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Libri a fumetti

CORALINE NEL PAESE DELLE OSCURE VEGLIE
Come trasporre a fumetti una fiaba di desideri e terrore

Articolo di Andrea Cantucci

Cinema

In questo numero presentiamo:
La grande bellezza
di Mario Gardini
Parto con mamma
di Mario Gardini

Insert coin

In questo numero:
Il divertimento, stavolta, è rimanere nell'ombra
"La sensazione di bruciore c'e'..."

Teatro

Il cinismo in chiave tragicomica: ai Filodrammatici di Milano l'ottimo "Luminescienz (La setta)"
di Alessandro Rizzo

Miti mutanti 20

Strisce di Andrea Cantucci

Un artista a Coverciano 6

Strisce di Luca Mori

Il cinismo in chiave tragicomica: ai Filodrammatici di Milano l'ottimo "Luminescienz (La setta)"

 

Alessandro Rizzo
 


La linearità e la sobrietà della scenografia e della gestualità degli attori coinvolti sono gli ingredienti che tendono a rendere quasi reale, palpabile, percepibile la tensione narrativa che si legge e che si intravede sul palcoscenico: quella che ci porta a individuare l'inizio e la fine, tragica, ma mai definitiva, della vita di una setta, Luminescienz. La regia, a firma di Umberto Terruso, ha una tenuta artistica tale da definirne una presenza che non invade ma, bensì, convive con la storia, la sceneggiatura, opera di Dario Merlini, che è anche uno dei protagonisti principali, quel "profeta" che fonda il nuovo gruppo fanatico religioso, che vuole portare luce e felicità al martoriato genere umano. Dopo essere caduto in un coma a causa di un incidente, il "maestro" si vende come soggetto dai poteri sovrannaturali, tanto da irretire la madre della propria prossima bambina e un gruppo di seguaci che saranno suoi fedeli. La non fine determina l'aspetto più fondamentale della narrazione: il cinismo è assenza di speranza per la debolezza e la perfida mente umana, dividendo le persone in coloro che sono vittime e coloro che sono carnefici, senza un confine chiaro, ben delineato e, soprattutto, cambiabile, mutabile. La vittima può diventare carnefice e viceversa. Il pessimismo è forte e incisivo, fuori da ogni lettura moralistica o finto paternalistica: la dirompente franchezza e la linearità della narrazione e, quindi, della recitazione, portano a definire, anche tramite il gioco magistrale delle luci, una metafora tangibile della fallibilità dell'individuo, inserito in una società post moderna priva di fiducia, totalmente alienata a causa di una dimensione vorticosamente precaria e disumanizzata. Umberto Terruso non ha scuole accademiche o stili a cui rifarsi, dato un suo stile e una sua poetica autonomi e sicuri, che si traducono nell'abilità genuina della performance dei suoi attori, abili a cambiare personaggio, denotando una loro capacità interpretativa notevole e matura. Matura è anche la penna di Dario Merlini, data la coerenza e la complessità di una storia che è stata tradotta nella sua portata estetica e concettuale sul palcoscenico, attraverso una regia dai tratti determinati e incontrovertibilmente autonoma e tale da rompere gli indugi di un'oberante e soffocante separazione pubblico/palcoscenico, creando un coinvolgimento emotivo, quasi intellettivo e visivo con lo spettatore, chiamato in causa come colui che cerca salvezza nell'abbraccio mortale e devastante degli amici della setta. La santità promessa si impatta con la miseria umana in un procedere che ci porta a leggere, sia nella gestualità e nella capacità rappresentativa degli attori, sia nella completezza della storia, le instabili, quindi fallaci e caduche, capacità mentali e critiche del soggetto, testimoniando l'inaffidabilità dell'uomo e la sua impossibilità di fuggire da chi utilizza il mistero e le promesse come elementi di riscatto fasulli.
Come una ragnatela in cui il ragno avido, gli stessi fedeli si rivolteranno contro il profeta, lasciando solo a pochi, ostinati anche nel tramonto dell'attività, la possibilità di trovare lucro da un'iniziativa e attività che si basa sul "lavaggio dei cervelli" e sulla manipolazione delle menti, porta a non lasciare opportunità di fuga a chi cade irrimediabilmente: non solo la setta, che sembra un continuum circolare senza soluzione, irretisce e imbonisce senza punto di ritorno, ma sono anche i media, che giocano sulle disgrazie per fare audience, così come i mercanti dell'arte, che amano promuovere solamente per interessi venali opere senza alcun valore, a essere soggetti che rapinano la tua attenzione rendendoti debolmente vittima di un percorso perverso. La rappresentazione spietata, quanto realista, dell'umanità nelle sue dicotomie esistenziali ci trova occupati, come spettatori, e quasi calamitati, in una verità che si denuda, si presenta spogliata da ogni fardello, fredda e imperturbabile nella sua impermeabilità ad alcun compromesso, chiamati noi stessi come spettatori ad affrontare la situazione e a rielaborarla, senza alcun tipo di idealità o di contaminazione soggettiva: sta a noi uscire dal gioco e provvedere a leggerlo sotto un'ottica più distaccata. Importante è sapere quando si stia raggiungendo il cosiddetto e inclemente punto di non ritorno. Gli Oyes sono la compagnia che si è proposta con "Luminescienz" al Teatro Filodrammatici in questi giorni di maggio, facendo parlare i media e avendo un ottimo riscontro di pubblico. Una nota particolare va agli attori: Enrica Chiurazzi, nel ruolo della ragazza irretita, interpretazione puntuale di una donna che avverte il soffocamento di una condizione che lei stessa ha silenziosamente accolto, da cui vorrà districarsi e liberarsene; Francesco Meola, nelle sue capacità di mutazione del personaggio impersonato, conferma una tenuta e una maturazione recitativa, spesso tradotta in un'altrettanto capacità mimica ed espressiva del viso; Stefano Codella, dotato di una fluidità comportamentale e di una dinamicità artistica che rende credibili i vari soggetti interpretati; Andrea Lapi, la cui abilità sta nel rendere ancora più grottesco la maschera che il personaggio, l'attore di successo, deve indossare ogni giorno per non smentire le attese del pubblico; Dario Merlini, la cui universalità artistica lo porta a essere autore e interprete del perverso e inesauribile protagonista, da lui stesso ideato. Un inno al cinismo in chiave tragicomico, il cui registro che si crea ci porta a rendere tale dato ed elemento caratteristico più efficace e incisivo: linguaggio di una comunicazione che, attraverso un ritmo incalzante, invade e pervade con le note e deleterie conseguenze che si potranno dal vivo assaporare.

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