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Narrativa

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi in prosa inediti, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
Megghiu porcu ca surdato di Ballecca, Lido Rex di Giuseppe Costantino Budetta, Dialogo tra un italiano e un immigrato di Marcellino Lombardi, Un racconto di Natalia Radice, Pianeta originario di Natalia Radice, Cerando un decalogo di Stefano Carlo Vecoli (vincitore del concorso letterario S. Mauro), Giovedì, 31 agosto 1943 di Zelda S.Zanobini

Poesia italiana

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi poetici inediti, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
poesie di Massimo Acciai, Giuseppe Costantino Budetta, Alessandra Ferrari, Emanuela Ferrari, Cesare Lorefice, Davide Montagner, Caterina Pomini, Natalia Radice, Anna Maria Volpini

Poesia in lingua

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi poetici inediti, in lingua diversa dall'italiano, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
poesie di Lucia Dragotescu, Emanuela Ferrari, Manuela Léa Orita, Iuri Lombardi, Anna Maria Volpini

Recensioni

In questo numero:
- "Pensieri di una donna qualunque" di Amanda Nebiolo, nota di MassimoAcciai
- "Un prete in Paradiso" di Luciano Ragni, nota di Paolo Ragni
- "Il salottino degli ospiti invisibili" di Maria Pia Moschini, nota di Massimo Acciai
- "Non abbiamo potuto essere gentili" di Marco Palladini, nota di Enrico Pietrangeli
- "Viaggio nel passato" di Marco Pezza, nota di Massimo Acciai
- "La guerra del Vietnam attraverso la stampa cattolica italiana" di Maria Ianniciello
- "Bentornato galateo" di Alberto Presutti
- "Camere e frontiere" di Maria Antonietta Tardone, nota di MassimoAcciai
- "Cambio di luci" di Maria Lenti
- "Prove di felicità a Roma est" di Roan Johnson, recensione di Ilaria Mainardi

Arte in cucina

Torta di Panneregia, Schiacciata alla fiorentina, Sgonfiotti dolci al limone
a cura di Paolo Ragni

Interviste

Dalla pittura alla scrittura: un autore eclettico. Intervista a Luca Manduca
intervista a cura di Alessandro Rizzo

Incontri nel giardino autunnale

Intervista a Alberto Vanolo
A cura di Matteo Nicodemo

Saggi

Cercando il teatro d'Europa
di Apostolos Apostolou
Quando il teatro e la filosofia cercano la nuova soggettività autoriflessiva
di Apostolos Apostolou
La realtà crea, colloquio con il giovane autore de "Il libro nero del mondo"
di Alessandro Rizzo
La scapigliatura
di Davide Rota
Per un futuro della memoria. Omaggio a Francesco Graziano
di Massimo Acciai

La formazione culturale di Elsa Morante
di Angela Rigamo

Alberto Vanolo
 

Intervista a cura di Matteo Nicodemo


1. Prof Vanolo mi può definire che cosa significa per un geografo studiare "lo spazio industriale"?

In generale, in geografia si studia la "forma" che un certo fenomeno assume nello spazio. In questo caso, si tratta essenzialmente di analizzare l'industria: come si distribuisce, come si relaziona con il territorio, quali fenomeni sociali riverbera intorno a sé. Si possono quindi individuare molteplici dimensioni d'analisi, a seconda dei vari filoni di studio della disciplina. Per esempio, uno dei primi problemi analizzati dalla geografia economica ha riguardato la questione della scelta "ottima" per la localizzazione di uno stabilimento industriale. Ma è possibile per esempio interrogarsi su come l'industria possa influenzare lo sviluppo delle città (per esempio il rapporto fra la crescita della Fiat e lo sviluppo di Torino), oppure come i circuiti del capitale e della produzione possano ridisegnare lo spazio mondiale, relegando alcune regioni del pianeta in una posizione "periferica".


2. In questi ultimi anni di crisi economica quali sono i più significativi fenomeni che si sono verificati sul paesaggio industriale italiano?

Non saprei dare una risposta "scientifica", perché non mi occupo di questo tema. Dal punto di vista industriale, la mia impressione è che la crisi economica più recente abbia semplicemente accelerato alcune tendenze già in atto da molti anni: le peculiarità del capitalismo italiano hanno consentito un grande sviluppo negli anni del boom nel dopoguerra, ma si rivelano inadatte a fronteggiare gli scenari più recenti. Per esempio, l'organizzazione dell'economia in tessuti di piccole imprese radicate in alcuni luoghi, ossia il "capitalismo di territorio" caratteristico dei distretti industriali, nel passato ha conferito una grande vitalità al sistema produttivo del paese. Negli anni 80, studiosi di tutto il mondo guardavano con interesse ai distretti industriali italiani, un po' come oggi accade con la Cina. L'economia di questi tessuti produttivi era tradizionalmente organizzata in rapporti funzionali di cortissimo raggio, basati su relazioni con fornitori e clienti fortemente radicati nel territorio locale: la circolazione di idee, capacità, capitali, tecnologie spirito imprenditoriale e capitale sociale (fiducia) in uno spazio circoscritto ha costituito tradizionalmente la base di questo sistema. Oggi le relazioni alla base di questi meccanismi si sono però frantumante; in altre parole, il capitalismo fatto esclusivamente di reti di corto raggio sembra oggi "inadeguato": da un lato, le conoscenze e il "saper fare" locale che avevano costituito la chiave del successo paiono insufficienti per competere in uno spazio globale; dall'altro lato, i volumi di produzione realizzabili su scala locale o nazionale sono anch'essi inadatti per uno scenario economico sempre più "aperto" al resto del mondo. L'economia dei distretti di imprese di piccola e media dimensione si trova così oggi a trasformarsi e a operare in uno spazio "dei flussi" di scala geografica assai più ampia, fatta per esempio di relazioni con le economie emergenti, con l'Est europeo, con l'estremo Oriente. Ne emerge una geografia delle relazioni estremamente complessa che opera contemporaneamente a scale geografiche e funzionali differenti, con evidenti effetti sul territorio: per citarne uno dei più visibili, una diffusa deindustrializzazione, già in atto da anni.


3. Di conseguenza che cosa cambia per lo studioso?

La geografia alla base di questi fenomeni deve essere "reinventata". Da un lato, persistono le tradizionali relazioni di prossimità fra imprese, territorio, soggetti e culture locali (come la matrice "distrettuale" del capitalismo latino). Dall'altro lato, le relazioni fra imprese travalicano lo spazio locale, per riferirsi a luoghi molto distanti. E, nel mezzo, alcuni spazi giocano un ruolo "intermedio", di "gateway". Si pensi al caso di Milano, probabilmente il più importante centro urbano del paese per quanto riguarda le possibilità di interconnessi a reti della tecnologia, della moda, della conoscenza, della finanza di livello continentale.


4. Ricerca e innovazione sono il futuro. Cosa rimane del passato, forse e solo la classe operaia?

Effettivamente uno dei pochi temi su cui esiste consenso fra tutti i dibattiti scientifici (economia, geografia, sociologia) è la centralità dell'innovazione. Non solo quella tecnologica: anche la creatività e l'innovazione "sociale" (l'evolversi verso modi più efficaci di gestire la politica, per esempio) sono altrettanto importanti. Al tempo stesso, non si può pensare che la realizzazione della "società della conoscenza", per usare un'espressione molto diffusa, possa comportare la "riqualificazione" di tutti i segmenti della società. Da un lato, molti settori economici sono ancora organizzati in maniera estremamente "tradizionale"; dall'altro lato, è semplicemente impensabile che "tutti" possano o riescano a riconvertirsi ai mestieri della conoscenza. In questo senso, credo rimanga ancora molto del "passato". Ma, per assurdo, temo che la stessa "classe operaia" di cui parlava non esista più in senso stretto, e non tanto perché il numero degli operai è diminuito: è il concetto di "classe", intesa come un gruppo relativamente omogeneo, politicamente orientato e con una identità comune, a essere inesorabilmente in crisi.


5. quali sono i provvedimenti che uno stato dovrebbe adottare per aiutare l'industria?

Non saprei. Naturalmente incoraggiare l'innovazione è di primaria importanza, ma d'altro canto è un'idea così comune da diventare "post-politica": sostanzialmente sono tutti d'accordo, a destra come a sinistra. Il problema è piuttosto trovare la maniera per conseguire questo obiettivo; per esempio, non sono sicuro che una politica di sostegno al settore dell'auto travestita da politica ambientale (gli "ecoincentivi") sia realmente in grado di produrre un'evoluzione qualitativa. Ed esistono mille esempi di retorica politica strumentale a interventi assai miopi, probabilmente destinati a favorire ristette élite: si pensi a come la speculazione dei decoder digitali sia stata "venduta" come politica tecnologica, alla privatizzazione dell'acqua, ai continui tagli alla scuola mentre si annuncia la ridicola iniziativa dei "buoni vacanza" per le famiglie più povere, pura demagogia. Tutte queste, naturalmente, non sono questioni strettamente "industriali", ma temi come la formazione scolastica e l'integrazione sociale giocano un ruolo di primo piano rispetto alle dinamiche dell'economia, nel lungo periodo. Occorre infatti trovare interventi radicati e compatibili con le esigenze e le dinamiche evolutive della società: l'industria non è un qualcosa di "superorganico", ossia "esterno" alle vite dei lavoratori, all'ambiente, al welfare e ai più ampi obiettivi di sviluppo umano, ma parte di un unico ecosistema.

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