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Narrativa

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi narrativi inediti, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
Mezzanotte sul Nilo di Simonetta Biserni, Il giorno era innocente e fresco il vento di Maria Lenti, Il peso della spesa di Ivan Pozzoni, Il quinto dei quattro ponti di Pietro Rainero

Poesia italiana

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi poetici inediti, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
poesie di Massimo Acciai e Matteo Nicodemo, Giovanna Casapollo, Rossana D'Angelo, Alessandra Ferrari, Erika Gherardotti, Roberto Mosi, Ivan Pozzoni, Flavio Scaloni

Recensioni

In questo numero:
- "A seconda di come volgo lo sguardo" di Massimo Acciai e Matteo Nicodemo
- "La nevicata e altri racconti" di Massimo Acciai, postfazione di Valentina Meloni
- "Apologia del perduto" di Massimo Acciai e Lorenzo Spurio
- "Poetikanten", poesie dei Poetikanten
- "Il giocoliere di parole" di Alberto Diamanti
- "La ballata delle sette pietre", di Antonio Messina
- "La vita, gli amori e l'omicidio di Giulio Falchi", di Mick Corso
- "Aurora" di Stefano Pasini

Interviste

Intervista a Stefania Piu
A cura di Massimo Acciai
Intervista a Stefano Pasini
A cura di Massimo Acciai

Il giorno era innocente e fresco il vento
(Tratto da Giardini d'aria, 2011)
 

Maria Lenti


Non ti muovere
Lascia parlare il vento
Questo è Paradiso…
(Ezra Pound)

Là dura un vento che ricordo acceso
sulle criniere dei cavalli obliqui…
(Salvatore Quasimodo)

E il vento, non so se dal tempo e dallo
[spazio, che frusta il sangue…
(Mario Luzi)

Ma 'l vento ne portava le parola…
(Francesco Petrarca)

Che ne sarà del vento in Paradiso,
il vento che riporta la memoria,
che ne sarà, del vento, in Paradiso?...
(Carlo Betocchi)


Mi scrolla amore,
come vento nell'alpe su roveri piomba.
(Saffo)
Il giorno era innocente e fresco il vento. (Marina I. Cvetaeva)


1975
Il silenzio impudico, con cui ho sorretto ieri sera la percussione delle mie amiche su suor Cecilia e suor Nemezia, ha deambulato nella mia notte? Al risveglio, mi trovo vogliosa di rivedere la mia prigione.
E Ugo? S. è a 75 chilometri sugli Appennini. Lì troveremo - rispetto al luglio qui afoso - un po' di fresco. Mi dilungo sul perché lì sia fresco: correnti, incontro dei quattro venti principali. Stiracchiandomi, annuncio: "Ci sarà il vento." Ma la parola vento fa turbinare, succede - mi succede -, brandelli e finisco, mezza spiritata, per declamare versi, estrapolati in qua e in là, mentre sto per scendere dal letto. Ugo, che ha riso delle osservazioni climatologiche mentre diceva che, sì, la cosa gli andava, scatta:
"Magì, la pianti?"
"Lo sai come mi fa… Fanno tutto da sole, le poesie. Non ti piacciono?" Di traverso il commento:
"Spero proprio che ci sia 'sto vento."

Almeno ogni estate io sono tornata a S., sull'avvertimento di un assillo non connotato, un tumulto albale sorto dalla notte, il segnale di un to go back dovuto al mio voler star bene: vagolare nelle vie del tragitto verso la scuola e degli itinerari festivi, ripestare gli impiantiti delle chiese come nel giovedì santo (dei Sepolcri) e la scalinata del municipio con la befana, riportarmi (quasi un pellegrinaggio) sulla tomba di Teresa dell'Olmo… (La madre sdraiata sulla bara, noi ragazzine lì attorno alla cassa aperta… E sono svenuta. "Ma no, quale dolore? Non è mica una parente! E' la divisa, troppo stretta. Francesca le ha dato la divisa vecchia. Un numero di meno… E' cresciuta… Ha i piedi gonfi. Toglile le scarpe. …Levatevi di torno, bambine. Non è niente. Portiamola dove non c'è gente …" La prontezza di Suor Cecilia, schiaffi sulle guance, brusìi…).
In certe mattine smaniose, come questa, ecco …la posta da casa consegnata alle calende greche perché si imparassero "rinuncia al godimento o contenzione"; il cibo, scarso e di improbabile acquolina, per sottrarci all'ingordigia; quaderni senza macchie e senza orecchie ai bordi; grembiule e capelli in ordine, orecchie e collo puliti - sapone in risparmio e asciugamano striminzito -, unghie corte e nette; rapidità in tutto, in tutto obbedienza e rispetto; luce accesa solo per vestirci o spogliarci in "men che non si dica"… Sacrifici, questi ed altri, imposti "per la croce di Gesù": ma perché?
Sulle suore mi si è appiccicato addosso un rimprovero, un grumo sordo come la loro insensibilità, che a noi risultava contrastare con i loro voti, i loro doveri, la messa e le comunioni mai "saltate", con i momenti di preghiera. Quei loro peccati quotidiani dove andavano a finire, visto che si confessavano solo una volta alla settimana?
Non le ho mai ricercate. Ho spinto il portone, aperto dalle 8 alle 19 perché il collegio è da più di un decennio un ospizio, e ho sfidato il destino nel cortile, nella chiesa, nel salone di ricevimento dei parenti, il nostro refettorio di allora… Autocensura, carcere pericoloso per me più che per le suore, certo dimentiche di ciascun anno e di ciascuna di noi. Delle piccole, fuor di dubbio.
…le piccole, le prime ad essere svegliate e le prime a doversi avviare a letto. Da allevare con ceffoni violenti, inaspettati… E la pipì a letto di alcune erano botte sul culo scoperto e battuto al centro di un cerchio di bambine impaurite: sfinimento da vergogna per la sfortunata e ammonimento per chi, a turno, incorniciava quell'oscenità. Viola le natiche, scanalati di lacrime i visi, continuavano a pisciare - a detta delle suore - per cattiva volontà, per pigrizia. (Gelmina tremava nel raccontarci il panico che provava sul suo materasso messo a terra in bilico sullo scalone buio, e nel discolparsi: ché la pipì era intrattenibile. Oriana, invece, opponeva l'orgoglio al dolore: serrava i denti, alzava le spalle e non piangeva mai.) Al risveglio, controllo e punizione. Ma in quale libro per educande le suore avevano compulsato quelle sevizie? O da quali bassifondi pulsavano quelle malvagità?
Delle grandi - audaci perché impunite? - le suore tolleravano alzate di scudi e zimbelli, di alcune perfino godute obiezioni, di altre sollecitavano suggerimenti e - taglio, cucito, ricamo, maglieria - miglioramenti, dispiegando parole e sorrisi veri, non quelli infidi calati su noi bambine. Con altre si compiacevano dei parenti. Affastellavano i consigli delle "intelligenti". Associavano altre alle decisioni sulle recite, sulle tonalità musicali polifoniche, i modelli delle divise, il "motivo" sui maglioni, i colori del filo da ricamo (mouliné, smeraldo o blu mare: cieli e voli alle mie orecchie). Consigli, confidenze, predilezioni, complimenti, affetti, riguardi che facevano stare bene - credevo e credo -, come la concessione di ristagni nel letto, nonostante Suor "Sveglia" avesse a lungo scampanellato, o come il permesso di essere assenti alle funzioni. (A rancore divento fungo velenoso, abbiamo saputo in seguito dei dolori mestruali che costringevano a letto alcune.)
Io le vedevo, le suore e le grandi, parlare fitto fitto o ne udivo le parole, un po' altisonanti, e l'invidia trascorreva dal capo ai piedi e usciva dalla sclerotica…e Delfina mi ballonzolava attorno declamando una terzina dantesca ("Fu il sangue mio d'invidia sì riarso, / che se veduto avessi uom farsi lieto, / visto m'avresti di livore sparso") e suor Raffaella mi esortava a confessare quel peccato capitale.
Rideva agra suor Raffaella. Ma il terrore della morte spingeva, nel confessionale, fin dalla schiena: "Provo invidia." "Verso chi e per che cosa?", indagava padre Giuseppe. "Non so." Così, mentre l'invidia mi incartava come una camicia d'organza - non quella fina dei confetti o dei nastri per capelli, ma quella incartapecorita e inamidata delle sottogonne quaresimali, ascensionali, pentecostali mai lavate -, bel bella usciva una bugia. Confessata con tutte le altre.

Poter riparlare con le suore non era l'antidoto - ho ritenuto, nei miei molti anni "altri" - alle sofferenze e ai bavagli dei miei nuclei vitali. "Se le rivedo, a S. …" …e subentravano, alla trance, sibili nelle orecchie, sbieco di iridi, schiocco secco delle mani sulla faccia, il volto meditativo di alcune, la cupezza di altre, le risate straordinarie - "è matta, è matta", dicevamo - di suor Germana, che faceva con noi girotondi e quadriglie e i saltelli sulla corda tenendo strette alle gambe le pieghe della tonaca nera, la cuffia e il soggolo candidi e la pettorina inamidata, la parlata di suor Battista, il corpo lieve di suor Cecilia e quello, svigorito ma isterico, di suor Nemezia, astiosa e stizzita per lo più, ma luminosa, viso di vita e di giovinezza, il venerdì del confessionale o nel vedere che maglie e ricami erano venuti "puliti" come lei ordinava e pretendeva
Sono tornata a S. ritendendomi su una me che o correva o se ne stava rapita ad ascoltare. E non ho mai cambiato strada o tragitto: per rimisurarli palmo a palmo e in tutte le curve, come nel tempo dei ritorni per le vacanze e dei rientri.
Come avevo fatto all'andata in collegio, avendo visto - le spalle verso la mia città che mi risultò, e una lama mi aveva trafitta di spavento, sull'orizzonte opposto - il sole che perlava i campi di gennaio e addensava il freddo nelle ossa, seppure fossi nella corriera e nel treno, un freddo soffiato da colline che rotolavano su me come monti. Rattrappita sullo schienale, il freddo sottraeva ad ogni futuro quel che avevo lasciato. Ma, allora, non sapevo che cosa stessi abbandonando, né sapevo da che cosa mi stessi allontanando, né a che cosa andassi incontro, né che cosa era quella mia poca età e vita. Né - in quel mio primo lungo viaggio verso una nebulosa - ho mai assecondato mio padre, che mi mostrava, in qua e in là, case e paesaggi e sparute persone ai bordi delle strade. Fui colpita da un cane, che correva sul ciglio della strada, e da un cartello giallo: Santuario della Madonna del Soccorso (sec. XII), una chiesa a picco su un frontone di roccia. A quella Madonna, come mi avevano insegnato a fare quando avessi incrociato luoghi sacri o cellette per strada o avessi sentito bestemmie, io ho rivolto un saluto più diretto a me, ora so, che a lei, o diretto a lei ma per un mio bisogno, per il balzo sul nuovo…amiche, canti, scuola… la cura delle suore. Starai bene… Bene: la slealtà delle parole l'ho imparata in quell'istante.

Oggi sono con Ugo. Prezioso il suo sì. (Stamattina, dissoltisi i versi del vento, io - mai prima nell'avvio di espansioni - mi sono adagiata d'impeto su di lui, l'ho accarezzato, baciato, tenendolo a lungo in me e regalando a entrambi un abbandono inusitato.) Mi appoggio alla sua spalla: i miei soprassalti per il ritorno si stanno frantumando vicino a lui. Sento di amarlo, molto. Il mio racconto su S., concrezioni incastonate in me, talvolta ha nauseato Ugo. Sopporta, tuttavia, con una certa facilità e scarsa adesione, se attacco con la mia preistoria. Una palla.
"Sono proprio curioso di vedere 'sto posto." E calca: "Questo posto." E' felice che gli abbia chiesto di essere con me, oggi. Non so se fargli da guida o se lasciare che sia lui a pensarmi, se vuole, come ero a S. Naturale è il silenzio tra di noi, ma, facendo un primo giro di ricognizione, se ne esce bel bello il mio essere insegnante per vocazione e felice mestiere…
…laggiù il teatro… la cupola del "Salvatore" …i viottoli del parco per "tana"… lo spazio per la "campana"… il monte del diavolo e la casupola della strega… sedute a due a due o in tre, le grandi, piegate sui loro segreti, in cui mi intrufolavo, ammessa o con prepotenza, per frugarvi: fatti di cronaca, trame di libri proibiti (di chi?) e di "Grand Hotel" nascosto nel crine del materasso. …Marianna (sì, la Mary Ann che Ugo conosce) ripeteva la storia con Elvira per la quale arabo e storia erano un tutt'uno… Maria Rosaria incollata alla sorella Giulia che si scalmanava in pianto fino a che Suor Cecilia con un urlo o una risata… Il sarcasmo bruciava la pelle.
"…sei davvero interessato? Non me lo fai sentire, l'interesse…"
"Oh, non sono mica un tuo alunno! Sì, sono interessato, ma me le hai dette un sacco di volte, 'ste storie. Le so tutte, tutte quante…"
Ugo va sui suoi interessi storico-artistici:
"Hai visto la facciata di Sant'Agostino? Un romanico…della zona. Qui però con interventi successivi… Medioevo e accenni rinascimentali nel centro storico. I palazzi pregevoli… E quello laggiù, a metà costa? Chiude il castello e apre sul borgo… la mano del fascio: d'effetto allora, un effettaccio oggi. La città romana, perfetta nella sua razionalità. Il borgo, il castello. Città di sosta oltre che di mercati… quattro conventi di suore, due di frati, il seminario… Addirittura il tribunale e il carcere in una cittadina di poche migliaia di abitanti. Eh, la storia…" Spera forse che, nella loro forma, i suoi interessi siano per una volta miei? Lo seguo, ma l'"esteriore", in effetti, è per me preistoria. Ugo lo sa. Azzarda un recupero trasversale:
"Stavi proprio male, Magì?"
"… ma no. Stavo… Adesso so, non allora. Tu, da ragazzino, eri con i tuoi, no? Be', è un'altra cosa. Crescere è duro per tutto, però i tuoi…"
"Mah. A volte avrei preferito che non ci fossero…"
"…fuga da casa, lo so. Perché?"
"Fisime. Al ginnasio ero accanito di avventure… Tom Sawyer… Gulliver… Stevenson… London… Ma cosa vai a rivangare?" Trattandosi della sua adolescenza, Ugo sorvola: "Altri tempi. Il cinquanta, o giù di lì, per me, il cinquantacinque per te. Poco istruite le suore, se non quasi analfabete. Allaccia le tue cose del periodo alla storia e te ne farai una ragione. Anzi, che tu ci stia tuttora su, dopo vent'anni, mi sembra un po' masochista… O mi sbaglio?"
"…sempre a giudicare, tu!..."
Spingiamo il portone ed entriamo nel porticato. Mi sporgo, dai finestroni aperti, sul cortile ora gremito di aiuole. Mi ritraggo. Tra vasi e aiuole, sulla ghiaia, cammina Suor Cecilia, diritta, cuffia testa-orecchie senza soggolo né pettorina, velo più corto (forse un fazzoletto di voile), vestito ai polpacci, liscio, svasato senza civetteria.
Suor Cecilia, ieri sera…

- Non c'era, tra suor Cecilia e Suor Nemezia, un'intesa? -, butta là, scaltra, Ivana.
- No, no -, è la reazione di Laurina che, autoelettasi custode di ore e minuti di quel tempo, ci inchioda al brio di suor Cecilia, alle mani di fata di suor Nemezia e al nervo di Ivana. Suor Nemezia era estasiata davanti a padre Virgilio. Anzi, tutte e due avevano una simpatia - la si notava! - per quel frate, giovane quanto loro. Suor Nemezia aveva ricamato alcuni paramenti sacri per il suo arrivo e un copritastiera bordò per il pianoforte che lui suonava alle nostre recite. … Suor Cecilia gli serviva dopo la messa la colazione nel parlatorio riservato, portando tra le mani, come un'offerta, il vassoio lungo il corridoio, il velo nero sulle spalle mosso sul passo di farfalla…
- Scherzate? -, smorza Alfonsina. - La superiora non era cieca: avrebbe sostituito suor Cecilia, richiamato suor Nemezia!
- Erano terribili. Tutto poteva essere. Non giurerei proprio su niente e su nessuna -, rimbecca Mafalda. - Litigavano, si urtavano per un nonnulla. Suor Nemezia: consumata dopo che suor Cecilia, a letto per più di due mesi, è stata trasferita, per cure, in un altro istituto. Piangeva come una fontana, Suor Nemezia. Come suor Cecilia…
- Confondete… -, interrompe Carla. - Si era ammalata suor Nemezia. Se n'era andato anche padre Virgilio? Bel frate, molto istruito. Parlava di Africa, di Brasile, dei deserti della Patagonia, delle popolazioni andine… Così galoppavamo e sbagliavamo le note. Sarà andato missionario… per il mondo. Nessuna l'ha più visto.
- Mi sa che galoppa la nostra testolina! -, Alda argina la marea che va e viene. Ma persino il patetico "lasciamole in pace, poverine!" di Erminia, timorosa di chiacchiere rese verità, si vanifica sul sibilo di Piera: lei rammenta una frase biascicata da qualcuna la mattina con l'asciugamano e la saponetta nelle mani verso i lavandini: "Suor Cecilia è andata nella tenda di suor Nemezia. Pace, tra le due. Visti i sorrisi?"
Noo! Ma va'. Be'? Affari loro! Una balla, una malvagità, una perfidia. Di Marta, che aveva il letto a due metri dalla tenda di suor Nemezia e inventiva da vendere? Di Ernesta, sempre pronta a costruire castelli? O di Rina, la boccalona, che di un anellino faceva un cerchio allargato senza parsimonia? Forse Settimia e Bruna? Ricamatrici come Terza e Veronica, a tu per tu con suor Nemezia, potevano avere intercettato sospiri, mestizie, gaudi insoliti?
Che vi frega?- scatta Lina -. Le cose possono non essere andate come state masticando. Chi sa come sono andate le cose e quale sia la verità. … Inventate…fandonie, come allora… Con voi 'sto cavolo di collegio non manca mai. E questa e quell'altra e quell'altra. Mancava la storia di suor Cecilia e di suor Nemezia… Una noia… Fate una noia… Ogni volta rivoltate frittate. Addirittura, l'ultima volta, tutta la cena a ridere sull'uva rubata nell'orto e sul grembiule di suor Agostina… Se è intelligenza questa -.
Alda, la seriosa del gruppo, ci zittisce.
Zittisce tutte, meno Lina: - Tra antifone e prediche, mi sono rotta… !

Trasalimento… E' lei, suor Cecilia, ora, qui nel cortile… Invecchiata? La pelle ha pochissime rughe, le palpebre forse un po' scese. Ci interroga con il sorriso. Ci avviciniamo. Le dico chi sono, che ci faccio lì, che io ogni anno sono lì, quasi un pellegrinaggio, che… Ma urge in me la zeppetta di ieri sera: era andata via di qui perché malata? Ed è tornata, quando?
"…chiuso il collegio, è stato istituito il ricovero. Tu, quando sei stata qui? Chi c'era? Il signore… Tuo marito?"
"Ugo, il mio compagno…"
"E perché non ti sposi? Un'unione non consacrata, fuori del matrimonio, non va. I figli…"
Ugo si finge assorto. Io non raccolgo e nomino, invece, alcune ragazze del mio periodo… Gliene squaderno altre, delle predilette, le "ricapate" (i primi mestoli di pasta dalla prima pentola, le ciliegie più dure, l'insalata fresca d'aceto), i nomi di quelle che risuonavano di meno, per biasimi e richiami all'ordine, i nomi delle protagoniste delle recite. Vado, irrefrenabile, su Valeria e Marcella - gli angeli con le ali che si staccano sul penultimo scalino dell'altare nel giorno dell'Ascensione -, su Gemma, nessuna predisposizione all'ago e ditale, obbligata a cucire e poi messa in castigo nel fondo del corridoio per il proditorio "distacco" dell'orlo a sottopunto. Vado sulle suore, sulla sua malattia improvvisa…
"Che memoria. Ma come fai?!... Sono passati…sono passati… Però non sono stata malata. No, a N. ho sostituito una suora anziana nell'ospedale. …Eravate tante. Facevate un gran chiasso, perfino nelle ore del silentium e dei ritiri." Corruga la fronte: "Qualcuna delle ragazze che hai nominato… Francesca, che mi aiutava con le divise, viene a trovarmi d'estate con i figli e il marito. Alcune erano eccezionali a scuola, Delfina, Nunzia… Una aveva vinto una borsa di studio… Mariuccia, molto svelta a fare le maglie con i ferri, Caterina…"

Il ritorno a S. l'avevo pensato come la solita via crucis per me, di molestia per Ugo. Che, invece, mi spiazza ("Simpatica, la suora. Cosa m'hai raccontato?"), mentre suor Cecilia va a prendere le chiavi di un reparto. Poi è subito preso dagli adattamenti tra i volumi di un complesso che ha la sua dignità, se non fosse per quella calce grigia troppo visibile tra i mattoni in cotto e le pietre bianche delle cave appenniniche. "Si sarebbe dovuto fare un restauro scuci e cuci. Peccato. Un peccato" il suo commento.
Suor Cecilia ci conduce a visitare l'ala più recente, costruita dove allora l'orto aveva un muro tirato su in quattro e quattr'otto dalle suore stesse: a pochi passi i ragazzi del quartiere, in calzoncini, giocavano a pallone! Vediamo le stanze riservate alle suore. (Le stanze dei nostri occhieggiamenti: e giù a riferire scoperte e invereconde falsità sulle suore in sottoveste.) Niente più tenda nelle camerine: per suor Cecilia, ora, una stanza anche con un armadio, un comò e un lavandino. "Il lavandino… per necessità ordinarie", spiega suor Cecilia. "Il bagno è lì, nel corridoietto. Anzi sono due. Una conquista. Il comune ha ristrutturato il complesso. Ma la Madre Generale aveva dei dubbi… Non è mica facile capire che il sacrificio non è… dove stia insomma il sacrificio. Ce n'è voluto…"
Finita la perlustrazione e sedute nel tinello, mentre Ugo è andato a esplorare il campanile - un parallelepipedo slanciato, con due monofore nelle facciate, quasi a pelo di grondaia -, beviamo il caffè filtrato dalla caffettiera elettrica.
"La modernità, eh, suor Cecilia!"
"Un regalo di un primario dell'ospedale che ha avuto il padre qui, nell'ospizio. Fa risparmiare tempo. Abbiamo la lavatrice, il ferro a vapore, la cucina a gas con una piastra elettrica rapida. Per noi. Per gli ospiti della casa i pasti li fornisce la mensa scolastica comunale, che è dove erano le lavanderie ed ha un sottopassaggio a destra verso di noi e a sinistra verso l'edificio della scuola elementare e media…"
"Ma c'è un'altra novità: i termosifoni!", esclamo un po' corrosiva. Allora c'erano le stufe di terracotta ma non in tutti i locali e i bracieri solo la mattina… Un freddo nelle camerate…"
"Molte di voi avevano i geloni, purtroppo."
"Sì, Silvia, Emerenziana… Ma… Suor Cecilia, come è, come va con gli ammalati, con i vecchi?"
"Non sono molti e noi pure siamo poche. Facciamo assistenza, li mettiamo a letto e li alziamo, …persone in là d'età… Gestiamo l'andamento complessivo. La loro pulizia, le rette, i contatti con le autorità, le cure normali. Quelle specifiche sono delle infermiere della Mutua. Io le aiuto. I turni di notte. Una fatica. Ma la offro, oggi come ieri, al Signore."
…i giovani da istruire - penso - e i vecchi da accudire. Un lato da costruire, un lato da arginare. Sì, la ruota è girata. Per entrambe.

Mentre parliamo del nostro oggi, io ho però solo le increspature delle ore condivise…nell'altro ieri. In lei, in questo momento, ho uno specchio di una me internata, delle mie realtà non sopite con le sovrapposizioni, che dovrebbero comprimere gli spazi della memoria, perché umiliazioni e soperchierie bruciavano e non sono state soppiantate dalle altre che il vivere dispensa né cauto né spilorcio. E' lì questo tutto, da lì spinge quando non dovrebbe e mi impastoia quando dovrei essere ferma di ragionamento.
Riprendo la fiumana sulle suore di allora: le note e le corse di lei, di suor Cecilia, le letture per suor Battista, le stonature di suor Luciana, le botte di suor Calvaria, la confisca di giocattoli, la taglienza di suor Gabriella, i turni di pulizia della chiesa, le processioni, il salterio e la dulìa, i cesti di ginestre, fiori di lupino, papaveri, sonori medaglioni del papa - per le scritte a terra del Corpus Domini -, la compostezza di suor Paola e il suo "albo d'onore" stracciato da Caterina mai in corsa (atti di bontà, mortificazioni) verso l'aureola… Caterina punizione di rigore in camera per 24 ore, solo acqua e pane…
"Eravamo severe, lo so. Erano i tempi… nelle famiglie i genitori menavano, nelle elementari i maestri usavano la bacchetta, i castighi con i ceci… In tutte le comunità vi erano regolamenti e norme. Pensavamo che le bambine si dovessero educare…" Una pausa, quindi con timidezza o con l'inflessione di chi sa di essere in torto, ma rimediato, giustificato nella sua coscienza, Suor Cecilia accenna un sorriso riparatore o che chiede riparazione:
"Eravamo molto cattive?"
Si aspetta una consonanza sui metodi, una negazione, uno sconto se non una smentita?
Resto muta. Non riesco ad essere generosa ma nemmeno scartoccio malanimo. E' sparito il progetto - covato lungamente - di dirle in faccia e di spanderle addosso le migliaia di cose introiettate e custodite per occasioni che - corsi e ricorsi da filosofia risarcitoria - sarebbero giunte. Ho solo un'inarrestabile smania di spigolare nelle insenature e costellazioni antiche perché, ostensorio sconsacrato, si materializzino qui tra noi. La smania si scioglie in flussi, flutti di parole.

Pochi e smozzicati gli interventi di suor Cecilia. A tratti è rapita, forse costernata.
Sbatacchio episodi, sciorino eventi. Sommergo suor Cecilia, la inondo. La soffoco di versi di canti e di preghiere, di musiche di padre Virgilio e del suo pianoforte, di padre Damiano e delle comiche di Charlot, di primi venerdì del mese e sabati del Sacratissimo Cuore di Gesù, di ore di adorazione, di cori, orari inamovibili, studi, recite che richiamavano la città nel nostro teatrino per più sere e di cui Ceri. Be'. - Cerioni Bernardo, maestro in pensione e cronista di S. - scriveva mirabilie. Aveva esultato per lo spettacolo di quel Natale straordinario e aveva sparso elogi. Le spiattello il pezzo registrato anch'esso nelle mie cavità craniche:
"Le reverende suore del "San Giuseppe", con la supervisione alla regia e l'arrangiamento al pianoforte di padre Virgilio, hanno adattato un testo anonimo tratto dalle Sacre Scritture, studiato le scenografie, cucito i costumi, diretto gli attori - pardon, le attrici -, e, insomma, realizzato una Nascita di Gesù che ha dei momenti divertenti prima che prendano il palco quelli drammatici o quelli commoventi. Il pubblico è convenuto numeroso e generoso: una ricompensa, ma non è sufficiente.
Già avrebbe meritato maggiore pubblico la Danza degli alberi di aprile: quel balletto delle bambine intorno ai tronchi ancora vortica, persiste la sua scenografia singolare con i rami che ondeggiavano grazie ad un ingegnoso congegno fuori palco.
Ora la nascita di Gesù ha tutti i numeri per uscire dal collegio e dalla nostra S. Si adopererà il sindaco perché sulla recita per il Santo Natale del "San Giuseppe" si alzi il sipario nei paesi limitrofi, meglio nel capoluogo della regione? Meritano un premio, le suore e le orfanelle. Meritano, da noi più fortunati, la restituzione del dono della sacra rappresentazione che ci hanno fatto."
Sempre sulla "Gazzetta Tre Monti", proseguo, un corsivo di Ceri. Bè. per il suo trasferimento, di suor Cecilia, da S.: il vuoto che la dinamica suora lasciava nelle comunità religiose e civili di S., nelle ragazze del collegio, nelle sue consorelle. Quindi, da premurosa accumulatrice di cianfrusaglie e impilatrice di inconsistenze quale sono, le chiedo se lo ha conservato, se lo conserva, il ritaglio: il cronista aveva…
"Gina le aveva spedito il ritaglio", le rammento. "Ho un sacco di cose di quei miei anni. Ho le pagine sulle recite,… Sul, giornale, suor Cecilia! Pensi! Ceri. Be'. aveva scritto che lei aveva bisogno di cure speciali che l'ospedale di qui non poteva offrire. Che alla sua partenza la commozione era stata generale…"
Un lieve pallore, una tenerezza luminosa, sottile la voce che mi toglie la parola ma non sul giornale:
"…suor Nemezia… Te la ricordi?"
Soffio fievole, modulato più sul nome che sul verbo: non riesco a rispondere. L'esilità della voce, pausata su quel nome, s'intrama in me all'istante come senso di colpa e finisce in spasmo, in vertigini. Porto le mani alle tempie per cavarne una risposta.
Ma suor Cecilia non aspetta risposta. Distante dal ritorno intriso di logorrea, di code e controcode, di riprese e dello stillicidio di personaggi i più strambi; lontana - in una sua dimensione a me ignota - dalle vicissitudini ricreate con pignoleria e con immagini tutte interne ai miei spettri e alle mie certezze incattivite, si alza, mette le tazzine e la zuccheriera nel vassoio e resta in piedi, pronta per congedarmi e congedarsi.

Abbacchiata saluto suor Cecilia e vado a riprendere Ugo.
Non aver mai nominato suor Nemezia è stata, da parte mia, una crudeltà, una punizione inflitta con una lista, aperta da decenni, esibita, seppure inconsapevolmente, per espellere ghirigori in nero, sbrindellati, contro quelle suore forse non coscienti della loro non sempre visibile crudeltà in anni crudeli e in adolescenze comunque sia delicate e spinose, burrascose e malinconiche, turbolente e spietate. Con la mia vendetta a sangue freddo ha pagato lei, per le suore, per chi mi ha spinto in collegio e per il fondiglio che ne è seguito - macigno intorcinato nelle viscere -, un conto ben salato, stagionato.
Tacere di suor Nemezia, nominando tutte le altre una per una e in diverse situazioni, ha rovesciato molto e ben altro: il sordo tramestìo, non detto e non rimesso, di attaccamenti e affettività, di trasporti e gelosie, di invidie, di frustrazioni e di un corollario di sentimenti allora ignoti a me nella loro forte striatura, subdoli, addensatisi nella mia parte in ombra a farvi ruotare rabbie ire superbie invidie accidie lussurie - improvvise -, davvero peccati capitali, di morte contro la mia vita e quella di chi è convissuto con me fino ad oggi.
Mi scuso con suor Cecilia per l'intrusione nelle sue abitudini domenicali, per averle rubato il riposo o la cura del giardino nel cortile. L'abbraccio con un trasporto che è autentico, ma che ha pure un risvolto piegato alla sopravvivenza della mia anima: il silenzio ha solidificato, sull'avarizia di un rifiuto, di un nome negato alla traccia della memoria, il peso di oggi sul peso di ieri. Due pesi uguali sui piatti della bilancia si elidono: ma i miei due, entrambi sullo stesso piatto?
Nel fondo del mio cuore è pertanto il perdono che chiedo a suor Cecilia, un dono generoso, se può, che spenga la scintilla della vendetta - si può mentire a se stessi? -, quella di averla voluta scovare nei contrasti tra parole e azioni, tra preghiere e pentimenti, tra il proponimento di non più peccare, i voti, e le ricadute: incoerenza bella e buona per me, per noi, inanellate in concettosità dottrinarie e nei giudizi - secchi, pretenziosi - sputati a denti coperti.
Convinzioni di cui ieri sera, pur in forma di statuetta al banco delle chiacchiere, mi sono rinutrita. E di questa mattina, oscurando suor Nemezia per sottrarre a suor Cecilia il passato, quello intimo non quello degli eccessi, delle botte, delle ignoranze, per verificarlo al lume delle mie e sue rifrangenze, su un contropiede, lo so, non innocente.
Verificare… che cosa?
Il coraggio del sussurro di suor Cecilia, qualunque ne sia la verità, che sua è stata, che è sua, sua soltanto - che sua resta, solo sua -, mi rimanda il coraggio e la forza di questa donna nella sua vita di oggi e di ieri. Nella mia è giunto il momento che su un setaccio fino io separi, di quella mia preistoria, crusca e farina.

 
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