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Narrativa

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi in prosa inediti, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
Elogio al portafogli di Giuseppe Costantino Budetta, L'uovo di Natalia Radice, La spia di Lorenzo Spurio, Ho insegnato che lontano, al di là di quei monti, c'è Firenze di Anna Maria Volpini

Poesia italiana

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi poetici inediti, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
poesie di Massimo Acciai, Luca Baratta, Giuseppe Costantino Budetta, Giovanna Casapollo, Genoveva Dinu, Dulcinea, Alessandra Ferrari, Emanuela Ferrari, Maria Lenti, Iuri Lombardi, Francesca Lombardo Di Rosa, Roberto Mosi, Gilbert Paraschiva, Pavlina Pavlova, Paolo Ragni

Recensioni

In questo numero:
- " Mai andare a Sighet" di LMS e CVX
- "Sempre ad Est" di Massimo Acciai, recensione di Lorenzo Spurio
- "Le stanze del cielo" di Paolo Ruffilli, nota di Enrico Pietrangeli
- "Luna di Lenni" di Berardi Emanuele
- "Antidoti umani"di Francesco Verso
- "Il diario di Ombrallegra" di Dimitry Rufolo, nota di Massimo Acciai

Articoli

La poesia itinerante va in bicicletta tra storia e wi-fi con diario multimediale
di Enrico Pietrangeli
Argo: una rivista di esploratori del testo transgender
di Alessandro Rizzo
In occasione del compleanno del nostro Paese
di Misha
Napoli piange la morte di Gino Maringola, ultimo grande rappresentante di una grande scuola di teatro
di Alessandro Pellino

Letteratura per la Storia

Corride e letteratura - Llanto por Ignacio Sanchéz Mejias
di Lorenzo Spurio

Interviste

Intervista a Iuri Lombardi
A cura di Massimo Acciai
Quando poesia e filosofia intercorrono: Italo Testa
A cura di Alessandro Rizzo

Quando poesia e filosofia intercorrono:
Italo Testa
 

A cura di Alessandro Rizzo


Italo Testa è poeta, saggista e traduttore. Ha pubblicato la sillogeLuce d'ailanto (in Decimo quaderno di poesia italiana, Marcos y Marcos, 2010), l'e-book Non ero io (gammm.org, 2010), il conceptcanti ostili (Lietocolle, 2007), la raccolta Biometrie (Manni, 2005) e il poemetto Gli aspri inganni (Lietocolle, 2004). Sue poesie sono state tradotte in inglese, spagnolo e tedesco. Autore di saggi sul pensiero contemporaneo, è co-direttore della rivista di poesia, arti e scritture "L'Ulisse".
Lo abbiamo intervistato. Presentiamo anche alcuni suoi testi tratti dal suo ultimo volume di versi: La divisione della gioia, Massa,Transeuropa Edizioni, 2010.

1. Perchè la "Divisione della Gioia", che rimanda alla liricità dei Joy Division, e quale significato attribuire a quel termine, divisione: condivisione, suddivisione, divisione fisica, lacerazione interiore?
Il titolo del libro funzioni un po' come quelle figure, di cui parla Wittgenstein nelle Ricerche, che a seconda della nostra configurazione percettiva possiamo vedere alternativamente come anatra o lepre. Qualcosa di intimamente polivoco, anche nel suo sviluppo interno, dove appunto momenti di lacerazione e condivisione si susseguono senza soluzione di continuità. Anche la presenza dei Joy Division è, per così dire, a scomparsa: se non si è sensibili a questa Gestalt, il libro può essere letto del tutto indipendentemente dal mood e dalla storia della band di Manchester. Ma chi è stato segnato dal suggello di Ian Curtis, credo che da subito inizi a sentirne l'eco profonda, come un'atmosfera che impregna tutti i momenti del testo.

2. A quale genere ascriveresti la tua raccolta, a quale stile, scuola ti rifai, se possiamo definirla tale, se c'è?
Non penso si tratti di una raccolta ascrivibile a un genere definito di poesia. Per questo, credo, anche nella quarta di copertina la domanda viene lasciata aperta: dialogo teatrale o romanzo in versi? Ma si potrebbe continuare: aria o poema a quadri? E così via. Nessuna di queste categorie penso possa definire precisamente l'appartenenza di questo long poem. C'e la presenza di un noi a volte corale, e a volte duale, ma senza un preciso setting teatrale. C'è un cantabile, su cui intervengono però forti sprezzature, fin quando la vocalità è cristalizzata nel mutismo del figurale. Emerge una linea narrativa, senza che però questa prenda la forma di un romanzo nel senso classico della definizione dei personaggi con continuità biografica. Vi sono più io, ma sono funzioni mobili - prive dell'unicità irripetibile del soggetto lirico - che varianno e si spostano, e sono spesso riassorbite dallo sfondo corale.

3. Si definisce la tua opera cinetica, ossia scritta come se fotografasse il passaggio continuo e incessante di panorami e paesaggi. A questo stile sei già abituato, avendo tu pubblicato scritti e opere sul tema del correre, del viaggiare incessante. Che cosa maggiormente rappresenti con questo?
Nella Divisione la macchina da presa non è fissa, ma in movimento, spesso portata a mano. L'elemento cinetico delle inquadrature non è solo un effetto di montaggio, perché il testo è stato scritto letteralmente in itinere: camminando, in autobus, in treno, in macchina. Questo perché per scrivere ho bisogno di non avere una stanza tutta per me. Devo stare in mezzo alle cose, esposto ai luoghi e alle voci, devo vedere quello che gli altri vedono: in moto, il mondo non è un insieme fisso di dati, ma una successione di tratti, di scorci, e noi tra questi.

4. C'è molto eros, sessualità più che sensualità nelle tue poesie: cosa vuoi trasmettere attraverso questa componente?
Non c'è un messaggio da trasmettere in poesia. Se nel libro c'è molta sessualità, questo non è perché io voglia attribuirvi un significato particolare. Come se quel che diciamo in poesia si giustificasse solo in quanto ha un significato speciale, o in quanto simbolo di qualcos'altro. Qualcosa del genere succede proprio nella poesia erotica, dove la selezione esclusiva di un tema finisce in fondo per trasfigurarlo, per farne qualcosa d'altro. Ribalterei invece la domanda. Mi stupirebbe molto che la sessualità, che è un aspetto della vita di tutti, non ci fosse.

5. Perché hai scelto ambientazioni post industriali che rieccheggiano le scenografie di un Antonioni? Quale messaggio deriva dall'ambientazione?
Se apriamo bene gli occhi, credo non sia difficile percepire che noi viviamo in un'epoca post-industriale. Il nostro paesaggio, sia quello urbano, sia quello rurale, è letteralmente plasmato da questo fatto. E' un paesaggio di residui, che si aprono magari in mezzo alla città, di incolti, zone indecise, che sempre più si manifestano non tanto come tracce del passato, ma come premonizioni del futuro, come relitti di ciò che deve ancora venire. Artisti come Antonioni, o Robert Smithson, hanno colto con lucidità visionaria questo snodo. Quanto a me, queste ambientazioni sono quelle in cui mi son ritrovato a vivere e a lavorare, attraversandole quotidianamente per anni.

6. Sei filosofo e poeta: che cosa si esprime nell'opera delle due formazioni, quanto di filosofo e quanto di poesia e liricità si trova nell'opera?
Tutto sommato non lo so. C'è un momento di cecità a se stessi che credo sia necessario per potersi esprimere. L'opacità è una condizione dell'espressione, e nessun tentativo di scioglierla riflessivamente andrà mai a segno. Questo non significa che non possa essere utile, illuminante o quant'altro. Solo che è un'altra cosa, una pratica diversa. Per certi versi viene il sospetto che sia un tentativo di depistaggio. - come del resto si potrebbe sostenere anche a proposito di ogni ricostruzione ex post: anche di tutto quello che ho detto sino ad ora. Qualcosa del genere si lascia dire circa il rapporto tra filosofia e poesia.

7. Hai altre opere in programma, sempre dello stesso stile, con la stessa impostazione, oppure un genere diverso?
Sto lavorando ad alcuni testi nuovi per molti aspetti differenti dalla Divisione. Si tratta di sequenze, serie, sfrangiamenti di voci, in genere di forme lunghe. Peraltro in poesia c'è per me una sorta di coesistenza tra piani differenti, e tutto, ovunque, torna, anche se differente.


da: Cantieri (sezione I)


romea, mattina


qui ho appreso la luce sciolta sugli scafi al mattino
il bordo incandescente e l'anima buia dei rami,
qui ho imparato a dissipare gli occhi, la bocca, il fiato,
a calarmi all'alba dentro a un vestito di brina,
qui ho vegliato sui fossi le canne inanimate nel bianco
la frontalità ignara di pioppi eretti come ceri,
qui ho imparato a distinguere nel manto uniforme del giorno
l'intonaco di case insaponate nella nebbia,
qui ho perduto nell'acqua il tuo pegno raschiato dal cuore
e in un pomeriggio ignaro ho confuso i corpi e i volti,
qui ho consumato gli occhi sul volto lucente del mondo,
qui sull'argine alto mi sono inumato nel freddo.

*

Da: La divisione della gioia (sezione II)

Un luogo qualunque

…o nella luce artificiale
di un neon credere che la notte
non sia notte, il verde non scintilli
immune da ogni nostro sguardo,
le merci esposte nel silenzio
di una vetrina siano lo sfondo
del nostro tranquillo sovrastare,
del dominio saldo della specie:
e quando nelle insegne luminose
che ritmano i grani dell'asfalto
hai visto il segno certo, il richiamo
ribattuto da ogni nostro passo,
o in una vetrina, controluce
hai scorto sul ripiano le pose,
le ossa spigolose del suo corpo
segnarti senza più un riparo,
come il giorno che stesa sul letto
ti sei girata, tranquilla, e hai visto
le grate che spartivano il vetro,
e alzandoti di scatto hai detto
che non sarebbe successo niente,
che tutto era ancora intatto
e mentre ti guardavo in silenzio
sei sparita nell'angolo cieco:
allora ho visto che nulla torna,
che la fragilità ci insidia
dall'interno, dentro le giunture,
s'insinua nelle vene, riveste
la piega opaca dei discorsi,
allora, chiamandoti in disparte
a fianco del letto avrei atteso,
la pelle a toccare il marmo freddo,
che tutto fosse tornato a posto,
il braccio nascosto tra le gambe,
la luce sulle mie cosce nude,
la mano a coprirti il pube"

 
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