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                            10.000 AC
 Regia di Roland Emmerich con Camilla Belle, 
                            Steven Strait, Cliff Curtis. Genere Avventura 
                            produzione USA, Nuova Zelanda, 2008 Durata 109 
                            minuti circa
 
 All'inizio temevo si trattasse di una specie di "Apocalipso", 
                            poi ad un certo punto mi è venuto il sospetto che 
                            fosse una sorta di prequel di "Stargate" (il regista 
                            è lo stesso), mentre invece è un film tranquillo, 
                            con una trama senza grosse sorprese, un pizzico di 
                            mistero e qualche accenno en passant ad Atlantide e 
                            alla teoria degli antichi astronauti. Il pregio 
                            maggiore di questo film sta negli effetti speciali 
                            ed in una certa suspence che si mantiene fino alla 
                            fine. Certi anacronismi facevano pensare ad un film 
                            di "fantarcheologia" (le piramidi, ad esempio, sono 
                            di 73 secoli più tarde…) ma in definitiva è un film 
                            d'avventura che se la cava senza gloria e senza 
                            infamia. Valeva comunque il biglietto.
 
 Massimo Acciai
 
 
 Iron man
 
 Regia di Jon Favreau con Robert Downey Jr., 
                            Terrence Howard, Jeff Bridges, Shaun Toub, Gwyneth 
                            Paltrow. Genere Azione produzione USA, 2008 Durata 
                            126 minuti circa
 
 Ennesimo film basato su un fumetto Marvel, dalla 
                            trama piuttosto inconsistente e dalle solite 
                            americanate coatte che si fanno perdonare solo 
                            grazie agli effetti speciali di ottimo livello (cosa 
                            che si può dire di quasi tutto il genere specifico). 
                            All'inizio troviamo un protagonista, certo Stark, 
                            tutto sommato antipatico e superficiale: le risposte 
                            che dà ad una giornalista riguardo al suo mestiere 
                            (è un fabbricante d'armi, un "mercante di morte" 
                            come viene giustamente definito) sono di pessimo 
                            gusto, così come i suoi modi da fighetto 
                            miliardario. Dopo l'esperienza di prigionia in 
                            Afghanistan (un luogo da cui gli americani 
                            dovrebbero girare alla larga…) lo troviamo cambiato, 
                            ma non poi di molto. Convertitosi ad un inverosimile 
                            pacifismo, si scontra con il consiglio 
                            d'amministrazione e con il suo fido collaboratore 
                            (che poi lo tradirà) dopo aver annunciato la 
                            chiusura della produzione bellica della Stark 
                            Industries. Fin qui il film è abbastanza noioso; 
                            comincia a diventare interessante (non tanto per la 
                            trama, quando per i mirabolanti effetti speciali) da 
                            questo punto in poi, quando cioè il protagonista 
                            veste i panni del supereroe ipertecnologico e 
                            comincia a salvare vite umane anziché contribuire 
                            alla loro distruzione. Vale la pena vederlo, se non 
                            si sa cosa fare durante un pomeriggio di pioggia, ma 
                            se si perde non è certo un dramma…
 
 Massimo Acciai
 
 
 Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo
 
 Regia di Steven Spielberg con Harrison Ford, 
                            Karen Allen, Cate Blanchett, Shia LaBeouf, John Hurt, 
                            Ray Winstone, Jim Broadbent. Genere Avventura 
                            produzione USA, 2008 Durata 125 minuti circa
 
 Il quarto film sulle avventure dell'illustre 
                            archeologo non è certo all'altezza dei primi tre, ma 
                            si difende bene. Trionfano gli effetti speciali ed 
                            il ritmo è sempre serrato; c'è anche la giusta 
                            ironia. La scena migliore è quando Indiana Jones si 
                            rifugia in un frigorifero per scampare 
                            all'esplosione di una bomba atomica. Molte anche le 
                            citazioni dai precedenti film, per gli affezionati 
                            (come me). Poco credibile invece il protagonista, 
                            invecchiato ma sempre agile, nei panni di padre e di 
                            marito…
 
 Massimo Acciai
 
 * * *
 
 CACCIATORE DI TESTE
 
 Il cacciatore di teste di Costa Gravas è un film che 
                            affronta un tema attualissimo, dove il protagonista 
                            Bruno Davert dirigente in una fabbrica di carta, 
                            dopo quindici anni di fedele servizio, un giorno 
                            viene brutalmente licenziato insieme a un centinaio 
                            di colleghi a causa di una ridistribuzione 
                            economica. In un primo momento, Bruno non si 
                            preoccupa, perchè per il suo livello di competenza è 
                            convinto di trovare un lavoro simile. Tre anni dopo, 
                            ancora disoccupato, si rende conto di essersi fatto 
                            coinvolgere, seppur con riluttanza, in una guerra 
                            che lo ha logorato.Ora, metaforicamente, è un 
                            soldato semplice la cui unica missione è 
                            sopravvivere e preservare il suo benessere e quello 
                            della sua famiglia. Ecco allora che si arma e va 
                            all'assalto dell'Arcadia Corporation.Il titolo 
                            originale è Le couperet, che significa la mannaia. 
                            Quest'ultima cade spietata su chi lavora in 
                            un'azienda quando qualcuno decide la 
                            ristrutturazione, che significa mandar via più gente 
                            possibile. Gavras mostra icone e modelli che 
                            l'occidente ben conosce: scioperi violenti, 
                            pubblicità volgare e la tivù della spazzatura in una 
                            dialettica banale e disperata, dove l'unica 
                            industria florida è quella del crimine e poi 
                            "ciascuno per sé e nessun dio per tutti". Nel film 
                            ci sono rimandi a Peter Cattaneo col suo Full Monty, 
                            anche se là i licenziati reagivano organizzando il 
                            famoso spogliarello maschile. Gavras ci presenta i 
                            singoli esseri umani vittime dolorose di 
                            applicazioni spietate, risolvendo il film con 
                            efficacia e qualità e meritando così un alto 
                            credito.
 
 Sonia Cincinelli
 
 
 Il vento fa il suo giro
 
 Il vento fa il suo giro di Giorgio Diritti, primo 
                            lungometraggio di un regista non giovanissimo con un 
                            passato di tv e documentari, ha conquistato il 
                            pubblico in un debutto da non dimenticare. Un film 
                            raccontato in tre lingue diverse (italiano, occitano 
                            e francese sottotitolato) che parla del difficile 
                            trasloco, morale e materiale, di un pastore francese 
                            in un villaggio montano piemontese. La comunità, che 
                            parla ancora in lingua d'hoc, all'inizio assai 
                            diffidente, decide sotto la spinta del sindaco 
                            progressista di azzardare ed accogliere "lo 
                            straniero", nella speranza anche di vedere un po' di 
                            ripresa economica per Chersogno. L'uomo (Thierry 
                            Toscan) e la sua donna (Alessandra Agosti) sono due 
                            spiriti liberi, che hanno deciso di vivere seguendo 
                            i tempi della natura e dei propri desideri. Una 
                            libertà che il paese non accetta, che mette in crisi 
                            e pone domande a cui la comunità disgregata non è 
                            più in grado di rispondere. Diritti, ci propone il 
                            tema della "diversità" che può creare una distanza 
                            insanabile cosicchè le porte dell'accettazione si 
                            chiudono e l'indigeno sceglie la morte. Come da 
                            titolo, il vento gira in un movimento circolare che 
                            ci fa assistere ad un mutamento biologico della 
                            gente. Chi è l'altro? Che vuole da me? In che modo 
                            cambierà la mia vita? Sono le domande primordiali 
                            dell'incontro, del singolo che si apre all'altro da 
                            se. Un film antropologico che ci fa riflettere su un 
                            tema attualissimo ed accostabile al fenomeno 
                            sociologico per eccellenza dei tempi odierni, 
                            l'immigrazione. Infatti l'isolamento del 
                            protagonista ci racconta una storia universale. Un 
                            film che sembra un documentario poetico dagli echi 
                            olmiani ed avatiani con attori bravissimi non 
                            professionisti. Assolutamente da vedere.
 
 Sonia Cincinelli
 
 
 Je vous salue Marie
 
 Je vous salue Marie,film del 1984 che fu a suo tempo 
                            accusato di vilipendio alla religione, fu 
                            sequestrato e poi dissequestrato. Marie, una giovane 
                            benzinaia fidanzata con Giuseppe, un tassista, 
                            riceve una visita di Gabriele, accompagnato da una 
                            bambina, che le comunica che presto diventerà madre. 
                            Sorpresa, Marie risponde che "non conosce nessuna 
                            persona e che pertanto questa notizia le appare 
                            assurda". Eppure Marie è incinta. Incredulo è 
                            Giuseppe e anche arrabbiato, incredulo è il 
                            ginecologo che visita Marie. La ragazza è vergine ed 
                            allo stesso tempo è madre. Gabriele interviene in 
                            modi piuttosto bruschi per far comprendere a 
                            Giuseppe che deve abbandonare ogni umana gelosia e 
                            proteggere con religioso sentimento d'amore il 
                            mistero che si è realizzato in Marie. Il bimbo 
                            nasce, cresce e se ne va per la sua strada. Ormai 
                            Marie ha compiuto la sua missione, come ironicamente 
                            le dice Gabriele: "Je vous salue Marie" e potrà 
                            d'ora in poi essere come tutte le altre donne. 
                            Godard affronta il dualismo corporalità/spiritualità 
                            giustapposto a caso/individualità alla luce di una 
                            rivisitazione contemporanea del "mito" 
                            dell'Immacolata Concezione di Maria. La splendida e 
                            bravissima Myriem Roussel porterà per tutto la 
                            durata del film il fardello di una dolorosa 
                            accettazione che di fondo è l'esistenza stessa, 
                            entro la quale la lotta per affermare la propria 
                            felicità e far sbocciare il proprio amore resta 
                            chiusa come in una scatola. Pregare equivale a 
                            toccarsi. Toccare la propria anima ( ma anche il 
                            corpo) per darle il piacere di un senso/sensazione 
                            della vita (di quel momento o di tutti i momenti). 
                            Un film da vedere più di una volta per pesarne il 
                            valore, la poesia, il cinema puro. Il film è 
                            anticipato da un cortometraggio dal nome "il libro 
                            di Maria" che poi si ricollega al film stesso. 
                            Consigliato agli amanti di Godard e al cinema come 
                            poesia di pasoliniana memoria.
 
 Sonia Cincinelli
 
 
 Non aprite quella porta
 
 Non aprite quella porta (The Texas Chainsaw Massacre) 
                            è un horror indipendente e a basso costo diretto da 
                            Tobe Hooper, che venne distribuito nelle sale 
                            cinematografiche nel 1974.
 Il film, bandito dalla Gran Bretagna e vietato ai 
                            minori in Francia, Germania, India e Romania, narra 
                            la storia di un gruppo di cinque ragazzi texani che 
                            finiscono nelle grinfie di "Faccia di cuoio", uno 
                            dei più famosi assassini seriali del cinema 
                            dell'orrore oltre che il personaggio principale del 
                            film. Egli è caratterizzato da una maschera di pelle 
                            umana, un grembiule da macellaio insanguinato e 
                            soprattutto da una motosega, che usa come arma per 
                            massacrare le sue vittime. Non aprite quella porta è 
                            stato uno dei film indipendenti di maggior successo 
                            della storia del cinema ed è considerato il 
                            prototipo del film violento, nonostante non fosse 
                            stato ideato con l'intento di generare suspence e 
                            ribrezzo agli spettatori. Tratto da una storia vera, 
                            fu girato solamente per creare una sorta di 
                            documentario sui massacri da cui trae spunto, per 
                            renderli noti agli spettatori. Contrariamente a ciò 
                            che si crede, il film non ripropone fatti reali e al 
                            pari dei film Psycho (1960) e Il silenzio degli 
                            innocenti (1991) è infatti solo parzialmente 
                            ispirato alla storia del serial killer del 
                            Wisconsin. Gli interni della casa e in particolare 
                            il macabro salotto della famiglia furono comunque 
                            ricreati prendendo spunto da quelli filmati dalla 
                            polizia durante un sopralluogo a casa del killer. Il 
                            regista del film ha perciò utilizzato la tecnica del 
                            falso documento per rendere la storia maggiormente 
                            verosimile e più adatta a spaventare le folle. Non 
                            aprite quella porta è diventato fonte di ispirazione 
                            per molti film, libri e canzoni, per esmpio la 
                            canzone Chainsaw del primo album dei Ramones, 
                            infatti Joey Ramone scrisse la canzone dopo averlo 
                            visto; insomma un cult Horror da non perdere.
 
 Sonia Cincinelli
 
 
 OGNI COSA E' ILLUMINATA
 
 Ogni cosa è illuminata, il film dove un giovane 
                            ebreo americano decide di andare alla ricerca della 
                            donna che durante la Seconda Guerra Mondiale in un 
                            villaggio in Ucraina aveva salvato la vita a suo 
                            nonno, nascondendolo durante un raid dei Nazisti. Il 
                            giovane viene aiutato nella sua ricerca da Alex, un 
                            ragazzo del luogo. Tratto dall'omonimo romanzo di 
                            Jonathan Safran Foer, appartenente alla terza 
                            generazione di scrittori che hanno ricordato la 
                            Shoah, Everything is illuminated è la storia di un 
                            viaggio della memoria. Il protagonista, interpretato 
                            da Elija Wood, non sembra un personaggio ben 
                            definito, ma quasi uno strumento della memoria, non 
                            dotato di caratteristiche proprie. Un particolare a 
                            cui bisogna fare attenzione è la dialettica tra 
                            luce-oscurità (piuttosto evidente) ed il contrasto 
                            tra vista e cecità(tema caro ai film del nostro 
                            millennio). Quest'ultima ha a che fare con la 
                            facoltà umana di guardare solo esteriormente, perché 
                            si tratta piuttosto della capacità di ricordare, di 
                            vedere con gli occhi del passato. Pur parlando di 
                            temi di grande importanza, questo è un film 
                            godibile, con aspetti umoristici e a tratti 
                            commovente. La pellicola di Liev Schreiber 
                            (consigliata davvero a tutti) è uno dei film più 
                            belli che parlano di Shoah, proprio perché 
                            richiedono allo spettatore un coinvolgimento attivo 
                            nella "ricerca" di Safran Foer , infatti la sua non 
                            è una semplice attività di testimonianza, come in 
                            Schindler's list o nel Pianista, film pur sempre di 
                            grande rilevanza, nel loro genere.
 
 Sonia Cincinelli
 
 
 Sussurri e grida
 
 Sussurri e grida (1972) è il capolavoro indiscusso 
                            di Ingmar Bergman. Questo progetto comune scaturì da 
                            un sogno del regista stesso che aveva per 
                            protagoniste tre sorelle ed una vecchia casa.
 Agnes (Harriet Anderson) è in fin di vita dopo 
                            dodici anni di lotta contro il cancro; vive 
                            nell'antica casa di famiglia con la domestica Anna (Kary 
                            Sylwar) e le sorelle che sono accorse al suo 
                            capezzale,Karin (Ingrid Thullin)e Maria (l'attrice 
                            musa di una vita Liv Ullman).
 Quattro figure femminili, quattro differenti 
                            personalità. Nell'impenetrabile silenzio della villa 
                            alla periferia di Stoccolma, il contrasto tra due 
                            opposte polarità:i sussurri e le grida, la 
                            giovinezza e la maturità, il bene ed il male ed 
                            infine la fede religiosa e l'ateismo.
 Bergman ci mostra l'isolamento,l'alienazione, 
                            l'angoscia della società svedese, meditando sulla 
                            vita e la morte. Un film perfetto formalmente con un 
                            rigore minimalista nell'uso semiotico dei colori e 
                            sobrio nella costruzione. Esso trae la sua forza 
                            nell'uso evocativo e violento delle immagini, lente 
                            e sontuose, che contrastano con l'inaccettabilità 
                            delle situazioni limite come l'agonia di Agnes e 
                            l'automutilazione di Karin.La denuncia spicca dei 
                            valori borghesi ma emerge ancor di più la triste 
                            condizione di una donna appesa tra la vita e la 
                            morte. Le vere urla nel film non sono quelle della 
                            malata di cancro,ma il pianto del prete, delle 
                            sorelle, le confessioni di aridità e disgregazione 
                            che rivelano l'incapacità di una comunicazione 
                            duratura, tema caro al film Il posto delle fragole. 
                            Le sofferenze che diventano ferocia reciproca in una 
                            condizione di vita sopportata come vizio. Anna è 
                            l'unica figura capace di pietà nella sua vita 
                            semplice e nella morte ed il suo essere culminerà 
                            visivamente in una splendida pietà michelangiolesca.
 Bergman ci ha regalato questo pezzo di "poesia 
                            visiva decadente" degna di rappresentare 
                            simbolicamente un'intera carriera.
 
 Sonia Cincinelli
 
 
 Transylvania
 
 Transylvania di Tony Gatlif,il regista tzigano, 
                            è la storia di una ragazza milanese ribelle, 
                            Zingarina (Asia Argento) innamorata di un musicista 
                            scomparso, che viaggiando insieme con l'amica Marie 
                            (Amira Casar), va alla ricerca dell'amato. Quando lo 
                            trova, lui la respinge. La follia amorosa le fa 
                            proseguire il viaggio, insieme con Tchangalo (Birol 
                            Unel) un turco solo come lei. Zingarina a poco a 
                            poco si identifica con il Paese che attraversa e 
                            partorisce in auto dolorosamente, riposando infine 
                            accanto a suo figlio lietamente. Gatlif, riprende un 
                            paesaggio innevato desolato, innamorandosi della 
                            geografia, ci mostra superstizioni, esorcismi, riti 
                            pagani con Asia Argento piena di enfasi che culmina 
                            arrivando ad urlare "Bandiera rossa" in bicicletta. 
                            Il film è ambientato in Romania al confluire della 
                            Russia e dell'Ungheria, dove abitano diverse 
                            comunità (anche rom o tedesche), una terra piena di 
                            simboli. Come accade spesso nei film di Tony Gatlif; 
                            questo è il suo quindicesimo lungometraggio, la 
                            musica e la danza nutrono, muovono, arricchiscono la 
                            storia, accompagnando e suscitando le passioni. 
                            Immagini coloratissime e musiche calde. Il film che 
                            era stato scelto per chiudere il Festival di Cannes 
                            del 2006,ci parla della gente senza frontiera, un 
                            viaggio, grazie al quale non mutano soltanto i 
                            panorami e gli ambienti, ma le fisionomie dei 
                            personaggi, i loro rapporti con gli altri e con la 
                            vita. Forse, narrativamente, non tutto è espresso in 
                            modo convincente (troppe lacune che non è facile 
                            definire ellissi), ma ugualmente ci prende questo 
                            clima così appassionato.
 
 Sonia Cincinelli
 
 
 TSOTSI
 
 TSOTSI di Gavin Hood, significa "bandito" nel 
                            linguaggio di strada della periferia di 
                            Johannesburg, è il soprannome di un giovane ragazzo 
                            che ha rimosso ogni ricordo del suo passato, 
                            compreso il suo vero nome. Egli conduce una vita 
                            all'insegna della violenza; riempie di botte un 
                            compagno della sua gang perché gli fa troppe 
                            domande, ruba un'automobile, ferendo la donna che la 
                            guidava, ma scopre sul sedile posteriore la presenza 
                            di un neonato. A modo suo Tsotsi incomincerà a 
                            prendersi cura di lui.
 Tratto da un romanzo di formazione ambientato negli 
                            anni '50, dello scrittore e drammaturgo Athol Fugard. 
                            La storia è stata trasposta nell'attualità perché i 
                            temi affrontati sono universali e senza tempo: la 
                            consapevolezza di sé e la redenzione. Lo stile è 
                            quello di un thriller psicologico che strizza 
                            l'occhio al noir con finale alternativo, in cui il 
                            protagonista sarà costretto a confrontarsi con la 
                            propria natura aggressiva e ad affrontare le 
                            conseguenze delle proprie azioni. Gli attori parlano 
                            il linguaggio-slangs delle strade di Soweto e il 
                            mondo di Tsotsi è un mondo di contrasti: 
                            baracche/grattacieli, ricchezza/povertà e 
                            rabbia/dolore. I personaggi hanno un'anima duplice: 
                            dietro alla corazza di rabbia e violenza si cela la 
                            loro umanità, il loro grido di aiuto e di 
                            attenzione. Un film globalizzato, siamo in Africa, 
                            ma potremmo essere nel Bronx newyorkese, la colonna 
                            sonora sembra la versione esotica dell'hip-hop dei 
                            ghetti statunitensi che con l'ottimo montaggio danno 
                            un bel ritmo al film. Nessun accenno all'apartheid 
                            anzi, qui gli unici ricchi che si vedono sono di 
                            colore. Poetici sguardi tra Tsotsi e Miriam, la 
                            giovane vedova che accudirà il bambino, che 
                            ammutoliscono; facendoci percepire la forza 
                            dell'amore come cura. Un viso e uno sguardo, quelli 
                            del protagonista impenetrabili. Ultimo dei cinque 
                            film "stranieri" candidati all'Oscar 2006 ad uscire 
                            in Italia.Un bel film da vedere.
 
 Sonia Cincinelli
 
 
 Tutta la vita davanti
 
 Tutta la vita davanti, ultima fatica di Paolo Virzì,pellicola 
                            distribuita da Medusa in 350 copie in tutta la 
                            penisola, uscito in piena campagna elettorale.
 Il film racconta il moderno problema del precariato, 
                            nello specifico mostra il tempio 
                            dell'indeterminatezza professionale di molti giovani 
                            italiani: un call center dove a lavorare sono 
                            ragazzi con tante speranze ma poche prospettive 
                            concrete.
 Il film accompagnato dalla voce narrante di Laura 
                            Morante, ci introduce nel mondo di Marta, Isabella 
                            Ragonese, reduce dal successo di Nuovomondo di 
                            Crialese. Quest'ultima,ventenne siciliana che dopo 
                            aver conseguito brillantemente la laurea in 
                            filosofia, viene catapultata suo malgrado nell'amara 
                            realtà lavorativa.
 Virzì delinea una periferia romana che sembra aliena 
                            dal resto del mondo dove si consuma la follia 
                            apocalittica della disgregazione umana e dove fanno 
                            la loro apparizioni personaggi fobici egregiamente 
                            interpretati da Elio Germano,Sabrina Ferilli e 
                            Massimo Ghini; ma anche ribelli come Valerio 
                            Mastrandrea, che non ci stanno ad assistere a questa 
                            assurdità che si chiama precariato.
 Tutto questo esaltato dalla struggente 
                            interpretazione di Micaela Ramazzotti che interpreta 
                            Sonia, ragazza madre costretta a prostituirsi dopo 
                            il licenziamento.
 Forse da parte di Virzì, per trattare questo 
                            argomento scottante dei nostri giorni, sarebbe stato 
                            preferibile uno sguardo cinema veritè, ma ricordiamo 
                            che il cinema è sia Lumière che Méliès e quindi gli 
                            "inserti" dei sogni di Marta ci avvertono che di 
                            fronte al crollo sociale non si può che auspicarci 
                            un'altra realtà.
 Film consigliato soprattutto a tutti coloro che 
                            hanno vissuto l'esperienza del precariato.
 
 Sonia Cincinelli
 
 
 GOMORRA
 
 Gomorra, ultimo film di Matteo Garrone che ha 
                            trionfato a Cannes accaparrandosi il Gran Premio 
                            della Giuria. Qui Totò ha tredici anni, aiuta la 
                            madre a portare la spesa a domicilio nelle case del 
                            vicinato e sogna di affiancare i grandi, quelli che 
                            girano in macchina invece che in motorino, che 
                            contano i soldi e i loro morti. Ma diventare grandi, 
                            a Scampia, significa farli i morti, scambiare 
                            l'adolescenza con una pistola. O magari, come accade 
                            a Marco e Ciro, trovare un arsenale, sparare 
                            cannonate che ti fanno sentire invincibile. Puoi 
                            mettere paura, ma c'è sempre chi ne ha meno di te. 
                            Impossibile fuggire, si sta da una parte o 
                            dall'altra, e può accadere che la guerra immischi 
                            anche Don Ciro (Imparato), una vita da tranquillo 
                            porta-soldi, perché gli ordini sono mutati, il clan 
                            s'è spezzato in due. Si può cambiare mestiere, ma 
                            non si può uscire dal Sistema che tutto sa e tutto 
                            controlla. Quando Roberto si lamenta di un posto 
                            redditizio e sicuro nel campo dello smaltimento dei 
                            rifiuti tossici, Franco (Servillo), il suo datore di 
                            lavoro, lo ammonisce: non creda di essere migliore 
                            degli altri. Funziona così, non c'è niente da fare.
 Matteo Garrone porta sullo schermo Gomorra, 
                            libro-scandalo di Roberto Saviano che in Italia ha 
                            venduto oltre un milione di copie, aprendo il 
                            sipario sulla luce artificiale e ustionante di una 
                            lampada per camorristi vanitosi ed esaltati. Il sole 
                            non illumina più le province di Napoli e Caserta, 
                            impossibile rischiarare questa terra buia e 
                            straniera al punto che gli italiani hanno bisogno 
                            dei sottotitoli per decifrarla. Siamo in un altro 
                            paese: all'inferno. Un film freddo scarno, 
                            probabilmente il regista si ispira alla suo primo 
                            cortometraggio Terra di Mezzo, un po' nella 
                            struttura e nelle modalità di linguaggio. Le due 
                            scene più belle degne di diventare vere e proprie 
                            icone quella in cui Marco e Ciro sparano verso il 
                            mare nudi , pura poesia Pasoliniana e infine quella 
                            in cui Franco e Roberto escono da una discarica con 
                            delle tute fluorescenti estremamente oniriche. Un 
                            vero capolavoro.
 
 Sonia Cincinelli
 
 
 NAZIROCK
 
 Nazirock documentario di Claudio Lazzaro sui giovani 
                            neofascisti. Il film doveva essere proiettato il 2 
                            Aprile 2008 in anteprima al cinema Anteo di Milano e 
                            dal 4 Aprile 2008, per due settimane, al Politecnico 
                            Fandango di Roma. Invece da Forza Nuova arrivò una 
                            diffida che invitò le sale a rinunciare alla 
                            programmazione. I motivi: il film conterrebbe 
                            "immagini, affermazioni, frasi, scene, 
                            ricostruzioni, gravemente diffamatorie del 
                            movimento". Nazirock è uno spaccato del mondo 
                            neofascista italiano attraverso la musica, i raduni, 
                            gli scontri, il look dei giovani che aderiscono 
                            all'estrema destra. Il film apre con le immagini dei 
                            "due milioni" convocati a Roma dall'opposizione al 
                            governo Prodi, il 2 dicembre 2006, ma soprattutto 
                            racconta la Nashville dell'estrema destra: una 
                            grande manifestazione, organizzata da Forza Nuova, 
                            il movimento guidato da Roberto Fiore (condannato a 
                            nove anni per banda armata), che si è svolta a 
                            Viterbo, nel Lazio, con la partecipazione dei 
                            principali gruppi rock assieme a militanti e a 
                            leaders provenienti da Spagna, Germania, Francia, 
                            Grecia, Libano e Romania. Niente film in sala 
                            dunque, ma la copia in dvd resisterà in vendita 
                            presso le librerie Feltrinelli, film più libro. "Il 
                            cinema - afferma Lazzaro - dovrebbe essere uno 
                            spazio di libertà, mi dispiace che si preferisca 
                            annegare il film nella censura basata sulle 
                            minacce". Nazirock usa come filo conduttore le band 
                            che infarciscono di testi fascisti la loro musica 
                            skin, oi, white power e punkadestra; con materiali 
                            di repertorio che ricordano gli orrori e le 
                            distruzioni provocati da un'ideologia portatrice di 
                            morte e vergogna. Un incubo che lascia spiazzati, 
                            perché la domanda è sempre la stessa: "Possibile che 
                            la storia non riesca a insegnare nulla?".
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