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Libri a fumetti

LA SINDROME DEL CRONONAUTA
Cronistoria dei viaggi nel tempo a fumetti - seconda parte

Articolo di Andrea Cantucci

Cinema

The helper
di Mario Gardini
The artist
di Mario Gardini
Priscilla, la regina del deserto - il musical
di Mario Gardini
J. Edgar
di Mario Gardini
Hugo Cabret
di Mario Gardini
Paradiso amaro
di Mario Gardini
Quasi amici
di Mario Gardini
Le nevi del Kilimangiaro
di Maria Antonietta Nardone

Teatro

Intervista a Francesco Panizzo: il teatro radice di un impegno artistico
A cura di Alessandro Rizzo
Intervista al regista di Erodias di Testori: Raul Iaiza
A cura di Alessandro Rizzo

Interviste

Filippo Riniolo: l'arte della forma e della semiotica
A cura di Alessandro Rizzo

Fotografia

"Road to the North": la Lapponia attraverso lo sguardo dell'obiettivo: Intervista ad Adriano e Federico, autori della rassegna fotografica
Intervista a cura di Alessandro Rizzo

Miti mutanti 15

Strisce di Andrea Cantucci

Un artista a Coverciano 1

Strisce di Luca Mori

Filippo Riniolo:
l'arte della forma e della semiotica

 

A cura di Alessandro Rizzo


Filippo Riniolo proviene da una formazione complessa come artisti, seppure lui la definisca uno dei più "classici dei cursus honorum". Viene definito artista queer, ma riprende il concetto inglese del termine considerando che la sua intenzione è di rivolgersi a un pubblico differente a cui inviare messaggi producendo "dei segni significativi per tutte le minoranze che hanno bisogno di trovare il modo di esprimere la loro oppressione, denunciare la sua illegittimità". E conclude con una massima che definisce la sua produzione: "i miei lavori partono da intuizioni ma non sono delle "trovate divertenti", individuando, così, l'opera di elaborazione e di approfondimento di ogni idea e di ogni opera prima della sua realizzazione. Lo abbiamo intervistato e chi volesse assaporare le prime sue opere può andare sul suo sito, www.filipporiniolo.it

1. Filippo, ti formi all'Accademia delle Belle Arti di Roma, sei grafico, hai frequentato l'Istituto d'Arte. Che cosa questa formazione complessa ha apportato alla definizione della tua poetica artistica?

Il mio è il più classico dei "cursus honorum" per un artista. L'istituto d'arte mi ha dato la possibilità di non chiudermi nell'astrazione teorica, quasi autoreferenziale, di molta arte contemporanea. Ho potuto rapportarmi con i materiali, gli oggetti, le immagini con una certa praticità. Non sono un artista esclusivamente concettuale, perché non rifiuto la tecnica, né un artista moderno che lavora esclusivamente nella tecnica (come un pittore). La mia ricerca è nelle pieghe della tecnica, ovvero cerco di restituire, attraverso i miei lavori, le implicazioni intellettuali che questa porta con sé.

2. Ti definiscono in diversi contesti un "artista queer": che cosa si intende contenutisticamente e stilisticamente con questo termine?

Artista queer… Innazitutto c'è da stabilire lo scollamento fra il termine queer nel mondo accademico anglosassone e il significato che ha assunto nel nostro paese. Nel resto del mondo questo termine rimanda ad una disciplina, figlia della comparatistica e soprattutto della filosofia di Foucault, che vorrebbe superare lo stesso concetto di maschio e femmina, o di etero e gay. In Italia si usa, invece, per lo più come sinonimo di gay o come contenitore per l'intera sigla LGBT.
Personalmente mi rifaccio alla teoria diciamo classica dei "queer studies" e i miei lavori partono dall'idea che la verità non esiste in modo assoluto, ma che si aggreghi intorno a parole, concetti, segni. Ogni mia opera vorrebbe essere un segno/oggetto/forma utile a leggere la realtà di oggi.
Allo stesso tempo, sono anche scettico nei confronti della filosofia foucaultiana: comprendo i limiti del mettere in discussione eternamente qualsiasi verità, addirittura fino a negare l'esistenza dell'essere gay in un calderone perennemente caotico. La mia ricerca è, quindi, un superamento del post moderno e di questa negazione perentoria della realtà.

3. Quali sono le opere che consideri maggiormente rappresentative della tua produzione artistica?

Non ho opere preferite; potrei sostenere, quindi, che siano quelle che ho in cantiere e che sto preparando. Se devo comunque individuarne una, credo che sia "A cosa serve Ichino", realizzata in due versioni, una al neon e una in metallo. La prima si trova al CIAC, Centro Internazionale d'Arte Contemporanea di Genazzano, l'altra è esposta a Venezia al S.A.L.E. Dock, nei magazzini del sale a punta della dogana. L'opera è una scritta che ha la forma dell'insegna che campeggia sul campo di concentramento di Auschwitz, ma presenta un'iscrizione diversa. Invece di "Arbeit macht frei" si può leggere " Lifelong learning". Così a livello formale si passa dallo slogan per eccellenza del '900, un secolo costruito su narrazioni del lavoro, allo slogan attuale: studiare tutta la vita. La formazione permanente, più che condivisibile come idea e slogan, ma che in qualche modo è diventata una condanna costringendo i giovani alla precarietà perenne: quindi un parallelo sulla "forma" dello slogan e sulla struttura socioeconomica. Sul titolo, molto controverso, vi rimando a ulteriori ricerche. Vi dico solo che l'opera ha tre anni ma, ahinoi, è ancora troppo attuale. Lo trovate, con altre opere sul sito: www.filipporiniolo.it

4. Ti rifai a correnti particolari, hai degli artisti di riferimento precisi, oppure possiamo dire che la tua poetica è libera e pienamente postmoderna, nella sua ecletticità?

Ho degli artisti che mi hanno segnato molto, dall'immancabile Douchamp ad Alighiero Boetti. Ho molti altri artisti nel mio olimpo personale, ma non mi rifaccio a nessuna corrente nello specifico. Nonostante questo, però, non mi definirei postmoderno, perché nella mia generazione c'è uno scarto che è bene rintracciare, un'attitudine al rapporto con la verità di cui parlavo prima ed una critica al mercato dell'arte più consapevole, complice forse la crisi economica e il crollare di alcuni modelli finanziari nell'arte, tutto ciò non si può definire un'avanguardia, né forse una corrente. Direi che è un'attitudine.

5. Quali sono stati finora i riscontri che hai avuto da parte del pubblico?

Il pubblico dell'arte contemporanea funziona sempre nello stesso modo. Quando al vernissage è sazio a sufficienza verrà a farti i complimenti per il tuo lavoro e a darti molte pacche sulle spalle. Sono molto fortunato perché ho curatori e critici più adulti e preparati che, successivamente, negli studiovisit o più semplicemente a cena, faranno delle valutazioni ponderate sul mio lavoro e sulla mia crescita artistica. Sono sempre più convinto che solo in un clima confidenziale, che non vuol dire amichevole, siamo pur sempre in un ambito lavorativo, si possano esprimere critiche costruttive e complesse. Raramente questo si può fare dalle colonne di un quotidiano o di un settimanale.

6. A quale target di pubblico ti rivolgi, se si può definire una categoria precisa e identificata a cui ti rivolgi?

Non posso definire un target a cui rivolgermi. Diciamo, però, che vorrei produrre dei segni significativi per tutte le minoranze che hanno bisogno di trovare il modo di esprimere la loro oppressione, denunciare la sua illegittimità. E dei segni che sappiano istillare nella maggioranza il dubbio che il loro essere numerosi non legittimi l'oppressione degli altri. Capisci che questo non è proprio un target o una categoria. A volte mi hanno chiesto se parlo ai gay e alle lesbiche, in generale alle persone LGBT, perché questo mi avrebbe connotato come "artista gay". La mia risposta è che il mio lavoro è immerso nella battaglia per la sovversione dell'eteronormalità fino al collo, ma proprio per questo non posso parlare solo ad una condizione.
Non posso comunque nascondere quanto sia fondamentale, all'interno della mia ricerca sulla verità e sulla condizione delle minoranze, il rapporto con le comunità.

7. Quale messaggio vuoi esprimere attraverso una tua opera?

Il messaggio non c'è. Il mio è un lavoro sulla forma e sulla semiotica. Un esempio: prendiamo la parola "precarietà"; questa non è solo una sequenza di lettere ma è un termine che riassume un passaggio del pensiero, utile ad argomentare una certa condizione. Se non ci fosse, sarebbe più complicato esprimere una certa realtà. Non è un caso che esista un altro termine: flessibilità. Qualcuno lo utilizza proprio per rappresentare una cosa simile, non uguale, con un'altra accezione e senso. Ecco, io accosto le forme, gli oggetti, i suoni, per costruire degli strumenti utili all'emancipazione; ma questo non prevede che vi sia il messaggio: ribellati. Non ne ho l'autorevolezza in primis e poi sarebbe terribilmente didascalico. Mi basterebbe essere utile alla costruzione di senso.

8. Quali sono le fasi attraverso cui componi e realizzi un'opera? Da che cosa, spesso, trai ispirazione per le tue opere?

Tutto parte sempre da un'intuizione formale. Dalla vita, dalla lotta politica, dalla lettura, da una battuta ironica. Un'intuizione non ha un luogo privilegiato in cui svilupparsi. Poi la racconto alle persone che mi circondano, ascolto il loro parere, ci penso e ripenso, la provo a realizzare, poi la cambio, poi la dimentico. Un caos insomma. Diciamo che se dopo un anno penso ancora che sia una buona idea, e trovo l'occasione per realizzarla, lo faccio. Per questo i miei lavori partono da intuizioni ma non sono delle "trovate divertenti": sono frutto di un approfondimento, non organizzato, ma comunque un approfondimento e di un confronto con molte menti brillanti, che per fortuna, mi circondano.

9. Hai avuto diversi riconoscimenti artistici? Quali sono le mostre e le esposizioni a cui hai partecipato e quali le prossime in programma?

Avendo cominciato da piccolissimo il mio primo premio per un concorso d'arte l'ho vinto a 16 anni, con una scultura, a Como al premio "Angelo Thenchio". L'anno successivo a Milano ho ricevuto il premio Boccioni. Mi ricordo ancora che il tema era la natura e cosa realizzai? Presi un metro quadro di erba alta e la legai con gli elastici per capelli. Un lavoro che voleva restituire la goffaggine del tentativo dell'uomo di domare la natura. Un'opera che ad oggi mi fa sorridere, tanto quanto il ricordo del mio povero babbo: mi ha dovuto aiutare a trasportare tutti quei Kg di terra e sterpi, fino in galleria, senza capirci molto!
L'anno scorso, in occasione dell'EuroPride di Roma, ho partecipato ad una mostra dal titolo "Nuda proprietà", allestita a Piazza Vittorio, innanzi al PridePark, e organizzata dall'associazione GloryAll e curata da Roberto D'Onorio. Giusto per rimanere in tema GLBTQI.
Per il futuro prossimo ho in programma tre mostre, fra cui una sulla decrescita: molto stimolante, ma non voglio rivelare molto, per scaramanzia!
Devo, poi, riprendere in mano la produzione. Ho tanti progetti "pronti", da realizzare, ma una mostra dietro l'altra mi ha impedito di farlo. Gli artisti romani, in questo, non sono come i milanesi, si perdono in chiacchiere e vernissage troppo facilmente!

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