari e a dirottare una missione in rietro per salvare un solo uomo (e le moltitudini di bambini africani che si potevano salvare sulla Terra con quei soldi? Non fanno notizia, quella è ordinaria amministrazione). Immancabili i riferimenti religiosi (gli USA sono un pubblico di bigotti, si sa) ma per fortuna meno presenti che in altri kolossal americani (riusciremo mai a vedere un film di genere scientifico-catastrofico dove non c'è qualcuno che invoca qualche divinità?). Interessante la colonna sonora (come poteva mancare David Bowie e, sui titoli di coda, "I will survive"?), ma non si capisce bene l'insistenza sulla disco music anni '70. Ci sono però anche brani ambient gradevoli. Spiace un po' quella volgarità di linguaggio che caratterizza i film d'azione made in USA, ma sarebbe strano non trovarla: qualche imprecazione o qualche battuta cretina serve a smorzare la tensione.
La cosa però forse più inverosimile di tutte è come fa il nostro eroe a mantenersi sano di mente dopo un anno e mezzo da solo su un pianeta deserto e ad avere anche senso dell'umorismo: io probabilmente mi sarei suicidato il secondo giorno. Il video-diario che l'astronauta tiene per testimoniare la sua vita da marziano ricorda forse un po' troppo i reality show, ma è d'altronde l'unico mezzo per rendere chiaro al pubblico ciò che sta combinando e non lasciare inquietanti silenzi nel film (forse anche per questo Tom Hanks in "Cast away" si mette a parlare con una palla, altrimenti la palla sarebbe stato il film completamente muto). Tuttavia i dialoghi avrebbero potuto essere più verosimili e meno scopertamente orribili spiegoni per il pubblico.
Probabilmente quando l'Uomo andrà davvero su Marte, se mai ci andrà, rivedere questo film farà lo stesso effetto che fa oggi rivedere "Voyage dans la Lune" di Méliès…

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