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Il desiderio, tra tragedia e tensione: oggi dov'è questo anelito creativo? 
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Il senso del desiderio
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Il senso del desiderio
 

"La vita non ha un senso. È desiderio. Il Desiderio è il tema della Vita."
Charlie Chaplin, dal film "Luci della Ribalta"


In certe antiche culture, ancora collegate in qualche modo ad un più o meno spontaneo panteismo delle origini ma già avviate ad evolversi in civiltà raffinate, il Desiderio era un dio. Infatti nella maggior parte delle mitologie, gli dèi del Cielo e della Terra, di sesso opposto, generavano l'Universo unendosi carnalmente; era quindi inevitabile che il dio del Desiderio dovesse già esistere, per spingere tutte le cose a quel movimento che è l'indispensabile complemento dell'esistenza e della vita e che prelude ad ogni genere di procreazione. I Greci consideravano Eros, il Desiderio, il primo dio nato dall'uovo cosmico sorto dal Caos, perché senza di lui nessun altro dio o creatura avrebbe mai potuto nascere o generare. Nella versione indiana dello stesso mito, dall'uovo cosmico esce il dio Brahma, il cui nome, di certo non casuale, deriva dal concetto trascendente del "brahman", il "pensiero vibrante" partecipe di tutte le cose. Appena nato, Brahma avvia il processo della creazione, senza però stabilire la forma che le cose debbano prendere, come se appunto si limitasse ad accendere il desiderio di esistere, permanere, attrarsi, unirsi e riprodursi, all'interno degli informi elementi del Caos. Ma almeno in una versione del mito è il desiderio dello stesso Brahma a dare vita a tutti gli esseri viventi, per cui prende anche il nome di Prajapati, "Padrone del Bestiame" o "Signore delle Creature". Brahma infatti genera dal proprio corpo la bellissima dea Sarasvati e si unisce a lei, che però poi fugge continuamente cambiando forma e prendendo di volta in volta l'aspetto di un diverso animale. Allora Brahma, inseguendola, la imita nelle sue trasformazioni e si accoppia con lei sotto tutti i possibili aspetti, generando così tutte le specie che popolano il mondo.
Nella Bibbia, che chiaramente fu ispirata dai miti delle varie culture con cui gli Ebrei erano entrati in contatto a Babilonia, gli dèi indiani Brahma e Sarasvati furono ridotti ad esseri umani, diventando Abraham e Sarah, gli altrettanto mitici capostipiti del popolo ebraico, ma l'esplicita carnalità del mito indiano col suo desiderio puramente fisico fu totalmente censurata dal bigottismo monoteista, al punto che Abramo per molto tempo evitò perfino di toccare sua moglie. Eppure ci sono evidenti segni d'identità tra Sarasvati e Sarah.
Sarasvati è figlia e sorella del dio Brahma, perché nata dalla scissione del suo corpo (storia che può aver ispirato anche la nascita di Eva), e proprio il timore di commettere incesto la spinge alla fuga di fronte ai desideri sessuali della sua controparte maschile. Anche Sarah viene fatta passare da Abramo per la propria sorella, come se si dovesse spiegare in qualche modo una parentela ben nota a livello popolare, senza però darle reale credito. Inoltre Sarasvati (che significa "il Flusso") era in origine la dea di un omonimo fiume e, secondo una leggenda ebraica, Abramo ammira per la prima volta la bellezza di Sarah proprio mentre questa si lava in un fiume. Il desiderio carnale irresistibile e impudico che il fascino di Sarah suscita inevitabilmente (al pari di quello di Sarasvati), nella Bibbia è però attribuito non a suo marito, come sarebbe logico, ma ad un non meglio identificato faraone, che per giunta non riesce neanche a possederla per l'intervento di forze invisibili. Data la gran diversità tra le due culture, di cui quella ebraica antica, patriarcale e sessuofobica, tende a negare in ogni modo i misteriosi poteri del corpo femminile, si arriva poi a contrapporre l'enorme e costante fertilità di Sarasvati alla lunga sterilità di Sarah.
Un ulteriore segno di affinità tra Brahma e Abraham è anche il significato ebraico attribuito a quest'ultimo nome, "Padre di tutte le Nazioni", riferito a chi, nel mito biblico, sarebbe semmai il capostipite di due sole nazioni, quella ebraica e quella araba, benché entrambe suddivise in molte tribù. Tale significato ha senso solo se messo in relazione con una divinità primordiale, come il dio indiano Brahma Prajapati, il "Signore di Tutte le Creature".
Sempre nella tradizione indiana, un'altra versione del dio primordiale è il vero e proprio dio del desiderio, cioè Kama, l'Amore, chiamato anche "dio supremo" e "motore della creazione", di cui un'altra forma è il dio del fuoco Agni, evidentemente per il modo in cui l'Amore può "bruciare" dentro di noi. A seconda delle versioni, Kama nasce da sé stesso, o dalle acque primordiali, o dal cuore di Brahma, o dalla legge del Dharma che regola l'Universo, o dalla dea della Fortuna. Sua moglie è il Desiderio e suo fratello è la Collera, probabilmente perché la paura di non ottenere ciò che si desidera può suscitare reazioni violente. Kama è il dio della mente, della bellezza e della gioventù e, come l'Eros greco e il Cupido latino, ha l'aspetto di un ragazzo volante armato di arco, solo che l'allegoria indiana è più complessa: Kama vola cavalcando un pappagallo, il suo arco è di canna da zucchero e la corda dell'arco è formata da api, evidenti simboli di dolcezza, mentre le frecce sono cinque fiori che rappresentano i cinque sensi attraverso i quali si può suscitare l'amore.
Un antico mito narra che, avendo tentato di distrarre il dio Shiva dalla meditazione, Kama fu incenerito dallo sguardo del suo terzo occhio e da allora è rimasto privo di un corpo, finché Shiva, commosso dai comprensibili lamenti della moglie di Kama, non gli permise di rinascere come figlio del dio Krishna. Questa provvisoria "invisibilità" del dio dell'Amore si ritrova anche nella favola latina di "Amore e Psiche", inserita da Apuleio nel romanzo "L'Asino d'Oro", una storia il cui intreccio è molto simile a quello di varie fiabe europee successive, come "La Bella e la Bestia", rappresentando chiaramente il conflitto interiore tra desiderio e paura nell'affrontare le prime esperienze sessuali.
Il mito del dio Kama, che tra i suoi tanti soprannomi ha anche quello di "scostumato" e che diventa figlio del "nero" Krishna, potrebbe anche essere all'origine del biblico Cam, il figlio nero di Noè, che nel noto mito razzista ebraico viene condannato alla schiavitù insieme a tutti i suoi discendenti solo per aver visto il padre nudo, ennesima dimostrazione dell'enorme paura del patriarcato monoteista nei confronti della fisicità e degli eventuali desideri che possono derivarne. Eppure Kama, in India, è venerato anche dagli yogi che ricercano il totale distacco dal mondo, perché solo il dio dell'Amore, una volta soddisfatto, può liberare lo spirito dal desiderio. Oggi si dice sia per questo che, su porte o pareti dei templi indiani, si trovano spesso scolpite immagini erotiche, ma è più probabile che queste risalgano invece ad epoche in cui la sacralità del desiderio sessuale stesso era riconosciuta esplicitamente, molto più di quanto non accada attualmente anche in India.
Infatti, più o meno nello stesso periodo in cui gli Ebrei si "costruivano" un passato secondo i propri desideri, scrivendo una Bibbia in cui si condanna chi osa anche solo desiderare ciò che non gli appartenga, anche nel paese in cui al dio dell'Amore è stato dedicato il più famoso trattato erotico del mondo, il Kamasutra, varie filosofie indiane cominciarono a considerare il desiderio come negativo, o comunque controproducente per chi voglia raggiungere uno stato di trascendenza e beatitudine. Questo perché buona parte dei desideri, non potendo essere soddisfatti totalmente e indefinitamente (ammesso che possano essere soddisfatti almeno in modo parziale e provvisorio), comportano come conseguenza finale una qualche forma di sofferenza. Ciò è quanto si sostiene in certi testi sacri orientali, come quelli rinvenuti a Ceylon in cui al Buddha viene fatto ripetere più volte che "desiderare è dannoso", anche se molte traduzioni usano il termine "bramare", che evoca un maggiore senso di cupidigia ossessiva.
Nel Buddismo più antico insomma, il Desiderio è considerato un anello della catena che lega l'Uomo alla sofferenza. Addirittura il gioviale e leggiadro dio Kama vi viene identificato (abbastanza ingiustamente) col dio della Morte, perché si ritiene che l'Amore sensuale imprigioni l'Uomo in un immaginario ciclo delle rinascite e lo distragga dal raggiungimento del Nirvana, il totale annullamento del proprio io mentale, in pratica una fuga dal dolore dell'esistenza. Anche in uno dei testi buddisti più noti, il Dammapada (I Versetti della Legge), si ribadisce che "dal desiderio nasce il dolore" e che per essere "spiriti esultanti" occorre una "mente non vincolata a desideri". Benché certe sette buddiste moderne abbiano corretto la rigidità di questa impostazione, a volte arrivando a sostenere, al contrario, di voler aiutare i propri adepti nel raggiungimento dei loro desideri, l'idea del desiderio come "peccato" da condannare (soprattutto se legato a bisogni fisici e sensuali), sembra essere passata direttamente dal Buddismo antico al successivo Cristianesimo, insieme allo stile di vita monastico, che nel Buddismo indiano originario (ora sopravvissuto solo a Ceylon) era ritenuto l'unico modo per accedere al tanto sospirato Nirvana, la fine di ogni desiderio che in fondo corrisponderebbe all'assenza della vita (la cosa più ironica è che anche passare la vita desiderando di non desiderare più niente, significherebbe viverla comunque concentrati su un desiderio).
Nei secoli successivi e fino ai giorni nostri, le dittature assolutiste di ispirazione monoteista hanno provveduto a limitare in molti modi i desideri dei loro sudditi, per lo più rinviando ogni benessere e felicità concreta ad un immaginario paradiso post-mortem, come quello della tradizione islamica dove certe cose proibite in vita come gli alcolici e il sesso libero diverrebbero improvvisamente lecite ed abbondantemente disponibili. Eppure, nonostante tutti i tentativi di controllo e tutte le costrizioni imposte dall'alto, da regimi teocratici, clericali, feudali, industriali o statalisti, vivere senza un minimo di desideri risulta impossibile. Quindi, in attesa delle ribellioni che, quando la gente è frustrata e senza speranze, diventano prima o poi inevitabili, il soddisfacimento immaginario dei desideri di ogni popolo viene affidato ai sogni e alle fiabe.
Nel regno della fantasia, l'unico forse in cui si possa sperimentare davvero una totale libertà, il desiderio può essere rappresentato e soddisfatto in molti modi, soprattutto per mezzo di oggetti o esseri magici. Il fuoco, come simbolo del desiderio che rimane acceso in attesa di realizzarsi, ricorre sia nella storia orientale della lampada di Aladino che in quella germanica dell'acciarino magico. In una fiaba diffusa in varie versioni in tutta Europa, i bisogni e desideri dei protagonisti vengono soddisfatti da una bottiglia magica da cui escono dei servizievoli folletti, in modo analogo al genio che esce dalla lampada. Il genio, nella tradizione latina, rappresentava la forza spirituale che risiede in ognuno di noi, a livello individuale, familiare o collettivo, un concetto che oggi è stato soppiantato da quello scientifico dei geni ereditari, che analogamente dovrebbero fornirci le potenzialità innate che abbiamo a nostra disposizione per realizzarci, ma che forse troppo spesso sono visti piuttosto come dei limiti alle nostre concrete possibilità.
Un altro tema fiabesco diffuso in molte tradizioni europee è quello del pesce magico, che realizza i desideri del pescatore che accetti di ributtarlo in acqua. È come se per realizzare i propri desideri bastasse cogliere al volo un'occasione quando si presenta, a condizione di saper accettare qualche piccola o grande rinuncia. Attenzione però, perché nelle varie versioni di quest'ultima fiaba, le pretese del pescatore e di sua moglie si fanno quasi sempre così esagerate, incontentabili e senza fine che il pesce fatato poi si riprende tutti i doni concessi, riportando i suoi beneficiati alla condizione di misera indigenza iniziale; come dire che, per quanto un minimo di desideri e obiettivi sia necessario per vivere e progredire, per poter ottenere i risultati sperati bisogna anche darsi dei limiti e sapersi accontentare, evitando di pretendere l'impossibile.

Andrea Cantucci

* * *

Un ringraziamento agli autori che ancora una volta hanno inviato il loro prezioso contributo a questo numero. Li invito di nuovo, insieme agli altri autori che ancora non hanno trovato spazio sulle pagine elettroniche di SDP, ad inviare le loro opere entro il
31 dicembre 2013. Il prossimo tema: Il verde.

Massimo Acciai
Direttore di Segreti di Pulcinella

Contatore visite dal 6 giugno 2011
 
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