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Narrativa

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi in prosa inediti, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
Nell'era del block inside di Elena Calamandrei, La croce di Rossana D'Angelo, Il castello di Rossana D'Angelo, 21 giugno 2011, solstizio d'estate (Pantheon) di Rosalba De Cesare, La prima neve di Geneve Dinu, Sarai sempre fiera di noi, Zoe! di Geneve Dinu, Macchina Lunga di Stefano Gecchele, La stilista imbranata di Giovanna Micelli, Il ritorno di Natalia Radice, L'ultima partita di Natalia Radice, Un incidente di Mattia Zandra

Poesia italiana

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi poetici inediti, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
poesie di Massimo Acciai, Francesco Bellini, Giovanna Casapollo, Geneve Dinu, Alessandra Ferrari, Emanuela Ferrari, Maria Lenti, Iuri Lombardi, Nicolò Maccapan, Antonio Nesci, Cristina Oprea, Natalia Radice, Paolo Ragni, Katia Rosanna Rossi, Anna Maria Folchini Stabile, Liliana Ugolini, Anna Maria Volpini

Poesia in lingua

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi poetici inediti, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
poesie di Lucia Dragotescu, Robert Serban

Recensioni

In questo numero:
- "In bianco e nero" di Maddalena Lonati, nota di Massimo Acciai
- "Poesie 1803" di Adam Oehlenschläger, a cura di Francesco Felici
- "Le catene del potere" di Tiziana Iaccarino, nota di Massimo Acciai
- "Supernext" l'antologica connetivista nel blog della Kipple Officina Libraria
- "Namasté" di Maria Antonietta Nardone, nota di Massimo Acciai
- "Paolo e il segreto delle nuvole" di Annalisa Margarino
- "Amore mio dolce" di Alda teodorani
- "La stortura della ragione" di Gian Piero Stefanoni, nota dell'autore
- "Io e te" di Niccolò Ammaniti, recensione di Emanuela Ferrari
- "Demon Hunter: l'arcangelo risolutore" di Riccardo Brumana, recensione di Sara Rota
- "Mercanti di organi" di Aldo Emilio Moretti, recensione di Sara Rota
- "Johnny Nuovo" di Mauro Evangelisti, recensione di Sara Rota
- "Mattatoio n. 5" di Kurt Vonnegut, Recensione a cura di Mauro Biancaniello
- "Occhi d'Oro" di Alda teodorani
- "Pazienti smarriti" di Maria Rosaria Pugliese, recensione di Lorenzo Spurio
- "New Yorker's Breaths" di Maurizio Alberto Molinari, recensione di Lorenzo Spurio
- "Pensieri senza pretese" di Christian Lezzi, recensione di Lorenzo Spurio
- "Jane Eyre, Una rilettura contemporanea" di Lorenzo Spurio
- "Il mare di spalle" di Antonio Sofia
- "Di esperanto in esperanto" di Giuseppe Macrì
- "Dalla vetrata incantata" di Sandra Carresi, Prefazione di Lorenzo Spurio
- "Etica oggi" di Michela Marzano, articolo di Damiano Mazzotti
- "Nebular" di Antonio Messina

Articoli

CicloInVersoRoMagna 2011: La poesia in bicicletta
di Enrico Pietrangeli
E' nata la rivista Fucinando
di Lorenzo Spurio
Un'agorà digitale che coinvolge: nasce "Io come"
di Alessandro Rizzo
Romeno, tedesco, italiano: Dieter Schlesak, l'"abitante del tra"
di Afrodita Carmen Cionchin

Letteratura per la Storia

Il mito della nobiltà inglese in letteratura 
di Lorenzo Spurio

Interviste

Intervista a Antonio Sofia
A cura di Massimo Acciai
Intervista a Lorenzo Spurio
A cura di Massimo Acciai
Intervista a Massimiliano Coccia
A cura di Alessandro Rizzo
Ossigeno: un romanzo diario di Christiano Cerasola
A cura di Alessandro Rizzo
Un'ode al lavoro: intervista a Federico Zazzara
A cura di Alessandro Rizzo

La stilista imbranata
 

Giovanna Micelli

 

Non mi sarei mai aspettata che, per realizzare un sogno, avrei dovuto cambiare esteriormente. E anche alcuni modi di pensare.
Sono del parere che se una persona abbia delle ottime doti, nel campo in cui desidera lavorare, non debba cambiare per compiacere gli altri.
Insomma, devono guardare il talento oppure l'aspetto della persona da cui viene fornito il talento?
Quando vai incontro ad un sogno, ci sono molti cambiamenti di strade, con tante scorciatoie. C'è chi arriva più veloce al primo posto (grazie alle raccomandazioni) e chi, invece, viene scartato con interesse zero o va piano e incontra tante difficoltà, come me.
Di certo non mi sono arresa. Ho continuato a combattere, anche se sono nata e cresciuta in una famiglia contadina, senza arte né cultura. Ma mi hanno insegnato sin da piccola a non arrendermi alle prime difficoltà e a non smettere di amare, poiché grazie all'amore, è possibile arrivare ovunque.
Sono nata in una città formata da un legame molto stretto con la montagna e il clima molto freddo (ma fresco in estate).
Questa bellissima città si chiama Trento. Una città con ancora vecchie tradizioni. Dove non si utilizza ancora "tecnologia indipendente".
Dopo gli studi, non riuscendo a trovare un buon lavoro, ho iniziato a collaborare con due amici, Gianpiero e Chiara, e ad andare in giro con un camper a vendere bigiotteria e oggettini d'arte realizzati da me.
Con il camper andavamo in giro in cerca di fortuna. Ma sapevamo che, fino a quando saremmo rimasti nel nostro "recinto", non avremmo trovato alcuna fortuna.
Quando un giorno, guardando la televisione, vidi una pubblicità diversa dalle altre, che mi permise un'idea.
"Siete bravi a disegnare modelli? Siete bravi a sfilare in passerella anche se non siete dei professionisti? Siete in ottima amicizia con la fotografia? Volete lavorare nel mondo della moda? Ebbene, cosa state aspettando? Venite dal 20 al 21 Agosto a Milano, nell'agenzia più grande di Mario Bronzi: "The Style". Mi raccomando, non mancate!".
Rimasi immobile a guardare lo schermo, quando mi cadde il telecomando di mano e sussurrai: "CHE COSA?" per poi cominciare ad urlare di gioia.
Chiamai immediatamente Gian e Chiara per chiedere loro se avevano ascoltato la notizia e mi confermarono di esserne a conoscenza.
Eravamo contentissimi, proprio perché il giorno seguente, sarebbe stato il 20 Agosto. Nel momento in cui staccai con loro, andai verso la cucina a fare una durissima prova: convincere i miei genitori a farmi andare a Milano.
Silenziosamente entrai in cucina. Feci cadere di proposito la scopa elettrica, anche se finsi indifferenza e casualità e si voltarono verso di me, chiedendo cosa avessi.
Balbettai. Poi presi coraggio e dissi che avrei voluto partecipare ad alcuni provini che si sarebbero tenuti a Milano, per cercare di entrare nel mondo della moda con i miei amici.
Per un attimo, cadde il silenzio. Si udì solo il mio fratellino starnutire, ma grazia a lui, in seguito, i miei genitori ripresero la parola: "Figlia mia, ma certo ... è una bellissima notizia. Mi raccomando, però, state attenti." disse mio padre alzandosi dalla sedia e abbracciandomi.
Intanto, quando preparai la borsa, mia madre mi aiutò portandomi un sacco di farmaci e persino una sciarpa. Ma non andavo di certo al Polo Nord (le feci notare)!
Mi raccomandò di stare attenta, di mangiare sano, di usare la medicina per il mal di testa o qualunque nevralgia e di coprirmi bene.
Sorrisi. Era sempre stata molto apprensiva e premurosa, allo stesso tempo.
Venne finalmente il giorno della partenza.
Ricordo che passai la notte in bianco. I miei amici vennero a bussare alla mia porta già alle prime ore del giorno, dando un saluto anche alla mia famiglia in vestaglia.
Salutammo i miei genitori e scendemmo con tanto entusiasmo.
Quando mettemmo in moto il camper, Chiara mi chiese: "Elena, hai preso tutto?".
"Sì, perchè?" risposi.
"Sicura? Non t'ho vista scendere con le mani piene".
Pensai per 5 minuti con lo sguardo nel vuoto, poi capii: "Uh cavoli, la valigia!" ecco cosa avevo dimenticato.
Salii a casa velocemente, dove trovai i miei con la valigia ad aspettarmi fuori alla porta: "Sempre la solita storia!" sorrisero, divertiti.
"Scusate, ma è l'emozione!" esclamai affannosamente per aver fatto le scale di corsa. E così cominciò il viaggio.

Arrivammo a Milano in preda al totale disorientamento, poiché non sapevamo neanche quale strada prendere, né dove andare esattamente per raggiungere l'agenzia "The style".
Intanto, ci fermammo affianco ad un pub a prendere qualcosa. E, nel sederci presso un tavolino, sbuffammo delusi.
"Quindi, che facciamo, torniamo a casa?" chiesi in preda allo sconforto.
"Penso proprio di sì. Che sciocchi … ci siamo illusi!" disse Gian e Chiara concordò.
Dopo aver pagato il conto, arrivammo all'uscita, quando ci scontrammo con un uomo che fece cadere la mia borsa con la sua. Chiesi scusa, non avendolo guardato neanche in viso e presi subito la borsa da terra.
Quando poi ci mettemmo in moto col camper, ci accorgemmo che non c'era più neanche benzina. Ci mancava solo quello!
Eravamo disperati e, nel momento in cui cercai di chiamare qualcuno, aprii la borsa, ma mi accorsi che non era la mia. Era colma di documenti, oltre ad un cellulare, un album di modelli di vestiti ed un'agenda.
Iniziò a salire il panico. Scesi dal camper ed entrai di nuovo al pub per chiedere delle informazioni, poiché mi ero scontrata poco prima per strada con un uomo col quale avevo abadatamente confuso la borsa con la mia.
Mi chiesero di descriverlo, ma era difficile farlo, poiché non lo avevo visto in viso. Che sfortuna ebbi! Sarebbe stato meglio se non mi fossi mossa da casa!
Si fece sera, e ancora non trovammo soluzione. Quando squillò il cellulare contenuto nella borsa di dell'uomo misterioso.
Vidi il numero sul display e notai che era il mio numero. Risposi e sentii la sua voce scusarsi per aver preso per sbaglio la mia borsa, poiché era identica.
Mi comunicò che sarebbe venuto, in breve tempo, a riprenderla nello stesso posto in cui ci eravamo scontrati e, inoltre, si disse interessato a parlarmi.
Dopo 15 minuti vedemmo avvicinarsi un uomo verso di noi che mi chiese se ero Elena. Feci un cenno con la testa.
Si tolse gli occhiali da sole e scoprimmo che si trattava di Mario Bronzi in persona!
Gli occhi miei e quelli dei miei amici, si aprirono come quelli dei gufi, poiché eravamo increduli di avere davanti il nostro idolo.
Rimanemmo in silenzio, sperando che non fosse una semplice allucinazione. Staccò la spina del silenzio Gian, chiedendo se fosse l'autentico Mario Bronzi.
L'uomo rispose con un sorriso e con un cenno: "Ho visto i tuoi disegni, Elena. Sono favolosi, complimenti. Sei interessata ad entrare nella mia agenzia? Ovviamente, se anche loro sono bravi … perchè no? Formerete un'ottima squadra!".
"Noi siamo prontissimi!" rispondemmo tutti in coro entusiasti.
"Io sono portata come fotomodella e cucito!" disse Chiara.
"Io con le foto. Ho fatto una scuola specializzata proprio per questo settore!" esclamò Gian.
"Bene ragazzi, allora domani mattina all'Agenzia Style. Lo sapete dove si trova, giusto?" chiese.
"No, purtroppo … non siamo della zona. E, inoltre, è finita pure la benzina, siamo a piedi!" dissi.
Lui ci guardò, girandosi verso l'auto con cui era venuto accompagnato da suo agente e aggiunse: "Beh ragazzi … sarete ospiti a casa mia. E domani mattina, porteremo la benzina a questo bel camper. Okay?".
Sorridemmo, ancora increduli.
Così, fummo ospiti a casa di Mario Bronzi e il giorno seguente portammo benzina al nostro camper. In seguito, andammo all'agenzia.
Compilammo un modulo d'iscrizione all'agenzia per potervi lavorare e ci tenemmo uniti e contenti. Finalmente il nostro sogno stava diventando realtà.

Passarono 15 giorni da quel momento.
Tutti i colleghi dell'agenzia tornarono dalle proprie vacanze "vip" e, nel vedermi, cominciarono a commentare amaramente: "Me l'aspettavo meglio" mentre altri ridevano di sottecchi e altri ancora iniziarono a sbirciare tra i miei capi d'abbigliamento.
Proprio quel giorno conobbi Eugenio Bronzi, il figlio di Mario. Bellissimo. Al punto che tutte le segretarie e modelle dell'agenzia erano ai suoi piedi.
Quando ci fu la stretta di mano, mi persi nei suoi occhi color azzurro ghiaccio. Mi bloccai per un attimo, poiché in quell'azzurro ritrovai il bellissimo paesaggio del Trentino.
Sembrava un ragazzo molto simpatico, ma non mi sarei mai potuta dire "un suo tipo".
In seguito conobbi il secondo socio dell'agenzia, la sorella di Mario, Veronica. Tutti dicevano che era una persona cattiva ed egoista. Offendeva facilmente i suoi colleghi.
Quando mi conobbe, subito si apprestò a chiedere: "Tu saresti quella famosa neostilista?" senza stringermi neanche la mano.
"Sì, sono io, piacere." sorrisi.
"Mmm … mamma mia, tesoro, hai mai visto un negozio d'abbigliamento? Da dove vieni?" commentò nel guardarmi da capo a piedi.
Mi offesi e a stento risposi: "Da Trento".
"Beh … Heide aveva più gusto di te nel vestirsi!" esclamò con ironia, per poi proseguire: "E quei capelli? E gli … occhiali?" chiese ancora, sospirando, in modo quasi infastidito.
"Veronica, la vuoi smettere?" s'intromise, invece, con gentilezza il fratello Mario. Ma la donna non rispose. Rimase col suo viso da superba e se ne andò.
Mario mi chiese scusa per il comportamento della sorella, dicendo che era così con tutte. Ma non volevo le sue scuse, piuttosto quelle di Veronica in persona.
Il peggio? Eravamo anche vicine di studio e approfittava spesso della mia bontà e pazienza. Mi chiedeva spesso di farle delle commissioni da "inserviente", del tipo … "Portami caffé, cornetto e riviste moda!".
Era diventata fin'anche un'abitudine, ad un certo punto.
Non ero più un'apprendista-stilista, ma la sua segretaria. Ci sarebbe mancato solo che mi avesse chiesto di rispondere alle sue chiamate in studio, quando non ci sarebbe stata!
Intanto, il lavoro procedeva bene insieme ai miei amici, anche se le prese in giro da alcuni colleghi non si risparmiavano.

A inizio Ottobre avemmo il compito di organizzare un set fotografico ed una sfilata per la collezione Autunno - Inverno da portare a termine entro il 25 del mese.
Il gruppo "C.G.E." soprannominato così da noi per usare le nostre stesse iniziali e da alcuni colleghi, si mise subito all'opera per preparare la sfilata più bella di tutti.

Arrivò il giorno che precedette la sfilata e tutto era pronto ma, accadde qualcosa.

Quella mattina, gli abiti erano tutti nel mio studio. Ne presi uno a caso e lo indossai, per poi specchiarmi. Mi stava d'incanto.
Avevo in mano un bicchiere di cioccolata calda che, nel voltarmi, si rovesciò sull'abito.
Il vestitino da che era un misto tra argento e bianco, diventò una grossa macchia marrone. L'unica soluzione sarebbe stata quella di portarlo in lavanderia immediatamente, sperando che sarebbe potuto tornare tra gli altri pronto ed asciutto per il giorno seguente.
Lo portai subito in lavanderia, senza dar occhio ai miei colleghi e, tanto meno, a Chiara. Se fosse venuta a sapere una cosa de genere, malgrado fossimo grandi amiche, mi avrebbe ammazzata!
Passarono un po' di ore dalla mia consegna. Attesi ansiosamente in lavanderia che il vestito tornasse quello di prima, poiché mi dissero che avrei potuto aspettarlo il giorno stesso per il ritiro.
Quando me lo consegnarono, però, notai che non era più argento e bianco, ma tra il rosa ed il fucsia.
Chi l'avrebbe detto a Chiara?
Tornai allo studio ad un orario tardo, quando ormai non c'era più nessuno, poiché era l'ora di chiusura dell'agenzia.
Ma entrando nel mio studio, notai che c'era Chiara ad aspettarmi. Probabilmente, doveva aver notato da subito l'assenza di un abito. Infatti, mi chiese dove fosse l'abito argento e bianco al quale avrebbe voluto fare un piccolo ritocco.
Balbettai. Non sapevo cosa dire e soprattutto come affrontare l'argomento.
Avevo l'abito in una busta che sorreggevo con la mano destra e tremavo al pensiero che, probabilmente, non sarebbe più servito neanche per essere indossato.
Chiara mi chiese, ad un certo punto, cosa ci fosse nella busta che portavo. Tremai, ma le mostrai l'abito dicendo con voce roca: "Chiara … è stato un incidente. Davvero scusa, perdonami!" terminai con un tono quasi implorante.
La mia amica non parlò. Aveva gli occhi spalancati, la bocca aperta e il corpo rigido. Di sicuro, non respirava nemmeno più!
"Com'è successo?" mi chiese, ad un certo punto, con un filo di voce.
"Inutile raccontarlo. Sono una frana. La peggiore amica che hai. Sono una stupida!" abbassai il capo e feci scendere alcune lacrime.
Non rispose, ma mi abbracciò: "Tu non sei stupida. Sei la migliore amica che ho. Sei fantastica così come sei. Ma ora … cosa facciamo?" chiese, dandomi dei colpetti dietro la schiena.

Arrivò il giorno della sfilata. Le nostre modelle erano pronte. Prima della sfilata, fu allestito anche un grande buffet per festeggiare l'evento.
Alla sfilata arrivarono anche i miei genitori e mio fratello.
Sembrava che tutto andasse per il verso giusto, fino a quando alcune modelle ci dissero: "Ci dispiace ragazzi, ma ..." s'interruppe una di loro, portandosi una mano sulla bocca ed un'altra continuò la frase: " … Elena, stiamo malissimo!" esclamò, massaggiandosi la pancia.
Le chiesi cosa avessero mangiato e risposero dei pasticcini che aveva offerto loro Veronica di nascosto, rassicurandole che nulla sarebbe accaduto, se avessero solo "assaggiato" qualcosa.
Capimmo subito che Veronica ne aveva fatta una delle sue, per gelosia. E in quel momento, come avremmo trovato di punto in bianco altre modelle per la sfilata?
Ma mi venne un'idea: scegliere alcune ragazze tra gli invitari. Ragazze dall'aspetto dignitoso e longilinee, possibilmente.
Riuscimmo a prenderne ben otto. Entrammo nel backstage e chiedemmo loro di indossare i nostri abiti per sostituire delle modelle che si erano sentite male improvvisamente e non avrebbero potuto sfilare. Accettarono, piacevolemente sbalordite ed iniziammo a prepararle.
Cominciammo con il make-up e l'acconciatura, nella speranza che gli abiti e le scarpe calzassero loro nel modo giusto, poiché le taglie che avevano non erano le stesse delle modelle.

La sfilata iniziò.

Entrarono in scena le prime: sfilarono alla grande, senza dare nell'occhio al pubblico e ai giornalisti. Ma poi accadde che la terza ragazza, nel camminare, cominciò a tremare e a reggersi a stento sui tacchi troppo alti, così prese una storta e cadde, ma per fortuna riuscì ad alzarsi.
La quarta ragazza, invece, era troppo rigida, come se trattenesse la pancia. Infatti, quando arrivò alla fine della passerella, facendo il giro per tornare indietro, strappò l'abito che indossava, partendo dalla schiena fino al suo fondo e fuoriuscì la sua parte intima, che lasciò intravedere la biancheria usata.
Sentivo il pubblico che rideva e me ne dispiaceva. Notai soprattutto Veronica godere di quelle disavventure nel corso della sfilata e mi fece rabbia.
In seguito un'altra ragazza sfilò con l'abito che avevo portato in lavanderia.
"Oh … no, cavoli, ma è scema questa? Chi l'ha fatta sfilare con quel vestito?" chiese dietro le quinte a qualcuno di non ben definito che non rispose.
Chiara mi guardò per dire: "Ma non lo avevamo buttato?", poi attese il ritorno della ragazza che aveva sfilato, poiché non ricevette alcuna risposta e le chiede dove aversse preso il vestito e chi le avesse detto di indossarlo per sfilare.
La ragazza rispose: "Veronica me l'ha dato dicendo che era un'idea realizzata insieme a voi". Ma ormai era cosa fatta.
In seguito chiesi a Chiara la cortesia di sfilare al posto di una ragazza, ma si oppose, dicendo che era portata solo come fotomodella e che non era una "mannequin", che non sapeva sfilare. Ma la convinsi, facendole capire la situazione nella quale eravamo.
Salì così in passerella. Era ansiosa, ma seppe nascondere bene il suo stato d'animo e lo fece con un sorriso elegante.
Sfilò benissimo ma, arrivata quasi al termine della pista, sopraggiunse mio fratello piccolo da dietro le quinte a tirarle delle palline colorate che Chiara, colta d'improvviso, non vide e cadde. Conclusione? La sfilata era ufficialmente terminata con un voto: "disastro in assoluto". Voto peggiore non esisteva.
I giornalisti attaccarono l'evento come tra i peggiori a cui avevano assistito nel corso dell'anno al punto da farmi sentire ancor peggio.
Mario si dirisse verso di noi, facendo allontanare i giornalisti. Ci portò al suo studio e disse: "Ragazzi, sono molto dispiaciuto. Deluso. Non mi aspettavo tale risultato proprio da voi … da tutti, ma non da voi. Siete una squadra perfetta, non so cosa vi sia successo!" esclamò.
Non rispondemmo. Avevamo le teste abbassate. Non avevamo altro da aggiungere.
Nello studio, c'era anche Eugenio che cercò di allegerire la situazione: "Dai papà, non diamo subito la colpa a loro. Qua c'è qualcosa sotto. Perché ho visto il loro lavoro nei giorni scorsi e proseguiva alla grande. Un qualcosa deve pur esser successo se il risultato non è stato quello che ci si aspettava!".
"Infatti Eugenio, non sto dicendo che la colpa è la loro. Ma … chi l'avrebbe fatta una cosa del genere? E' così stupido e immaturo quel che è accaduto!" esclamò.
Avrei voluto dirgli che in parte la colpa era stata di sua sorella, ma non risposi nel timore di non esser creduta. Dopotutto, chi ero io? Solo un'estranea che avrebbe incolpato una persona che apparteneva alla sua famiglia.
"Qualcuno che ci odia, ovvio!" esclamò Gianpiero per poi aggiungere: "O meglio ... parecchi o qualcuno in particolare." commentò, infine, gettando uno sguardo truce verso il portafoto appoggiato alla scrivania di Mario che era stato fotografato con sua sorella Veronica.
Diedi una gomitata a Gianpiero per fargli capire di farla finita.
"Va bene, ragazzi. Oggi è andata così. Tenetevi pronti domani mattina. I giornalisti saranno in agguato per offendervi!" disse alzandosi dalla poltrona ed accompagnandoci alla porta.
"Scusa, Mario … ho rovinato tutto." dissi rincresciuta e con lo sguardo ancora basso.
"Elena, ti dico solo questo: sei una delle migliori. E so certamente che è opera di qualcuno. Non ti demoralizzare. Anch'io ho avuto degli sgambetti in passato … e anche peggiori" sorrise ed aggiunse: "Vedrai che tu ed i tuoi amici arriverete lontano. Non arrenderti per colpa degli altri, poiché è questo che alcuni di loro vorrebbero!" terminò, accarezzandomi il capo.
Sospirai: "Okay … lo farò!" e ritornai con lo sguardo verso il basso. Quelle parole mi fecero tranquillizzare, prendere un po' di coraggio, ma non troppo. Stavo troppo a pezzi.
Eugenio ci accompagnò a casa.
Ero seduta affianco a lui e, una volta arrivati, prima di scendere dall'auto mi afferrò il polso e disse: "Ehi! Lo so che è stata mia zia Veronica. Ti dico solo questo: non fare che per colpa delle sue cattiverie, tu chiuda con i tuoi sogni nel cassetto! Nel tempo, ci sarà sempre qualcuno che vorrà il male dei tuoi sogni, ma questo non capita solo a te, ma a tutte le persone che sognano. Pensa che anche con me l'ha fatto e lo fa ancora!" rise, facendomi sorridere a mia volta.
"Grazie Eugenio … sei un amico" risposi riconoscente per quelle sue parole.
Salendo in casa mi sentivo più serena. Era un amico. Già, ma quella parola stordiva. Per lui ero un'amica e per me un amico, ma dentro me … era qualcosa di più. Un traguardo impossibile da raggiungere. Mi sentivo come una ranocchia, mentre lui era il Principe. E, guarda caso, solo nelle favole accade che s'innamorano.
La giornata che seguì fu terribile. I giornalisti si scatenarono sulle riviste di gossip e moda, mi avevano soprannominata "La stilista imbranata".
Ormai anche camminare per la strada significava camminare sui carboni ardenti a piedi nudi. La gente rideva di sottecchi, mi prendeva in giro, diceva di tutto. E non certo per la sfilata, piuttosto per il mio aspetto! Dopotutto, una persona "trasandata" come me come avrebbe potuto occuparsi di "moda"?
E parlando di aspetto, si avvicinò il giorno di Halloween. Non ebbi bisogno di travestirmi. Ero già un mostro di natura. Infatti, tanto gentili e premurosi, alcuni dei miei colleghi, avevano attaccato al muro del mio studio un foglio con scritto "Buon Compleanno! Speriamo tu lo possa passare "da paura" ... da parte dei tuoi cari e bellissimi colleghi, un bacio!".
Lo staccai dal muro strappandolo in mille pezzi e, socchiudendo la porta dello studio, iniziai a piangere.
Eugenio vide tutto: "Ehi" sussurrò entrando senza bussare: "Lascia stare ...".
"Ti prego … voglio stare da sola … non ce la faccio più!" dissi singhiozzando tra le lacrime, quando sentii un forte calore che mi avvolgeva attorno. Erano le sue braccia, mentre le sue mani accarezzavano i miei capelli. La sua camicia si bagnò con le mie lacrime come se fosse stato un fazzoletto.
Quella sera stessa, c'era una festa. Ma non volli partecipare. Quindi, restai a casa a festeggiare da sola.
Chiara e Gianpiero andarono alla festa, perché li costrinsi, ma ritornarono a casa dopo un'oretta, dicendo che non si stavano affatto divertendo, perché mancavo io … la matta del gruppo.
Meno male che avevamo tre giorni di ferie! E quei tre giorni, li passai sempre a casa.
Ma trascorsero troppo velocemente.
Non avevo voglia di andare a lavoro e, infatti, escogitai un piano. Feci finta di avere già un po' di mal di gola e tosse la sera prima di rientrare a lavoro. Poi, andando all'agenzia, avrei finto che il mio stato di salute fosse peggiorato, con un raffreddore e dei brividi. Quindi influenza!
Vedendomi in quel "finto stato" mi consigliarono di tornare a casa e presi una settimana in malattia. Recitai tanto bene che ci credettero anche i miei amici. Non ero contenta di ingannarli, perché non lo meritavano a causa di un capriccio.
Però, avrei lavorato lo stesso a casa. Disegnavo i modelli, mentre Chiara li avrebbe portati nello studio di Mario a mostrarli poi cuciti e Gianpiero avrebbe fatto da fotografo alle modelle dei miei abiti.
Tutto sommato, il lavoro lo svolgevo, anche se da casa.
Ma, come sempre, anche quella settimana passò e chiesi altri tre giorni cautelativi per il timore di una "finta" ricaduta.
In seguito, organizzai anche un altro piano: far finta di essere caduta dalle scale ed essermi fatta male ad un ginocchio e ai piedi.
Quel piano riuscì alla perfezione. Un medico al quale chiesi la cortesia di aiutarmi, mi fasciò un piede ed un ginocchio. Gli diedi dei soldi, perché solo privatamente sarei riuscita a trovare qualcuno che assecondasse le mie richieste.
Quindi … finchè non fossi guarita del tutto, la gente sapeva che non sarei potuta tornare al lavoro in agenzia.
Chiara e Gianpiero, però, a quel punto, non si fecero sfuggire la bugia dalle mani. Capirono.
Fecero tutto di nascosto per scoprire il mio piano. Quando avevano detto che sarebbero scesi, in realtà si erano nascosti per spiarmi ed io, scema, a casa mi comportai come se nulla fosse, spostandomi in cucina come la persona sanissima che ero.
"Ti abbiamo beccata!" esclamarono quasi in coro, incrociando le braccia.
Li guardai sorpresa e balbettai con una finta risata: "Eh … ragazzi, cercate di capirmi, io … " ma non avevo parole per giustificarmi.
Allora raccontai tutta la verità. Mi compresero ma, allo stesso tempo, mi fecero capire che non avrei potuto continuare in quel modo.
"Come ti farai una famiglia?" mi chiese Chiara.
"Perchè sei tanto sicura che mi faccia una famiglia?" le risposi.
"Perché? Non ne vuoi una?" mi chiese Gianpiero.
"Certo che ne voglio una, ma … siete tanto sicuri che riuscirò a trovare l'uomo della mia vita? Che mi amerà? Che non dovrò accontentarmi del primo che mi capita, solo perché nessuno mi vuole!" esclamai sbuffando e proseguii: "Pensa che pure i vecchi mi evitano!" terminai.
"Non dire sciocchezze. Lo troverai. Mettiti con Eugenio!" disse Chiara ridacchiando con Gianpiero.
"Ha ha … spiritosi!" ribattei con una smorfia: "Proprio lui poi … l'impossibile avete nominato!".
"Tesoro, niente è impossibile se lo si vuole per davvero!" mi disse Gianpiero.
Ma che cavolo capivano? Loro erano belli, mentre io …
Chiesi loro la cortesia di farmi restare un altro paio di giorni a casa. Sarei uscita di sicuro, ma in quel momento, ancora non me la sentivo.
Acconsentirono, a patto che si sarebbe trattato solo di un altro paio di giorni.
E in quei giorni venne a trovarmi a casa Eugenio. Che sorpresa! Restava anche interi pomeriggi a casa a lavorare al mio fianco.
Ma, alla fine, gli usciva sempre la solita frase: "Sei davvero un'amica". Non sopportavo che lo dicesse. Avrei preferito mille volte che mi avesse chiamata "Brutta!" piuttosto che "Amica"!
Una sera poi venne a trovarmi a casa Mario: "Ehi, Elena come va ora?" mi chiese.
"Bene, grazie. E a te con l'agenzia?" risposi per passare anche ad un altro argomento.
"Bene, anche se ci manchi".
Staccai lo sguardo: "Sì … alcuni però ...".
"Elena, sai che scappare dalle paure e dal giudizio della gente, non serve a niente? E tanto meno restare chiusi in casa facendo il colore alle quattro mura che ti circondano?". Non risposi.
"Ieri l'influenza. Oggi la rottura. Domani chi lo sa. Credi che il mondo possa cambiare in senso positivo o, tanto meno, la gente? Aspetti questo? Mi dispiace, allora, perché stai aspettando inutilmente. Stai aspettando l'impossibile. Devi reagire! Non puoi chiuderti in casa per colpa dei giudizi altrui, perché quelli ci saranno sempre. Anche se fossi stata la persona che avresti sognato di essere, avresti ricevuto critiche e giudizi, fidati!" terminò.
"Invece no!" sbottai, stufa, io.
"E invece sì!" mi rispose subito lui: "Devi imparare a combattere. Devi formarti uno scudo protettivo. E il tuo scudo protettivo non si forma restando chiusi in casa! Ti diranno di cambiare? Tu fai modifiche. Ti diranno di arrenderti? Tu combatti ancora di più. Ti diranno che sei inutile? Fatti rendere utile con onestà. Ti diranno che i sogni non esistono? Dimostra che i sogni si realizzano. Ti diranno che è impossibile? Dimostra che l'impossibile è solo l'aggiunta dell'im da persone del passato, le stesse che sono state negative con sé stesse e con gli altri".
I miei pensieri, le mie paure, tutto svanì in quel momento, ma non perché fosse passato con la bacchetta magica, ma perché quelle parole mi avevano portato ad una confusione mentale.
Non sapevo dare alcuna risposta. Come se non sapessi parlare la sua stessa Lingua. Non riuscii a trovare le parole giuste per rispondere. Proprio perché non conoscevo neanche una parola di quella Lingua. Eppure era la stessa della mia.
"Come fai a sapere che … era tutta una finzione? Come fai a sapere sempre tutto? E a trovare le parole giuste, per dare forza?" gli chiesi.
"Elena … "sospirò per poi aggiungere: "Non è difficile comprendere le persone. Basta guardarle negli occhi. Basta capire il loro comportamento. Non c'è bisogno di conoscere una persona per tanti anni per capire il suo comportamento. Basta anche un attimo. E poi le parole giuste non esistono. Ogni parola è quella giusta se è detta col cuore in mano".
"E le parole cattive?" gli chiesi allora: "Quelle rovinano la mente degli esseri umani. Fa più male una parola di un gesto, anche di uno schiaffo o di qualsiasi atto di violenza carnale. E lo sai perché? Perché hanno toccato esteriormente ed è facile sconfiggere la paura. Ma quando ti colpisce interiormente, soprattutto il cervello, dopo diventi incurabile. E dopo? Si diventa pazzi e per colpa di chi? Delle parole cattive!" continuai: "Perchè è più facile pensare al male che al bene? Perché il male riesce a penetrare con facilità, mentre il bene no? Perché non potrebbe essere il contrario?".
Lui fece un cenno con la testa e poi mezzo sorriso: "Elena … allora, perché lasciate che vinca il male se volete il bene? Perché il male è più forte del bene? No … non è così. Perché vi lasciate influenzare, ecco! Se siete più svegli, state certi, che nessun male, potrebbe riuscire a farvi cambiare idea. Nessun male farà di voi il male. Perché se avete l'amore, il bene, già sarà un arma potente, uno scudo potente, per sconfiggere il male. E poi c'è anche un'altra arma, piccola, ma potente."
"E qual è?".
"Il sorriso! Qualsiasi sorriso … non importa se bello o brutto, con i denti storti o dritti, non ha alcuna importanza. Quel che conta è sorridere".
Non parlai. Ma che cosa stava succedendo? Mai nessuno mi aveva detto parole del genere. Nemmeno i miei genitori. Quelle parole mi avevano stravolta.
Guardò l'orologio sul polso e disse: "Va bene, Elena. Io vado. Mi raccomando, torna presto in Agenzia. Prima torni e meglio è!" disse avvicinandomi e dando un bacio sulla fronte.
Quando Mario se ne andò, i miei amici entrarono in camera, dicendo che avevano ascoltato tutto e anche loro avevano la testa stravolta. Mario aveva detto cose molto saggie.
Non dormii tutta la notte. Sentivo ancora le parole di Mario. Ma una risposta a come dovevo combattere contro le persone e le parole cattive ancora non l'avevo trovata. Come potevo combattere senza far del male? Ad ogni combattimento, c'è sempre una ferita. Ed io, non volevo lasciare né male e né ferita. Preferivo farmi male io, piuttosto che ferire gli altri, anche se loro, lo facevano senza scrupoli.
Passarono due giorni, quando Chiara mi svegliò dicendo:"Sveglia dormigliona. Oggi ho preso un giorno libero. E questo giorno libero sarà pieno d'impegni divertenti per noi".
"Quali sarebbero?" chiesi assonnata, mentre mi nascondevo sotto la coperta e il cuscino.
"Per prima cosa" tolse il cuscino: "Sveglia! E seconda ..." togliendo la coperta: "Vestiti e fai presto!" e andò in cucina a preparare la colazione.
Uscimmo di casa e le chiesi dove mi volesse portare.
"E' giunta l'ora finalmente, no?" disse sorridente.
"E' giunta l'ora per cosa?" le chiesi, ma non rispose.
Mi portò dal dentista. Aveva prenotato una visita un paio di giorni prima per farmi togliere l'apparecchio. Infatti, che lo ricordassi o meno, era giunta l'ora di toglierlo!
Dopo un'oretta e mezza, Chiara mi disse, prendendomi sotto il braccio: "Ora … in farmacia a prendere le lenti a contatto!". E fuori anche gli occhiali!
Già mi sentivo un'altra persona … ma in senso positivo.
"E ora?" le chiesi.
"Parrucchiere, tesoro! Un bel taglio scalato ... e sarai una favola!" esclamò sempre sorridente.
Uscite dal parrucchiere, andammo a mangiare in un pub e … che cosa avrei dovuto fare d'altro? Ah … sì, shopping per rinnovare l'armadio!
Trascorsi una bellissima giornata con Chiara. Diversa dalle altre e soprattutto, diversa anche esteriormente.
Quindi il giorno seguente avrei fatto ritorno all'agenzia, e che ritorno!
Indossai un vestitino non troppo corto. Nero, semplice, a maniche lunghe e un po' scollato. Decoltè e tacco 7 centimetri. Capelli sciolti. Trucco semplice e nuova borsa.
Sembravo un'altra persona, irriconoscibile per gli altri. Infatti, quando diedi il buongiorno a tutti, la segretaria, mi trattò come se fossi una ragazza che cercava lavoro: "Buongiorno. Ha per caso appuntamento con Mario Bronzi?" mi chiese.
Risi: "Stefania non mi hai riconosciuta?" le risposi.
Lei alzò lo sguardo e mi guardò perplessa: "Oh mio Dio. ELENA?" disse, alzando la voce.
"Esatto!" risposi con un sorriso timido.
Tutti si alzarono per potermi guardare.
"Che è successo?" sentii la voce di Mario sempre più vicina.
Mi voltai verso lui che disse: "Oh mio Dio … Elena?".
"Sì" sorrisi.
"Complimenti, sei bellissima!" esclamò compiaciuto.
"Grazie ai tuoi consigli. Sai … se ti dicono di cambiare, tu modifichi. In realtà, mi sento la persona di sempre e non voglio cambiare, solo modificare, ma in meglio!".
"Brava, Elena. Benvenuta di nuovo fra noi!" sorrise e mi abbracciò proseguendo: "Dai, che ci fate tutti qui? A lavoro, su!" incitò Mario rivolgendosi ai colleghi.
Eugenio si avvicinò a me, facendomi battere forte il cuore: "Wow … Elena … spero solo che tu non sia diventata antipatica!" esclamò sorridendo.
"In che senso? Perché?" chiesi.
"Perché la maggior parte delle belle ragazze e di quelle che si trasformano in meglio diventano egoiste ed antipatiche" rispose.
Sorrisi e sussurrai: "Shhh … sono solo modifiche queste. Ma dentro, c'è sempre Elena, la vecchia Elena che non cambierà mai".
"Ah … meglio così, altrimenti mi avresti fatto preoccupare!" rise ancora.
Trascorsero giorni più sereni. Non c'erano più prese in giro e men che meno Veronica nei dintorni.
Inoltre, una mattina, Eugenio mi chiese se per la sera sarei stata impegnata, poiché mi voleva portare a cena fuori. Accettai con piacere.
Quando tornai a casa, raccontai tutto a Chiara e ci mettemmo a saltare come due bambine sul lettone.
Con Eugenio ci frequentammo per un paio di giorni, uscendo con i suoi e i miei amici. Fino a quando, una sera di inizio Dicembre, con l'aria natalizia nell'atmosfera, andammo a pattinare sul ghiaccio. Tra una caduta e l'altra, una spinta e una risata, arrivò un bacio inatteso.

Quella sera ci fidanzammo. E lo scoop arrivò presto anche alle redazioni di tutte le riviste di moda.
I titoli pubblicati dicevano che non ero più:"La stilista imbranata" o "Il brutto anatroccolo", ma decantavano: "Il brutto anatroccolo si è trasformato in un bellissimo cigno" o "La bellissima fata stilista".
La gente cominciò a chiedermi autografi e foto. Mi guardavano tutti ammirati. Tutto era cambiato.
Che strano. Eppure, non mi sentivo cambiata. Ero sempre la stessa Elena. Ero cambiata esteriormente solo per la gente.
Non voglio dire che dobbiamo essere belli per essere accettati, ma credo che la bellezza stia in ognuno di noi e a volte la nascondiamo facilmente con una "brutta maschera". Se proviamo a toglier via la maschera, ci si ritroverà cambiati esteriormente, ma non interiormente, soprattutto quando si ha già un buon carattere.
In conclusione: ti diranno che è impossibile? Dimostra che l'impossibile è solo l'aggiunta dell'im da persone del passato che sono state sempre negative con sé stesse e con gli altri. Se hai un sogno … allora, è già una realtà!

 
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