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Narrativa

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi in prosa inediti, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
Funerale nei Quartieri Spagnoli di Napoli di Giuseppe C. Budetta, Il grande drago giallo di Alessio De Luca, Max e Louis di Gianfranco Meneghini, Texel tre di Gianfranco Menghini

Poesia italiana

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi poetici inediti, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
poesie di Massimo Acciai, Andrea Cantucci, Iuri Lombardi, Lorenzo Spurio, Giovanni Trani

Poesia in lingua

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi poetici inediti, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
poesie di Lucia Dragotescu, Manuela Léa Orita

Recensioni

In questo numero:
- "Sempre ad est" di Massimo Acciai, recensione di Liliana Ugolini
- "Un fiorentino a Sappada" di Massimo Acciai, nota di Sandra Carresi
- "La metafora del giardino in letteratura" di Lorenzo Spurio e Massimo Acciai, recensione di Anna Maria Balzano
- "Flyte & Tallis: Ritorno a Brideshead ed Espiazione, una analisi ravvicinata di due grandi romanzi della letteratura inglese" di Lorenzo Spurio, recensione di Emanuela Ferrari
- "Mitologie domestiche dell'anima" di Antonio Messina
- "Il punto estremo" di Paolo Pajer, nota di Massimo Acciai
- "La riva in mezzo al mare" di Monica Fantaci, nota di Massimo Acciai
- "Antimateria" di Andrea Blu
- "Le voci della memoria" di Anna Scarpetta
- "Poesie tra le orchidee" di Massimo Grilli"
- "La vita nell'osmosi del tempo" di Lenio Vallati
- "Graffio d'Alba" di Lenio Vallati
- "Poeti contemporanei e non. Antologia di poesia civile" di AAVV, Recensione di Lorenzo Spurio
- "La luce oltre le crepe" di AAVV, Recensione di Lorenzo Spurio
- "Un passaggio verso le emozioni (2010-2012)" di Giorgia Catalano, Recensione di Lorenzo Spurio
- "Némesis" di Marzia Carocci, Recensione di Lorenzo Spurio
- "Gli invisibili" di Gianfranco Meneghini
- "Non ti avrò mai" di Claudio Secci, recensione di Lorenzo Spurio

Interviste

Iuri dei miracoli: intervista a Iuri Lombardi
a cura di Massimo Acciai

Texel
 

Gianfranco Menghini
 

Il generale Antonio Gader era stato invitato dalle alte sfere del governo a procrastinare la sua richiesta di collocamento a riposo e rimanere in servizio attivo. Texel, invece, no. Le sue, questa volta, erano dimissioni irrevocabili da incaricato part-time, giacché da tempo era in pensione. Quella lettera di Aonghas, che aveva svelato il mistero dell'uomo ucciso accanto al corpo senza vita di Marianna Roccherder, l'aveva scoraggiato. L'anziano commissario aveva svelato quel fatto, per lui vergognoso, solo al suo amico generale, ma con un fare talmente dimesso per lo smacco subìto, l'unico della sua lunga attività di investigatore, da indurre il suo superiore ad affermare che nessuno sarebbe stato in grado di capire, mancando qualsiasi riferimento, che un poliziotto ausiliario scozzese destinato a fargli da autista, avesse potuto essere l'autore di un omicidio del genere. Né era noto che la di lui figlia fosse stata vittima di un efferato stupro, salvo i due anziani contadini che l'avevano soccorsa, implorati però dalla stessa a mantenere quel fattaccio nel più stretto riserbo.
A stemperare la malinconica nostalgia dell'anziano commissario, fu l'arrivo della primavera, coincidente con l'addio definitivo al servizio per conto della Polizia Militare.
E' indubitabile che i tenui colori, lo spuntare delle gemme sugli alberi, l'allungamento delle giornate soleggiate, in specie quella in cui il calore del sole risveglia l'attività degli animali che abitano i fitti boschi delle colline, sia stato da sempre l'argomento preferito degli antichi scrittori e poeti. Ma al giorno d'oggi, non si dà il caso ripetere le stesse parole, poiché di nuove non ne sono state ancora inventate, usate fino al logoramento, per descrivere il mondo che ci contorna, quando le immagini fotografiche e i filmati lo rendono, ad esclusione della poesia più ispirata, molto più di certe definizioni ritenute a torto 'divine'? E' meglio lasciare alla fantasia del lettore l'immaginarsi a suo piacimento la situazione, i colori variegati dei fiori in boccio e il risveglio dal torpore invernale degli scoiattoli, dei ricci, dei topolini e di tutti i piccoli, graziosi e utili animali del bosco.
Giusto, proprio il bosco, la macchia folta e tutta la vegetazione che dalle falde del fiume Ponder si erano saldati con fitte e intricate radici dentro il suolo digradante fin sulla cima, maggiormente sviluppati e infoltiti a partire dalla residenza del commissario, prima di scollinare, in un bosco di pini silvestri, lecci, lentischi e corbezzoli. Texel da un po', trascurando a volte la pesca sul fiume, se il tempo non era particolarmente favorevole, aveva deciso diventasse la sua passeggiata postprandiale, attardandosi sulla cresta della collina dagli abeti incurvati che quando non era spazzata dal vento, offriva una vista magnifica delle lontane creste montagnose, intinte nel bianco candore della neve eterna delle Alpi svizzere.
E quel giorno di inizio primavera, quando in cielo rutilava un sole che sembrava che anch'esso si fosse appena svegliato tanto i suoi raggi arrivavano blandi e carezzevoli sulla pelle, l'anziano commissario si sedette su di un masso quarzifero squadrato dagli eventi atmosferici e si mise ad osservare compiaciuto il bel paesaggio sottostante. Non facendosi, però, sviare dalle magnificenze dei luoghi che ormai, data l'abitudine, guardava con una certa indifferenza. Il suo pensiero si mise a vagabondare nel passato più remoto, al tempo in cui riusciva a sbrogliare i casi giudiziari più intricati. Era semplicemente una rivalsa per la defaillance subìta sul recente caso dell'uccisione del giudice Merain e della scomparsa di Aonghas.
In quel periodo era da poco arrivato nella Capitale, orgoglioso e soddisfatto della promozione a ispettore a tre stelle, dopo una dura gavetta nelle province più remote e il passaggio a ruolo di investigatore principale a Payotte, l'allora paesone ora trasformatosi in una città di rango, essendo diventata la seconda in ordine di grandezza, dopo la Capitale della più mitteleuropea nazione di appartenenza.
Sua moglie ne era soddisfatta. Finalmente, dopo anni di sacrifici e di alloggi militari raffazzonati alla bell'e meglio per abbellire i quali non gli era venuta neppure la voglia di acquistare un mobile qualsiasi, tanto il loro girovagare da una cittadina all'altra non finiva mai, ecco profilarsi una sede stabile, grazie alle indubbie capacità del marito ma, anche, alla chiamata in servizio del suo antico compagno di studi, Antonio Gader che, arrivato al grado di generale a tre stelle, era stato nominato sottocapo di tutte le forze militari nazionali, polizia inclusa.
Texel non aveva ricusato quella preferenza, in considerazione del fatto che sapeva si sarebbe concretizzata di lì a poco, il suo avanzamento di grado male adattandosi in una cittadina sonnacchiosa come Payotte. E là, prima alloggiati in un appartamento dignitoso, sia pure arredato in maniera piuttosto spartana, messo a disposizione dall'amministrazione militare, era nata la loro unica figlia Elisa, che aveva assorbito tutta l'attenzione di sua moglie, cosicché Texel poté dedicarsi anima e corpo al suo lavoro. Molto più duro e impegnativo di quello svolto in provincia, poiché in una metropoli, anche se abitata da una popolazione rispettosa delle leggi, i marioli e gli assassini sono sempre presenti come il loglio e i papaveri lo sono nei campi di frumento.
Fu proprio nel periodo in cui con il denaro messo da parte in anni di saggi risparmi - senza peraltro rinunciare agli agi di una vita da funzionario di stato giustamente ben pagato - che Texel acquistò un bell'appartamento nel cuore della capitale. Si era trattato di un'occasione che non poteva perdere, poiché il proprietario, un ingegnere informatico con moglie e senza figli, si doveva trasferire a Seattle negli USA per occupare un posto di direttore nel reparto avionico della Boeing. Cosicché costui, non trovando un acquirente nel tempo desiderato per non perdere il nuovo impiego, aveva praticamente svenduto il suo appartamento a Texel. Il quale l'aveva acquistato con un mutuo fondiario a suo nome, dato che le leggi del Paese non prevedevano la comunione dei beni tra marito e moglie.
La coincidenza della nascita della bambina e, subito dopo, il trasferimento nel nuovo appartamento, con il conseguente impegno per il suo arredamento, occupò il corpo e la mente di sua moglie, al punto tale che non trovò per nulla strano che suo marito, impegnato a investigare su casi piuttosto complicati, alcuni giorni non rientrasse nemmeno a casa. Circostanza che con l'andar del tempo diventò cosa usuale che portò, diversi anni dopo, i felici coniugi ad un bivio: se continuare a convivere oppure, dato che lei non lo vedeva quasi mai, salvo il fine settimana - purché non ci fosse un caso importante da seguire - se ne sarebbe andata a vivere altrove. E Texel, da quel fine intenditore dell'animo umano, sapeva cosa voleva dire quell'altrove'. Se l'era immaginato, ma poi ne aveva avuto conferma, che 'altrove' altri non era che un uomo prestante, più giovane di lui, ricco assai - espressione cara al suo informatore siculo-immigrato che glielo aveva confermato - proprietario di un affermato mobilificio con al momento alcun concorrente del suo livello.



PRIMO - GLI HORNITER


Una coppia ben assortita, allietata da due figli in tenera età. La graziosa Eleonor di dodici anni e il simpatico André di sedici. Lui, il padre, Georges Horniter, uomo aitante, alto, bello, dal fisico asciutto. La sua maggiore attrattiva, sempre che ne avesse bisogno, sono due occhi grigio-azzurri e una testa fitta di capelli neri come l'ala della rondine. Di carattere volitivo, malgrado le donne lo occhieggino con malcelato interesse, è molto innamorato della moglie Josianne. Bella anch'essa, di carnagione molto chiara e delicata da non poterla esporre liberamente al sole, salvo con una protezione piuttosto alta. Ovviamente bionda con gli occhi di un celeste chiaro, quasi sfuggenti. Bellezza nel suo genere, non ha, come il marito, dei tratti regolari, poiché il suo naso camuso, segno di un carattere forte e labbra un po' troppo sottili, sebbene a ogni suo sorriso, ma anche semplicemente quando parla, scoprono una dentatura perfetta di un biancore abbagliante, ha la virtù rara di essere gentile e molto generosa. Una bellezza casalinga, quindi, per rendere meglio la figura di Josianne che non rivela, però, la sua grande ambizione. Infatti svolge la funzione di avvocato di una grande azienda multinazionale produttrice di apparecchi ad alta tecnologia, ivi compresi tutti i tipi di computer, installata da più di quindici anni nella zona industriale della Capitale, dopo che il gruppo multinazionale, di cui una finanziaria americana detiene la maggioranza delle azioni con il resto diviso tra Italia, Francia e Germania e, per regolamenti interni, una parte minima - tre per cento - alla nazione ospitante, ha dato solide garanzie al governo, che vi sarebbe rimasta per sempre, pena la perdita di tutte le sue proprietà e di una sanzione in euro piutto cospicua.
Oltre ad essere un brillante avvocato, Josianne Pembroter, è l'erede della colossale fortuna dei suoi genitori i quali, in coincidenza del settimo anniversario del nipote maschio André, avevano deciso di cedere tutte le loro quote azionarie della grande industria di accessori per macchine di lusso costruite in Germania, dopo avere collocato i loro dipendenti presso le stesse case automobilistiche. Non che sia ufficiale, ma si vocifera che la liquidazione si aggiri all'incirca sul miliardo di euro, depositata metà in banche del Paese e l'altra metà, dopo che l'intero capitale, depurato delle tasse dovute, è stato versato in una banca italiana, dato che le leggi dell'Europa Unita lo permettono. Al momento gli investimenti sui titoli dello Stato italiano sono quelli più remunerativi nell'Europa più industrializzata, maturando una migliore rendita, resa più interessante dalla sua bassa tassazione.
La famigliola, dato che si è ridotta a sole quattro persone, essendo i genitori di entrambi i coniugi scomparsi nell'arco tra l'undicesimo compleanno del primo figlio e il compimento del settimo della fanciulla. Deceduti pure i genitori di Georges Horniter per un grave incidente automobilistico, avvenuto in Italia durante una vacanza a Roma, causato da un automobilista rumeno semi-ubriaco, mentre quelli della moglie Josanne avevano seguito un iter un po' più lungo, tuttavia molto doloroso. Fulminato il padre da un male incurabile che se l'era portato via in tre mesi, la moglie affranta dalla perdita dell'amatissimo marito, con in più nel cuore l'atroce rimpianto della scomparsa dei consuoceri, non era sopravvissuta che sei mesi, poi se n'era andata anch'essa, malgrado l'affetto di figlia e nipotini, un giorno che discorreva con loro sul prato antistante la grande dimora Horniter. Una crisi cardiaca che non le aveva lasciato scampo. Neppure le cure immediate di un'unità sanitaria venutale prontamente in soccorso, erano riuscite a rianimarla. La signora era ormai deceduta con un sorriso sulle labbra. Forse lieta di avere rincontrato il suo amato sposo.
I genitori di Georges Horniter, contrariamente ai consuoceri, non erano ricchi, ma solo benestanti. Tuttavia in tutta la loro esistenza avevano risparmiato molto, giacché il padre, Guy si era ritirato in pensione da un impiego di direttore di divisione dell'importante dicastero degli esteri, con una liquidazione e un mensile di tutto rispetto cosicché, tra i risparmi accumulati in un'intensa vita di lavoro, il viatico di fine rapporto e il premio assicurativo del gravissimo incidente, Georges Horniter aveva anch'esso ereditato una cifra piuttosto ingente. All'incirca, l'equivalente di una quindicina di milioni di euro che, ovviamente, confrontati con l'enorme capitale intestato alla moglie, erano quisquilie. Sarebbe pleonastico affermare che ciò li avrebbe messi al riparo per tutta la vita, sia genitori che figli, compresi quelli che sarebbero venuti in seguito, dato che gli Horniter amavano i bambini e non si volevano fermare solo a due.
Malgrado le loro ricchezze, gli Horniter non hanno mai ambito di far parte di quell'ambiente esclusivo che si forma in ogni comunità, laddove la principale distinzione è, per l'appunto, la ricchezza. Giacché la cultura non è mai stata vista di buon occhio da quei consessi, il cui unico scopo, oltre al cicaleccio serale e notturno, è sempre stato la vanità la cui parte più ridondante, oltre all'esposizione per le signore di abiti griffati e di gioielli rutilanti, è la finanza sempre legata ai loro personali interessi. Per questa ragione e per una regola mai stabilita, gli Horniter sono ignorati da quasi tutta la crema della società, salvo dai soliti annusatori di peculio, i quali non di raro interpellano, alternativamente ora il marito e dopo la moglie, allo scopo di proporre loro affari strabilianti o, più semplicemente, richiedere un prestito con la promessa di un rimborso a breve termine arricchito di corposi interessi.
Texel era stato appena nominato ispettore a tre stelle, anticamera per la promozione a commissario di seconda classe e destinato al primo distretto della polizia militare della Capitale, non ancora alle dirette dipendenze del suo amico Antonio Gader, già da tempo promosso al grado di generale a tre stelle, con mansioni prettamente ispettive presso il Quartier Generale della Difesa situato nella città satellite, a una decina di chilometri dal centro dirigistico-amministrativo della città più importante della Nazione.
Il nuovo trasferimento aveva segnato per la famiglia Texel un periodo che se sarebbe esagerato definire di felicità, perlomeno lo era stato di enfasi affettiva tra il novello commissario e sua moglie, la quale attendeva da anni la promozione del marito ma, soprattutto, il loro definitivo trasferimento nella Capitale per immergersi in una vita sociale più brillante, dopo avere vissuto per lunghi anni in provincia. Sebbene l'ultima, breve destinazione fosse stata una bella cittadina, Payotte, che si stava trasformando e ingrandendo, in modo tale da diventare nel giro di poco tempo il secondo polo più importante dello Stato, grazie all'insediamento di parecchie industrie agro-alimentari comunitarie.



SECONDO - LA CAPITALE


Vita sociale… una parola! Nei primi tempi, in effetti, la signora Texel ebbe diverse occasioni di espletare la sua passione, giacché da quando suo marito aveva preso servizio attivo al ministero militare degli interni, furono d'obbligo le presentazioni con i suoi superiori, con graditi inviti a ricevimenti nelle rispettive residenze, un po' timidamente ricambiati nel modesto alloggio a loro riservato, ma tutto finì in meno di un mese. Poi la vita prese il suo tran-tran con solitarie cene in famiglia, dato che il futuro commissario rimaneva fino al pomeriggio inoltrato sul posto di lavoro, tutto preso a consolidare una carriera gravida di un futuro promettente.
Promettente, è vero… ma oneroso poiché, sebbene vivessero in un Paese i cui cittadini detenevano il primo posto nell'Europa Unita per essere i più rispettosi delle leggi e delle norme in vigore, una certa delinquenza vi si era attecchita e non mancava giorno in cui non avvenissero casi abbastanza eclatanti di truffe, ruberie e anche qualche efferato omicidio.
E, purtroppo, di una cosa del genere il commissariato di zona, da cui dipendeva Texel, si stava preoccupando dopo una telefonata anonima arrivata mezzora prima. Che aveva annunciato una notizia che a tutta prima non era stata presa nemmeno in considerazione, riguardante un componente della famiglia Horniter, che era stato rapito. Nessun'altra spiegazione. Il solito mitomane, aveva dichiarato il sergente Macromer, avendo riconosciuto la voce di un povero scemo, che ogni tanto faceva scherzi del genere, nonostante avesse subìto qualche seria reprimenda e una volta fosse stato pure messo in guardina per tre giorni.
Ma l'agente Stiller, che aveva registrato la telefonata, ligio al suo dovere di responsabile del centralino trasmissioni sia radio che telefoniche, ascoltato per ben tre volte il messaggio inciso su nastro, aveva attirato l'attenzione di Texel, che in quel momento passava dal suo posto di ascolto.
"Capo," disse titubante, "secondo me questa non è la voce di Berto, sa quello che fa sempre quelle stupidate al telefono. Dovrebbe essere…"
"Fammi un po' sentire…" chiese Texel, indossando la seconda cuffia. "Torna a capo e fai girare… vai!"
Anche lui riascoltò la registrazione, poi: "Bravo Stiller," disse esultante, "questa non è proprio la voce di quel cretino. E' di…" ma per quanto ci pensasse, non riuscì a dare un'immagine umana a quella specie di suoni, sembrando fossero quasi un birignao.
"Chiama il sergente Macromer," ordinò all'agente. "Forse lui si ricorda qualcosa… io ho appena un filo nella mente… eppure mi pare di averla già sentita questa voce."
"Ma, per quanto anche il sergente ascoltasse la registrazione, che in un primo tempo gli aveva dato la stessa impressione avuta da Texel, dovette scuotere la testa scoraggiato nell'affermare: "Non è la voce di nessuno, capo. Secondo me, è costruita."
"Vorresti dire che non è umana?"
"Certo che lo è, sennò non ci sarei cascato. Ma mi sembra che sia filtrata da una voce maschile molto forte ed una femminile tenue."
"Cosicché, guarda caso, assomiglia a quel vostro personaggio che…" fece Texel, con un sorrisino di autocompiacimento.
"Capo, ogni giorno riceviamo messaggi fasulli e il commissario ci ha ordinato di tagliar corto," rispose Macromer.
"In questo caso, però, la faccenda pare seria," fece Texel quasi soprappensiero, ma poi deciso: "Non avvisare il commissario per ora. Dobbiamo prima accertarci che ci sia sotto qualcosa di reale."
"E come?"
"Ma telefonando alla famiglia Horniter!" Poi, ripensandoci, sapendo quanto il sergente fosse diretto nelle sue domande, con le quali avrebbe di sicuro spaventato la signora se avesse risposto al telefono, decise di soprassedere.
"Va bene, sergente. Facciamo finta che la notizia sia falsa. La villa degli Horniter si trova non troppo lontana dalla mia abitazione, devo solo fare una deviazione. Farò loro una visitina con una scusa qualsiasi. Magari, entrando nel loro parco-giardino e parlando con i giardinieri, di sicuro mi diranno se in casa c'è qualcuno degli Horniter o la governante, con i quali scambierò senz'altro un saluto e in quell'occasione… afferrato? Se tutto è a posto, ti telefono. Ok?"
"OK, capo," risposero all'unisono sia l'agente che il sergente.
Texel imbarcatosi sulla sua macchinetta, non si diresse verso casa per mettere in atto il progetto concordato con i suoi sottoposti, ma andò difilato verso il collegio privato che i figli degli Horniter frequentavano sin dalle prime classi fino ad arrivare al baccalaureato.
Aveva un buon amico in quell'Istituto, il più esclusivo della città. Costui era un professore emerito di lingue inglese e tedesca e di sicuro, considerato che nei proponimenti della famiglia Horniter c'era l'intenzione di inviare il maschio a continuare gli studi dottorali a Zurigo e la figlia, che parlava l'inglese meglio del fratello, a Oxford, scelta fatta liberamente dai due, sicuramente conosceva i due ragazzi e poteva dirgli di primo acchito se per caso non avesse notato la defezione a lezione di uno dei due.
Non era facile nemmeno per un ispettore di polizia come Texel entrare nel magnifico complesso dell'Istituto di studi medi-superiori Antonin Reder. Vero è che ai settecenteschi capitelli del grande scalone semiellittico dell'ingresso principale, facevano bella mostra di sé due imponenti leoni di porfido rosso in grandezza naturale, con la bella criniera che incorniciava un muso dall'espressione per niente pacifica, seppure non intimidissero nessuno. Ma i veri e propri mastini, Texel li incontrò quando le fotoelettriche, inquadrandolo dappresso, fecero scorrere gli spessi cristalli fumés dell'immenso vestibolo. Non come i leoni di pietra, visto che il primo dei due uomini vestiti con un completo grigio scuro, gli venne incontro e con un sorriso stirato gli chiese a quale titolo si stava presentando in quel luogo. Al che il funzionario di polizia rispose con inusitata cortesia che avrebbe voluto conferire con il professor Marius Auliter, suo buon conoscente, per un breve incontro personale. L'uomo ebbe a dirgli che se non aveva un pass rilasciato dalla direzione il giorno prima, non poteva rimanere, per cui era gentilmente pregato di ritornare sui suoi passi. E quando Texel insistette che si trattava di cosa importante, si fece avanti il secondo addetto, anch'esso come il primo di proporzioni atletiche, tanto da sovrastare il poliziotto di una ventina di centimetri. Costui non disse nulla, ma lasciò che continuasse a parlare il suo collega, il quale si stava infervorando. Non ci voleva altro per far saltare la mosca al naso a Texel, il quale tirò fuori il tesserino con tanto di foto e di sigillo d'oro e, al contrario di costoro, non usò mezzi termini melliflui e tante tergiversazioni verbali, ma disse chiaramente con voce stentorea, tanto da incuriosire un insegnante che stava scendendo dai piani superiori: "Se continuate a fare melina, chiamo la pattuglia e vi faccio portare subito in Questura. Là, state sicuri, vi faranno abbassare la cresta!"
Chi ha detto che non esistono i miracoli?
Immediatamente, il primo energumeno di ritirò, mentre il secondo, non coinvolto nella polemica, sia pure educata, si fece in quattro per far chiamare il professor Marius Auliter e nello stesso tempo invitò Texel ad accomodarsi in un salottino a fianco della prima rampa di scale e, trasformatosi in un ardito, nemmeno avesse sbaragliato un gruppo di nemici, ebbe la spudoratezza di chiedere se il 'commissario' avesse gradito una bevanda qualsiasi. Si sarebbe premurato di prelevarla dal distributore automatico.
Texel, ovviamente, declinò l'invito. Aveva ben altre cose per la testa, lui!
Che gli si cancellarono immediatamente non appena gli si palesò il professor Auliter il quale, nemmeno si fosse aspettato una visita del genere, non fece alcun preambolo né aggrottò le sopracciglia per essere stato interrotto nel corso della lezione ma, come fosse cosa normale, strinse calorosamente la mano al funzionario di polizia, accompagnando il suo gesto da un come 'come sta, caro Texel?' che disorientò non poco il suo interlocutore, il quale si aspettava un incontro piuttosto freddino in considerazione dell'ambiente austero in cui si trovava.
Ben pochi furono i convenevoli, se non quelli di rito, cosicché Texel, come sua abitudine, andò subito al problema: "Mi scusi se glielo chiedo, ma il figlio del dottor Horniter è in classe?"
"No, caro ispettore. Ma come, non lo sa? Il ragazzo si trova attualmente in Svizzera. Me ne avevano informato tempo fa i suoi genitori, E' partito da più di due giorni," rispose con una certa nota di saccenteria. "Ma se mi permette chiederglielo, signor Texel, c'è qualcosa che non va?"
"Niente, niente… era solo un controllo. Un mio sottoposto mi aveva comunicato di una telefonata anonima. Sa, anche se ne arrivano abbastanza, quest'ultima riguardando una famiglia così in vista come gli Horniter, mi sono permesso, sa… mi scusi."
"Ma un vero piacere, caro Texel, vederla e poter conversare con lei"
"Ma si figuri," rispose a mo' di commiato Texel che, stretta la mano al professore e inviata un'occhiataccia ai due uomini-gorilla messi a difesa dell'edificio, scese di corsa la breve scalinata e andò a infilarsi nella sua vetturetta.
Nel riflettere sull'accaduto, mente guidava con la solita prudenza verso casa, la sua professionalità gli riaffiorò nella mente e incominciò ad analizzare la situazione, partendo però dalla coda.
'Ma chi è, in fin dei conti, questo professor Auliter?' ebbe a chiedersi. ' Sì, certo. Mi è stato presentato da qualche mese e abbiamo cenato insieme ad altri qualche volta ma, seppure abbia sempre scambiato con lui qualche opionione senza un senso preciso, lo conosco veramente, io? Amico rispettoso lo è senza dubbio, benché mi sia parso un po' altezzoso. Forse ha dei problemi suoi o è indispettito dall'improvvisa decisione della famiglia Horniter di inviare il suo migliore allievo a Zurigo senza avergliene parlato prima. Come poliziotto, a volte mi comporto proprio da stupido. Però, però… ma chi è veramente questo professore e perché non ho mai ceduto alla tentazione di scoprire la sua caratterialità, magari andando a curiosare negli archivi, se per caso il suo nome salti su da qualche parte?'
Quando fece il suo ingresso in casa, aveva già deciso che, non appena fosse ritornato presso il suo Distretto, avrebbe fatto fare le ricerche del caso. Il suo collega e amico Torner, ispettore come lui e in attesa di essere nominato commissario di secondo grado, ma destinato ad altra sede periferica, attualmente dirigeva il servizio informatico generale, dove via via venivano inserite tutte quelle informazioni di una certa importanza strategica e informativa, utili alla Polizia. Quindi, molte riguardavano persone che non avevano commesso alcun crimine né avevano avuto a che fare con la giustizia, ma che si erano fatte notare per fatti inconsueti, compreso anche quelli di merito. La lista serviva soprattutto ad evitare spiacevoli equivoci come di fermare o sospettare persone oneste ed era trattata con molta riservatezza, quindi inaccessibile ai non addetti.
Nella Nazione mitteleuropea in cui si svolgono i fatti, la stragrande maggioranza dei suoi abitanti rispettava le leggi e difficilmente commetteva crimini contro l'ordinamento giudiziario, che contava poche regole molto chiare. Sia avvocati che giudici, nell'espletamento del loro lavoro, non usavano tergiversazioni o bizantinismi, ma andavano tutti al cuore della questione, di conseguenza le sentenze venivano emesse con tempestività e il processo nelle sue due fasi principali, aveva una durata che non superava i diciotto mesi. Erano, infatti, previste gravi sanzioni per quegli avvocati che cercavano di allungare i tempi, come pure per i cancellieri che venivano sorpresi a nascondere le pratiche in fondo al mucchio. La carriera dei giudici si basava sulla sollecitudine con cui trattavano le vertenze, pur senza trascurare il sacro dovere di rispettare i diritti del cittadino, fosse esso compevole o semplice sospettato.
Tuttavia il cancro del crimine non era stato estirpato completamente e coloro che lo praticavano agivano quasi indisturbati per cui, per contrappasso, esisteva una polizia militarizzata che non andava troppo per il sottile nel combatterli, facendo pagare loro il fio di tanta colpa, non solo imprigionandoli ma, seppure se ne lamentassero i parenti più diretti, spogliandoli dei loro beni, pur assicurando alla famiglia 'incolpevole' un'esistenza dignitosa.
Ecco, quindi, svelata la ragione per la quale, oltre al casellario giudiziario vero e proprio, esisteva un elenco di persone che per un atto qualsiasi, sia di civiltà, di benevolenza manifesta o che fosse stata incolpevolmente coinvolta in un incidente qualsiasi e, cosa più importante, che potesse essere il bersaglio di rapimenti o di ricatti perché noti per la loro agiatezza.
Torner si dimostrò più efficiente del solito. Nel giro di appena mezzora, posò sulla scrivania dell'ispettore Texel una cartellina senza intestazione, salvo in alto a destra dove emergeva la stampigliatura di 'riservata-personale'. Era quella che riguardava il professor Auliter.
"L'hai già letta?" fece Texel.
"No, solo l'intestazione interna, capo," rispose il collega, noto nell'ambiente della Polizia come un funzionario ligio ai suoi impegni e rispettoso della privacy delle persone. E, inoltre, per aprire il dossier dell'interessato, sarebbe stato necessario sfilare il filo di protezione della cartella interna che sull'intestazione indicava solo il nome. "Come avrei potuto?" aggiunse.
"Certo, Torner," fece sorridendo Texel. "Intendevo dire se l'avevi fatto quando la pratica è stata creata," e indicò al collega la data di appena un mese prima.
"Sai bene che non sono io a farlo, ma lo fanno di sopra," rispose, indicando più con lo sguardo che con la mano floscia il soffitto. Era proprio là, per l'appunto, che venivano confezionate queste particolari cartelle da funzionari che si alternavano in questo tipo di lavoro, per cui non era facile venire a sapere chi e per ordine di quale direttore l'avessero fatto.
Il professor Auliter vi figurava come persona irreprensibile, salvo un fatterello di poco conto che, però, il Preside dell'Istituto scolastico aveva voluto segnalare - benché in maniera molto confidenziale - alla Polizia, dato che si era trattato di una mancanza nei confronti per l'appunto del figlio del dottor Horniter. Non che fosse stata la vittima a denunciare il fatto, ma quella cosa aveva causato un certo scalpore nella scuola e, passando di bocca in bocca tra i ragazzi che, chi lo diceva per scherzarci, chi per una certa malevolenza derivata dalla posizione sociale della famiglia del compagno di studi, era venuta agli orecchi di uno dei guardiani - quegli stessi che avevano placcato Texel al suo ingresso nel palazzo - che, preso più da zelo che dalla gravità della cosa, si era fatto scrupolo di andarlo a riferire al Preside.
Insomma, la faccenda non potendo essere stata messa a tacere, tutti, sia professori, addetti vari e quasi tutti gli studenti, ne erano venuti a conoscenza, ragione per cui il professor Auliter, dopo avere dato le dimissioni, 'irrevocabili' a sentire lui, si era recato presso l'Ufficio di Texel, di cui aveva fatto la conoscenza tempo addietro, lamentandosi duramente contro la direzione della scuola, poiché l'atto incriminatorio così pesante, non era derivato che da una sua, purtroppo, troppa condiscendenza e simpatia per il suo pupillo-allievo e il gesto fatto era stato inconsulto e nient'affatto intenzionale. Ovviamente, proprio Texel che aveva un'alta opinione del suo interlocutore, aveva agito da intermediario ed era riuscito a convincere il Preside del prestigioso Istituto scolastico, a rigettare la domanda di dimissioni del professore che, comunque, non era stata presa neppure in considerazione.
Texel ricollegò quel fatto che aveva dimenticato da tempo e dovette scervellarsi per metterlo in correlazione con le telefonate anonime ricevute nel suo Distretto. Cosa c'entrava con il rapimento, in effetti non avvenuto, del figlio degli Horniter? Però, a dire il vero, il professor Auliter, pur avendogli assicurato che il giovane André si trovasse in altra sede, non gliene aveva spiegata la ragione, ma si era limitato, brontolando appena, che rispettava la decisione dei genitori.
'Diamine!' ebbe dirsi al chiuso della sua macchinetta, diretto non più verso casa, bensì ritornando al suo posto di lavoro. 'Il professore è un uomo serio, lo ho conosciuto e lo stimo pure. Una persona di una gentilezza squisita e di una cultura così raffinata'.
Riflettendo che se anche lui, invece di buttarsi anima e corpo nel lavoro per scalare al più presto i gradini della sua carriera, avesse dedicato una piccola parte del suo tempo a leggere o, meglio, a erudirsi…
Tuttavia voleva sincerarsi di quell'intrigante telefonata e di sicuro, se avesse trovato ancora il sergente Macromer in sede, lo avrebbe coadiuvato nello scoprire da dove quella telefonata fosse arrivata.
Era stata talmente breve e aveva preso talmente di contropiede l'addetto al centralino, che non c'era stato il tempo di individuare da dove fosse pervenuta. Nemmeno se dalla Capitale o da un'altra città. Una cosa, però, Texel l'ebbe certa nella sua mente e si guardò bene di confidarla al sergente. L'ora della ricezione dell'appello telefonico. Circa le nove del mattino, un'ora esatta dall'apertura dei cancelli dell'Istituto Antonin Reder.
Cosa avrebbe dovuto fare, allora?
Ma geniale! Telefonare alla scuola e chiedere a che ora avesse preso servizio il professor Auliter. 'No, no,' ebbe a riflettere l'ispettore. 'Così mi scopro troppo.'
Optò per un sistema semplice e al sergente, disse: "Sono un po' stanco. Rientro a casa e per favore non chiamarmi per qualsiasi cosa. Se è urgente, informa il mio collega Debecker alla Centrale. Non rientrerò prima di domattina." Lasciando esterrefatto il suo più diretto sottoposto, il quale non era abituato a questo tipo di atteggiamento, conoscendo Texel come un funzionario più che ligio al dovere, il quale non avrebbe lasciato per nessuna ragione il posto di lavoro, facendogli pensare o che si sentisse male o fosse intervenuto un grave problema familiare.
Ma non verso casa Texel si diresse, bensì presso l'Istituto Antonin Reder, dove venne ricevuto in pompa magna, mentre uno dei due gorilla, alla sua gentile richiesta, stava facendo due scalini alla volta per salire al secondo piano nell'aula dove insegnava il professor Auliter.
Che non c'era.
"Ma come?" esclamò Texel quando l'uomo glielo riferì. "Non vi siete accorti che il professor Auliter era uscito?"
"Le assicuriamo," fece l'altro, "che di qui non è passato nessuno, salvo il giardiniere che si era caricato un vaso con la pianta malandata di ibiscus per curarla nella serra."
"Sapete se ieri o prima il professor Auliter era assente?"
"E' rientrato solo stamani. Commissario," rispose il più ciarliero dei due. "Aveva chiesto il permesso di assentarsi qualche giorno."
Il sospetto che si era insinuato nella mente del poliziotto, si era già tramutato in un'idea. Ma Texel volle averne la certezza. "Che tipo è il giardiniere,eh? Alto? Grande e grosso? E, forse, portava il vaso sulle spalle o sulle due braccia il modo che la pianta gli nascondesse il viso?"
"Sì…" rispose il primo energumeno, abboccando come un ghiozzo,"… grande e grosso lo è davvero e poi con quella popo' di forza che ha, teneva il grosso vaso sulle mani raccolte in basso, che gli ha impedito pure di rispondere al mio saluto. Ma perché?"
"Uh, niente di particolare. Vorrei solo andargli a parlare."
"Certo… commissario. Ce lo accompagno."
"No, grazie. Mi dica solo dove lo trovo."
"Ma nella serra!" rispose il secondo guardiano che, capito dove Texel volesse andare a parare, inviò un'occhiata torva al suo collega.
Grande, grosso, alto e, soprattutto, furbo. Dato che, appena entrato nella serra, Texel trovò soltanto il grosso vaso con la pianta di ibiscus talmente malandata, che le sue foglie semivizze ciondolavano ai lati. Oltre a quello, un po' più discosta, ma appoggiata malamente sul lungo ripiano pieno di piccoli vasi in fiore, c'era la salopette con la quale il professor Auliter - Texel aveva già capito chi fosse il falso giardiniere - si era liberato e da là aveva fatto perdere le sue tracce.
Ma perché?
Non restò in quel luogo a scervellarsi e, non facendosi vedere dai custodi dell'Istituto scolastico, aggirò la costruzione e s'imbarcò nella sua macchina, diretto verso la Direzione Centrale della Polizia militare. Salita in fretta l'ampia scalinata, si fece annunciare al generale Gader, che lo ricevette subito nel suo ufficio al terzo piano.
Il Capo della Polizia sapeva che quando il suo amico Texel gli chiedeva udienza, era solo per un caso molto urgente, per cui gli si fece incontro aprendogli la porta, facendo uscire, con un gesto discreto, la segretaria e l'addetto al computer.
"Caro Texel," disse stringendogli la mano, "immagino avrai qualcosa d'importante da riferirmi. Tuttavia, gradirei che tu mi venissi a trovare più spesso. Sai quanto apprezzi conversare con te."
"Lo farei volentieri, caro Antonio, ma il lavoro mi occupa molto, causa di non gradevoli scontri verbali con mia moglie, la quale mi rimprovera di non trovarmi quasi mai a casa. Ha ragione, ma io non saprei come risolvere questo problema."
"Lo risolverai presto, vedrai. Attendo lo scontato nulla-osta del ministro per la tua nomina a commissario a due stelle. Così sarai trasferito qua in Centrale con compiti meno gravosi di quelli attuali e, di concerto, ci incontreremo spesso. Ma ora, scusa la mia irruenza. Vedo che, malgrado la buona notizia che ti ho appena dato, la tua fronte è rimasta corrugata. Dimmi, c'è un problema?"
"Grosso come una casa, anzi, grande quanto l'Istituto Antonin Reder," rispose Texel con una certa foga dovuta all'interruzione del generale. E nel riferire al suo superiore dei suoi sospetti, timoroso che quella telefonata anonima avesse un fondo di verità, gli consigliò che desse ordine affinché venissero accuratamente controllati i varchi di frontiera e gli aeroporti di qualsiasi importanza nel caso il professor Auliter vi si dovesse presentare. Evidentemente, il professore non si era aspettato una così repentina visita di Texel. Aveva di sicuro in mente di abbandonare la scuola non appena finite le lezioni per avere più tempo per lasciare il Paese.
Vennero immediatamente inviati due ispettori con altrettanti agenti presso la scuola frequentata dal figlio del dottor Horniter ma, a conferma di quanto sospettato da Texel, il professor Auliter, dopo la sua visita, era riuscito a eclissarsi dall'Istituto dopo aver legato e imbavagliato il giardiniere, relegandolo in un bagno privato, al quale aveva pure tolto la salopette per indossarla e uscire indisturbato sotto il naso dei poco attenti custodi.
Ma la cosa che lo amareggiò maggiormente, nonostante la buona notizia della promozione a commissario, fu che Auliter era già riuscito a uscire dai confini della nazione con un aereo Cessna partito alla chetichella dal piccolo aeroporto in erba dell'aeroclub di Pratofiorito, un'amena località a una ventina di chilometri dalla Capitale.
Non gli rimase altro che andare a trovare la famiglia Horniter per apprendere se fosse già arrivata la richiesta di riscatto per la liberazione del figlio. Ormai si era convinto che il giovane André era stato rapito dal professor Auliter.
Strano, quando fece il suo ingresso nella magnifica villa, omaggiato discretamente dalla governante, ebbe l'impressione di essere atteso, ma non notò in alcuno dei componenti e, segnatamente nell'espressione della madre, quel particolare affliggimento per il rapimento del figlio. Anzi, il dottor Horniter - strano che si trovasse a casa a quell'ora solitamente dedicata alla conduzione dei suoi affari - lo accolse con cordialità, ringraziandolo nel contempo della sua più che gradita visita.
Texel rimase sconcertato ed ebbe subito la percezione che sotto sotto ci fosse un inghippo, perché gli sembrava che l'accaduto si presentasse sotto forma di burla o qualcosa di appena losco, non afferrandone, al momento, la ragione.
"Mio figlio André?" ebbe a rispondere il dottor Horniter. "Subito dopo che ci è pervenuta quella telefonata, spaventati, anche se poi la cosa di è dimostrata essere una burla, lo abbiamo inviato a casa di suo zio, mio fratello."
"Non sapevo che lei avesse un fratello," rispose Texel.
"Be', sarebbe normale se Franziscus vivesse qua. Ma abita a Zurigo, in centro città e, per fortuna si è da poco ritirato dagli affari, ragion per cui può sorvegliare André tutto il giorno."
"E gli studi?" chiese l'ispettore, assecondando il suo interlocutore, al quale non credeva. Avrebbe investigato sull'esistenza di questo zio.
"Mio figlio parla e scrive correntemente il tedesco. Per un po' dovrà seguire i corsi in un Istituto svizzero.
"Mi scusi, dottor Horniter, è una pura formalità. Potrebbe indicarmi i dati di sui fratello?"
"Guardi, commissario, non c'è bisogno che scriva: le do il suo biglietto da visita," rispose pronto il ricco professionista.
Cosa che insospettì maggiormente Texel e, oltre a ciò, l'immediata reazione della signora Horniter che, all'apparire della governante dalla porta aperta che dava nella sala da pranzo attigua, li lasciò senza una parola, raggiungendola e chiudendosi la porta dietro di sé.


TERZO - L'EPILOGO


Franziscus Horniter, Senior Accountant - Zurich - Festanstellung - 31, Slotholmsgade Ph. No. 0041-1-242088. Questo era quanto indicato nel biglietto da visita che il dottor Horniter aveva dato a Texel e, dopo un accurato controllo con l'interscambio di informazioni con la Polizia della Confederazione Elvetica, tutto tornava anche nei minimi particolari. Come pure che lo zio controllasse dappresso il nipote, il quale in effetti frequentava una scuola d'elite dello stesso rango e indirizzo scolastico dell'Istituto Antonin Reder.
Cos'era, allora, che non funzionava?
Era indubbio che il professor Auliter era fuggito, ancora non si sapeva bene dove, con un aereo Cessna che aveva un'autonomia limitata, massimo seicento chilometri. Quindi dove e perché? Verso Zurigo stessa, ma era troppo banale e, infine, i colleghi svizzeri, interpellati in proposito, non ne erano a conoscenza. Per Parigi, Francoforte, Milano Malpensa, Amsterdam, Bruxelles, Londra, tutti aeroporti internazionali Hub da dove partire per oltre Europa o, al limite anche Nizza, nessuna segnalazione, a meno che il professore non disponesse di un secondo passaporto valido intestato a un nome diverso dal suo e fosse atterrato in uno spiazzo adatto allo scopo. Di giorno, com'era successo, poiché era scappato dalla scuola all'incirca a ridosso dell'intervallo per il pranzo e seppure avesse pilotato l'aereo di persona, non era detto che a bordo non avesse un passeggero, forse lo stesso André e a terra doveva per forza avere un complice che o aveva fatto sparire il velivolo ricoverandolo oppure, con un piano di volo falso, dopo aver lasciato Auliter raggiungere l'aeroporto più prossimo o una stazione ferroviaria, giacché di treni che raggiungessero un aeroporto ce n'erano, avesse decollato per atterrare in uno di tanti piccoli campi di aviazione per appassionati, che non disponesse di un controllo di frontiera e là, ricoverato il Cessna, di cui nessuno, guarda caso, conosceva o non aveva fatto caso alla sua sigla di identificazione, in un anonimo capannone quel lasso di tempo da far dimenticare il fatto. Le ipotesi erano diverse, come quella di avere, prima della fuga, incollato un identificativo falso sull'aeroplano, rimesso in circolo qualche giorno dopo con i documenti in regola. Una cosa era certa. Il professor Auliter non poteva viaggiare in auto né con autista né da solo. Sarebbe bastato un banale controllo della Stradale e il suo piano sarebbe miseramente fallito, specialmente in Italia, dove i controlli stradali sono più frequenti.
'Italia?' ebbe a dirsi il novello commissario. 'Perché non ci ho pensato prima? Là il denaro contante circola con più facilità. Chissà se… ma poi, in definitiva, che piano mi sto inventando? Quello che abbia abbandonato l'Istituto Antonin Reder? Non è certo un reato.'
Auliter era libero di farlo, salvo rispondere alle reprimende del Preside con il rischio di essere licenziato e perdere parte dei suoi emolumenti, come pure trovarsi in difficoltà per l'accumulo di anni di attività per la maturazione della pensione. Il professore aveva cinquantatré anni e secondo le leggi del Paese, gliene sarebbero bastati ancora sette per ritirarsi con un buon trattamento di quiescenza. Era l'unico grosso rischio che, alla luce dei fatti, correva. E allora, perché fuggire in quella maniera? Doveva per forza avere trovato un filone d'oro che gli desse la possibilità di vivere da signore, senza dubbio all'estero e specificatamente in un Paese che non aveva un accordo di estradizione. La piccola Nazione nella quale si svolgono i fatti non intesseva rapporti diplomatici se con con l'Europa Unita, Svizzera compresa e gli Stati Uniti, non di certo per supponenza verso gli altri, bensì per una mera questione di risparmio. La Svizzera, Paese neutrale, particolamente amico, svolgeva le funzioni di Consolato Generale presso tutte le altre Nazioni dove essa stessa era rappresentata.
Texel aveva fatto controllare minuziosamente tutto. Nell'Istituto non era stato commesso alcun reato come furto (si ricordò dei due preziosi quadri nel salotto di attesa, ma erano entrambi al loro posto) e poi come avrebbe fatto Auliter se, mascherato con la salopette del giardiniere e per più ingombrato da un pesante vaso con dentro una pianta, a nascondersi addosso due quadri che, seppure di dimensioni ridotte, non potevano essere celati ai due cerberi che controllavano (male) ogni movimento nel salone d'ingresso?
Ovviamente non ne venne a capo ed ebbe il presentimento che quell'amara sconfitta sarebbe stata la conseguenza del rinvio, inevitabile ormai, della sua promozione a commissario a due stelle, come gli aveva anticipato Gader.
Il quale non diede molto peso alla cosa. C'erano ben altri problemi che quello di un professore di un illustre Istituto di Cultura fuggito all'estero, seppure in quel modo misterioso e, al momento, inspiegabile.
Infatti, dopo le sue infruttuose ricerche, coadiuvato dai suoi colleghi, dopo avere mobilitato un'intera squadra della Polizia, venne convocato dal generale Gader nel suo ufficio e un Texel demotivato ma, soprattutto, preoccupato di ricevere una reprimenda benché amichevole, quando varcò la soglia del lussuoso ufficio, il generale comandante lo stava aspettando all'ingresso e, a mo' di amichevole saluto, dandogli due sonore pcche sulle spalle, gli disse bonariamente, ma con un'espressione tra il serio e il faceto: "Via non te la prendere, commissario. So quanto tieni al tuo lavoro e questo fatto ancora inspiegabile non è dovuto alla tua incapacità, bensì a un atto inconsulto di questo professore… a proposito come si chiama?"
"Auliter…" rispose con fare dimesso Texel. "Marius Auliter, generale…"
"Via, caro Texel. Cosa fai, mi chiami generale? Io sono Antonio, tuo indefettibile amico, che si trova occupare un posto che… ne farei…" borbottò. Poi, più deciso, invitandolo presso la sua scrivania, gli tese un foglio: "Ecco qua, finalmente, la tua nomina a commissario a due stelle con, in allegato, l'assegnazione del tuo nuovo ufficio che si trova su questo stesso piano ad appena quattro porte più in là del mio. Dato che ti conosco molto bene, so che non esulterai, ma pelomeno tua moglie sarà contenta, se non altro perché con il nuovo incarico tornerai a casa la sera in tempo per la cena in famiglia."
Davanti al generale, Texel si mostrò soddisfatto ed ebbe pure, lui che non lo faceva mai se non raramente con la moglie, il coraggio di abbracciarlo, ma quando ebbe imboccato lo scalone che portava all'atrio, il suo sguardo si fece torvo e scontento, tanto da incuriosire qualche piantone di servizio agli ingressi del ministero.
Non credeva alla versione dei fatti, ma avendogli il suo nuovo diretto superiore, consigliato di pensare ai prossimi impegni di funzionario di alto livello, si sforzò di non pensarci più, per quanto, benché fossero passati più di due mesi dall'accaduto, gli capitasse talvolta di pensare al caso.
Che si risolse proprio alla fine dell'anno scolastico con il ritorno a casa di André Horniter. Da quel giorno, quando veniva accompagnato in macchina in ufficio, Texel diede disposizioni al suo autista di passare davanti alla residenza Horniter, obbligando l'ubbidiente e tacito agente ad allungare il percorso di oltre un chilometro.
Capitò allora, in una giornata talmente bella e limpida che oltre agli allegri uccellini avrebbero cantato anche gli uomini, compreso Texel che era sempre accigliato, che la sua macchina di servizio si trovasse ad incrociare, nei pressi del cancello della ricca villa padronale, con quella del dottor Horniter, al volante della sua lussuosa Bentley.
Texel chiese all'autista di fermarsi e subitaneamente aperto lo sportello sul retro, si precipitò con fare deferente verso la macchina in procinto di entrare nel parco il cui cancello, azionato da un telecomando, stava per spalancarsi.
"Dottor Horniter, come sta?" fece il novello commissario tutto ossequioso. Al che al magnate, pur sorridendo, non restò da fare altro che fermare l'auto e scendere a sua volta per stringere la mano al commissario.
"Posso farle i complimenti per la promozione? Una carriera brillante a quanto pare, caro commissario."
"A dire il vero, non me la meriterei proprio, dottor Horniter…" replicò Texel, "… se almeno avessi risolto quel fatto della fuga del professor Auliter. A proposito, lei non ne ha avuto più notizie?"
"Certo che no, commissario. Non capisco, un così bravo insegnante. Sa, voleva molto bene al mio André e gli si era molto affezionato."
"Tanto da accordargli un… vorrei dire, caro dottor Horniter, un buon viatico?"
Horniter fece finta di non aver capito. "Devo andare," disse con voce neutra, "ho ospiti a pranzo."
Al che il gongolante Texel, che aveva capito tutto, gli chiese: "Immagino che suo figlio, dopo l'intermezzo zurighese, resterà a casa e riprenderà gli studi presso l'Istituto Antonin Reder."
"Proprio così," ebbe a rispondere Horniter.
"Siamo certi che non ci sia il pericolo che uno dei suoi figli, beninteso, secondo le telefonate anonime che quotidianamente riceviamo, non rischino di essere rapiti con una richiesta di un forte riscatto?"
"No, d'ora in avanti verranno accompagnati da due uomini di una polizia privata…"
"Che le costeranno meno, immagino… del professor Auliter. Arivederci dottor Horniter e mi saluti la sua signora," concluse Texel, toccandosi l'ala del cappello.

 
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