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"Preghiera - un atto osceno". Intervista a Margherita Ortolani, autrice e attrice
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"Preghiera - un atto osceno". Intervista a Margherita Ortolani, autrice e attrice

 

a cura di Alessandro Rizzo
 


Preghiera - un atto osceno, è l'opera che è stata messa in scena allo Spazio Tertulliano di Milano e che ha visto l'ottima regia di Giuseppe Isgrò e le interpretazioni molto coinvolgenti di Margherita Ortolani e di Vito Bartucca. Margherita è anche autrice del testo, dall'intensità esistenziale forte e incisiva: il testo teatrale nasce, come dice la sua autrice, più che da un'idea da un bisogno e vuole parlare dei "momenti di lacerazione, incertezza e sconforto" di una condizione, quale quella dell'esperienza della malattia, che "dall'individuale può aspirare all'universale". E' un racconto della volontà di resistenza contro ogni forma che tende a portarci alla perdita di sé, in una situazione che spesso si tende a "nascondere o a ignorare, o a superare o a dimenticare". Abbiamo intervistato Margherita Ortolani, autrice e protagonista dello spettacolo.

1. Da dove nasce l'idea del testo e della sceneggiatura dello spettacolo: ci sono elementi autobiografici vissuti direttamente?

Un testo nasce da un'urgenza, prima che da un'idea.
Nel caso di "Preghiera" si tratta di un bisogno (non autoreferenziale) di scolpire, in tutta la loro forza poetica, momenti di lacerazione, incertezza, sconforto, se vogliamo, ma anche rinascita e volo… momenti che, nella vita quotidiana, si tende a nascondere o a ignorare, o a superare o a dimenticare.
"Preghiera" è stato immediatamente pensato per la scena: la malattia che, sia in senso stretto che in senso lato, è oggetto dello spettacolo, è un tema fortemente teatrale e teatralizzabile, non per la componente patetica, ma per la sua dirompenza politica, di innesto e di svelamento di una condizione che dall'individuale può aspirare all'universale. Gli elementi autobiografici che sono presenti nel testo sono un viaggio di andata e ritorno nell'onestà, "l'onestà di essere svelati" come recita la sinossi dello spettacolo, l'onestà di scrivere di ciò che si é attraversato profondamente fino alle viscere (non c'è altro modo di scrivere) e l'onestà di prenderne le distanze per esserne nuovamente attraversati nel portarlo in scena.

2. Quale è stato il lavoro di preparazione della rappresentazione?

Ti dico subito che la parola "rappresentazione" non mi piace, perché sa di vecchio, è un po' polverosa, e forse la meno adatta a "Preghiera" che non vuole "ra - ppresentare" qualcosa, neanche "ri - presentarla", ma attraversarla come dicevo sopra.
Detto questo, il lavoro è stato quello di sempre: la scrittura del testo é durata circa nove mesi, verso il sesto mese ho aperto il lavoro a Giuseppe (Isgrò) e gli ho chiesto se voleva curarne la regia. Contemporaneamente é iniziato il processo di ragionamento con Francesca Marianna Consonni (la nostra dramaturg), cioé tutto quel lavoro preziosissimo dentro ed attorno al testo ed alla scena, in cui Francesca ci guida: diciamo che se il lavoro fosse un albero di limone Francesca sarebbe il giardiniere che fa gli innesti. Poi, il lavoro di sound - design di Giovanni (Isgrò).
L'eccezionalità di questo processo di creazione consiste nel fatto che Preghiera è stato co-prodotto dal Teatro Garibaldi Aperto di Palermo, il teatro che per diciotto mesi è stato riaperto da un collettivo di operatori dello spettacolo. L'occupazione oggi è conclusa, ma "Preghiera" ne porta (fortunatamente) i segni: innanzitutto l'elemento di co - produzione verteva non su un aspetto economico, ma su una componente di condivisione e scambio di competenze tra Palermo e Milano, e questo ha innescato una serie di relazioni, che nella loro forma più autentica, sono destinate a proseguire, ma, soprattutto, la ricchezza infinita di allestire, montare e debuttare in un teatro bellissimo quale è il Teatro Garibaldi lascia delle tracce indelebili (nel bene e nel male) e in un processo di creazione, e nel frutto di questo processo. Certo il fatto che l'occupazione sia conclusa, impedisce che siano portate avanti modalità più strutturate rispetto al senso di una produzione in un teatro occupato (almeno nel contesto del TGA), ma per portare avanti ragionamenti di questo tipo sarebbe necessario un collettivo assolutamente disinteressato, radicale, compatto, adulto ed anche un po' folle. Non é andata così. Peccato. Io continuo a pensare che il mestiere dell'attore consista nel prendere posizione ( su un palco e fuori) senza nascondersi dietro facili maschere, e che, comunque, queste esperienze restino preziosissime.

3. Perché la scelta del titolo: Preghiera. Un atto osceno. Qual è il rapporto tra i due concetti?

Il sottotitolo è di Giuseppe, che nel momento in cui l'ha proposto stava già elaborando il suo disegno di regia.
Il titolo é mio ed é quello che viene prima di tutto: dal momento in cui ho iniziato a scrivere io volevo scrivere una preghiera, trovare silenzio, ma anche urlare e creare connessione con un altrove. Vedi com'é tutto ed il contrario di tutto? "Preghiera. Un atto osceno" può apparire un ossimoro, e forse lo é, ma i due concetti sono molto meno in antitesi e, sicuramente, si escludono molto meno, di quanto una visione standardizzata possa far pensare.

4. Perché la preghiera come parte centrale dell'opera?

Intendi la preghiera per Martina?
Lo dico nel testo, o meglio lo dice la Bibbia (Salmo 50 ): “ La mia lingua esalterà la tua giustizia”. C’ é troppo silenzio attorno al lacerante grido di dolore che ci rende così disperatamente umani.

5. Quale è il significato metaforico e antropologico che esprime il riferimento alla preghiera?

Metaforico no. Non è una metafora, non è come se. Il teatro è una sintesi, un distillato, non è una metafora.
Antropologico, credo di averlo appena spiegato sopra.

6. Che cosa hai voluto rappresentare della condizione umana?

La possibilità di resistenza, di libertà e di sogno, infinita ed incredibile, che possiede l'uomo. Questo per me non è un concetto romantico, é un concetto politico.

7. Il rapporto tra autrice del testo, che diventa attrice protagonista principale, e la regia, che è di Giuseppe Isgrò, come si è costituito, come è evoluto, come si è espresso?

Io e Giuseppe siamo molto amici, e, cosa più importante siamo amici nel lavoro. Ci conosciamo da molti anni e collaboriamo da molti anni. Il nostro rapporto quindi esisteva prima di questo lavoro. Quando gli ho proposto "Preghiera", rientrava fluidamente in un percorso di crescita del nostro linguaggio individuale, e di quello di Phoebe. Umanamente sapevo che sarebbe stato il giusto alleato. In realtà tutto è andato avanti come sempre nella voglia di creare insieme, fedeli ed infedeli al nostro linguaggio: fedeli soltanto al desiderio, come direbbe Pasolini.

8. La reazione da parte del pubblico?

Lo spettacolo è ancora troppo giovane per poter fare un bilancio, ma generalmente ci sono due tipi di reazioni: una totalmente empatica ed una più cerebrale, che poi esplode in uno scioglimento a posteriori. Ho avuto la fortuna di interpretare due lavori, questo e Loretta Strong, che scatenano qualcosa di ancestrale nel pubblico, e questo per l'attore é una ricchezza, perché permette di giocare con la parte più bestiale del mestiere. Ovviamente questa fortuna é dovuta anche al sistema di montaggio che usa Giuseppe nelle sue regie.

9. Ci sono riferimenti nella storia del teatro, soprattutto contemporaneo, a cui hai fatto riferimento per avviare uno spirito di ricerca nello sviluppo del testo teatrale?

Preghiera é il quarto testo che scrivo. In generale, quello che mi interessa é la potenza ritmica della parola, ed il modo in cui sia possibile sottrarla al silenzio per creare un nuovo silenzio sul piano del linguaggio. Il sovraffollamento dei linguaggi, il parossismo delle comunicazioni, é un rumore a cui la parola va sottratta (per esempio l’affastellamento del linguaggio scientifico in “Preghiera” serve a far emergere nella loro forza icastica le parole più autentiche, la reale preghiera).Amo questo della moderna scrittura per il teatro: la decostruzione del linguaggio, che implica una decostruzione dell’uomo e dei suoi luoghi comuni. Preferisco questo alle facili storielle che cercano di sfondare qualcosa con l’ironia. Un autore che mi ha molto affascinato e che sicuramente mi ha lasciato un imprinting nell’obiettivo é Valére Novarina (non tutta l’opera, ma quello che ho visto di suo in scena negli anni in cui vivevo a Parigi), e sicuramente la modernità di Copi, mi ha inevitabilmente influenzato, avendo interpretato e, continuando ad interpretare, quell’infallibile gabbia ritmica che é Loretta Strong. Nello specifico, comunque, Preghiera ha i suoi più grossi debiti con la letteratura e col cinema, sul piano del testo, che non con la scrittura teatrale, e se proprio dobbiamo dare delle etichette musicali, direi che più che essere post qualcosa, lo spirito di scrittura è più accostabile al glitch.


10. Hai prossime tue performance o lavori a cui stai lavorando, magari anche come regista?

Dall'11 al 16 Febbraio saremo al Teatro dell'Elfo a Milano con "American blues", una produzione Phoebe ZeitGeist, sempre con la regia di Giuseppe.
Sempre a Febbraio a Ravenna Visionaria ritornerá Loretta.
Preghiera è uno spettacolo giovanissimo che ha ancora bisogno di vivere a lungo e stiamo tutti lavorando per questo, e si ! ho un nuovo progetto in mente, a cavallo tra formazione e ricerca, ma è ancora prematuro parlarne.

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