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Editoriali

Senza la crisi l'arte cosa sarebbe?
di Alessandro Rizzo
Crisi
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Senza la crisi l'arte cosa sarebbe?
 

Definire il concetto di crisi in tempi in cui ormai si parla solamente di questo stato di cose non è facile e rischia di apportarci in sentieri alquanto tortuosi e poco risolutivi.
Qualcuno del varietà dei primi anni del secolo ormai trascorso, il secolo delle grandi conquiste, del progresso tecnologico, dell'avanzamento prometeico delle invenzioni, Rodolfo De Angelis, noto compositore avvicinatosi al futurismo, aveva scritto un motivo dal titolo: "Ma cos'è questa crisi?". Era il 1933, l'Italia si trovava in piena repressione da parte della dittatura fascista e il ritornello della canzone voleva sottolineare l'invito quasi paradossale, spiritoso, sagace e goliardico di abbandonare ogni preoccupazione che ci attanaglia quotidianamente, tanto la crisi prima o poi passerà si diceva nel testo. Era una vera critica sociale ammantata anche da una certa leggerezza apparente e ironia sottesa.
Uscendo dalle stecche del varietà italiano possiamo dire che la crisi spesso è uno stato d'animo indotto da coloro che vogliono mantenere la situazione immobile e statica per poter, così, rendere omologabile e omologante un pensiero unico, soffocante e normalizzante. Lo stesso critico letterario Frank Kermode, giustamente, avvisa sul fatto che in ogni periodo si pensa che si stia vivendo un'era di rottura, quasi dando a quell'epoca contemporanea l'eccezionalità di una visione mitica e rendendo, così, gli animi in un'attesa quasi contemplativa di un futuro prossimo. Si pensa, quindi, che la crisi che si vive "sia preminente, più tormentosa, più interessante delle altre crisi". Il termine etimologicamente deriva dal greco antico e significa sia rottura, separazione, frattura, sia decisione, scelta. La doppia concezione della parola ci porta intrinsecamente a considerare la crisi come un'occasione, un'opportunità di ripensare e ripensarsi, di riprendere una nuova prospettiva che non annienti il sé ma che lo rinnovi, che non faccia tabula rasa di un passato esperienziale ma che lo valorizzi e lo riproponga sotto forme e sostanze differenti.
Se Jakob Burckhardt in "Considerazioni sulla storia universale" afferma che gli sviluppi che susseguono dai momenti di crisi sono precipitosi come fossero "fantasmi in fuga", il suo collega Reinhart Koselleck sotto la metafora di "cataratta degli eventi" definisce la crisi come "occasione che ci trasforma". Gli accenni storiografici ci permettono di inquadrare meglio il periodo culturale e artistico che stiamo percorrendo in uno stadio, quale quello contemporaneo, apparentemente e superficialmente fossilizzato nella dizione complessiva di "post modernità", ossia epoca della fine di ogni ideale e capacità di pensare a nuovi stili, nuovi progetti artistici, nuovi significanti poetici. Non esisterà oggi in qualcuno il coraggio, per esempio, espressosi nell'arte figurativa simbolica ed evocativa di un Gustav Klimt, che si immerse nell'ottica di dare una rivoluzionaria idea di produzione artistica fondando quel movimento che aveva qualcosa di radicalmente immediato nello stesso nome: il secessionismo viennese. La filosofia intrinseca della sua poetica coincideva con la volontà di rompere senza mediazioni, appunto, con un passato ormai superato, inoltrandosi in una nuova spazialità quasi fisica nella cui centralità si potesse assaporare la lettura dell'animo umano. Nella letteratura artistica abbiamo figure che hanno saputo utilizzare la crisi culturale di un certo periodo per rinnovarsi e rinnovare l'arte. Non esistono più, quindi, nell'epoca della cosidetta post modernità figure di rilievo nell'architettura quale il fondatore dello stile moderno, Le Corbusier; in letteratura dobbiamo dedurre che non vivono nuovi spiriti capaci di dare una svolta al concetto di arte letteraria e di scrittura, come riuscirono a loro tempo Italo Svevo, Luigi Pirandello o Thomas Mann, agendo tra l'analisi psicologica e l'introspezione complessa dell'essere e della sua precaria esistenza; in musica non si percepiscono crescere nuove figure del calibro di un Igor Stravinskij o di un George Gershwin, fondatori di differenti pensieri rivoluzionari di produzione artistica; forse oggi non possiamo apprezzare nuovi registi che potrebbero essere comparabili ai fondatori della Nouvelle Vague francese oppure del neorealismo italiano; oggi mancano, pertanto, nomi che potrebbero essere paragonabili ai poeti dell'ermetismo, oppure nella fotografia non abbiamo figure di autori della portata di un Muybridge, precursore attraverso le foto seriali dell'arte cinetica; non abbiamo, chiaramente e conseguentemente, ancora visto sorgere una stella che sappia competere con l'elevatura culturale e creativa di Andy Warhol, imitato e ancora riferimento costante, che ha espresso il concetto di arte come celebrità e come ricerca del profitto, in un'ottica concettualistica del moderno e in una sua visione popolare e quotidiana, fruibile dalla maggioranza degli spettatori. Di poeta ne nasce uno solo diceva Ungaretti ai funerali di Pierpaolo Pasolini, indicando come l'autore friulano abbia potuto segnare, tanto da renderlo unico, quella rottura di linguaggio e di espressione tale per cui la crisi dei costumi e dei valori, a loro volta minacciati davanti all'omologazione consumeristica, veniva affrontata e analizzata con i simboli più che attraverso opere pedagogiche di forte impatto ideologico, come testimonia Teorema, capolavoro innovativo e, quindi, prodotto di una ricerca di trasformazione dovuta alla crisi culturale, i temi strutturali della quale vengono adeguatamente svolti nella pellicola stessa. Non sarei, quindi, così negativo in assoluto a non leggere attualmente nel panorama artistico fermenti, seppure individuali, di soggettività artistiche che cerchino di inventare e inventarsi per elaborare un cambiamento culturale richiesto.
C'è chi, in passato, difronte alla crisi ha assunto toni provocatori, disarmanti l'interlocutore, considerando l'arte come opera di indipendenza e, come tale, illogica, totalmente destabilizzante i canoni classici stereotipanti: deve saper parlare senza parlare, asserivano i dadaisti, deve saper comunicare partendo da qualcosa che può anche essere visto come riprovevole dalla massa ma che, invece, diventa la valenza dell'opera e dell'artista in preda a una "follia indomabile" e "alla decomposizione". Di certo Duchamp attraverso la proposta di un orinatoio come opera artistica era riuscito a creare la rottura con il soffocante patrimonio ereditato e paternalisticamente imposto del classicismo o del futurismo, del simbolismo, del realismo o dell'iperrealismo. Ma non è un simile ed esagerato impeto di lacerazione artistica da essere richiesto affinchè si possa dire di trovarci difronte a un rinnovato linguaggio dell'arte. Oggi ci dobbiamo domandare apertamente se siamo davvero davanti a una crisi del sistema per poter comprendere l'esistenza di moti culturali e artistici diretti verso una trasformazione evolutiva del sé personale come artista e della cultura di una collettività. La risposta potrebbe essere tanto affermativa quanto negativa. Un fatto è, però, certo: viviamo nella precarietà esistenziale e questo elemento ci porta a non avere certezze ideali e sociali tali per cui permetterci di prendere il lusso di adagiarci in contemplazioni estetiche fini a sé stesse di passati gloriosi e irripetibili. La rivista vuole assumere nel proprio microcosmo un ruolo di spazio virtuale e virtuoso che sappia dare un approfondimento all'analisi del contesto culturale che viviamo attraverso nuove poetiche, letterarie, musicali, artistico figurative, cinematografiche, giovanili e fertili, dinamiche e innovative, espresse da una pluralità di singoli soggetti che si chiedono che cosa poter apportare a questo stato di cose, a volte fortemente cristallizzato e opaco, per trovare strade di rinnovamento culturale e civile. Non è presuntuoso pensare a Segreti di pulcinella come un piccolo approdo nel mare tempestoso, magari funestato da canti di sirene deviatrici e incantatrici, per un vascello, quale quello dell'arte contemporanea nella sua universalità, procedente con difficoltà verso un'Itaca del riscatto culturale e soggettivo di chi vuole indipendentemente affermare la propria autorevolezza di portatore di messaggi dall'intenso significato e significante. Ci sarà un'Itaca finale dove bearsi di nuove prospettive artistiche culturali reperite uscendo dal presente momento di crisi? Si spererebbe che questo non avvenga e si inviterebbe, una volta raggiunta l'ipotetica meta, chi avesse fatto scalo di vedere nuovi itinerari da intraprendere, mettendosi in continua discussione e apportando nuove idee al cammino dell'arte nella storia della propria comunità. La crisi genera pensiero e il pensiero genera arte; e quale migliore frase se non quella di Jean Cocteau, che tanto rinnovò il modo di intendere e pensare l'arte nella sua interezza e pluralità, può corroborare questa tesi finale quale: "L'arte è scienza fatta carne".


Alessandro Rizzo
vicedirettore di Segreti di Pulcinella

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Un ringraziamento agli autori che ancora una volta hanno inviato il loro prezioso contributo a questo numero. Li invito di nuovo, insieme agli altri autori che ancora non hanno trovato spazio sulle pagine elettroniche di SDP, ad inviare le loro opere entro il
31 dicembre 2012. Il prossimo tema: istruzione.

Massimo Acciai
Direttore di Segreti di Pulcinella

Contatore visite dal 6 giugno 2011
 
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