Eventi  -  Redazione  -  Numeri arretrati  -  Edizioni SDP  -  Indice generale  -  Letture pubbliche  Blog  

  Indice   -[ Editoriale | Letteratura | Musica | Arti visive | Lingue | Tempi moderni | Redazionali ]-


Libri a fumetti

Misteriosi assassini e folli geniali: L'arte di Alan Moore tra fumetto e cinema
recensione di Andrea Cantucci

Pittura

“Pulcinella smascherato”: intervista ad Aniello Scotto
di Massimo Acciai
Magritte, l’impero delle luci
di Maddalena Lonati

Fotografia

Newton: Sex and lanscapes
di Maddalena Lonati
Intervista a Mario Di Bonito
di Rossana D’Angelo

Scultura

Finalmente Uomo: Intervista al Maestro Silvano Bulgari
di Maddalena Lonati

Magritte, l’impero delle luci
 

di Maddalena Lonati


“La pittura è soltanto un mezzo che mi permette di portare alla luce un pensiero grazie all’utilizzo di elementi presi al mondo visibile.” Magritte
Le suggestive sale settecentesche di Villa Olmo ospitano un’ampia ed articolata rassegna dell’opera di Magritte, Maestro della sorpresa e dell’incanto, del mistero e della poesia. L’esposizione inizia con “L’amazzone”, dipinto nel quale si accosta al naturalismo una costruzione cubista, e prosegue seguendo la nascita del suo improbabile universo declinato via via secondo le tendenze metafisiche, surrealiste, simboliste, fauviste, ma sempre filtrandole attraverso il suo personalissimo stile. E’ luogo comune ritenere che le esperienze traumatiche costituiscano un bacino inesauribile al quale gli artisti costantemente attingono, ma nel caso di Magritte ciò è vero: il suicidio della madre, avvenuto quando lui era appena adolescente, verrà rielaborato in numerose sue tele. Ella fu trovata annegata con la testa avvolta nella camicia da notte, e questa immagine velata entrerà a far parte delle sue icone ricorrenti. I suoi soggetti, sebbene vari, ripropongono spesso gli stessi elementi assemblati in modo diverso: i nuvolosi cieli del Nord che fecero coniare a Max Ernst il motto “ Fa un tempo Magritte”, il mare e l’aperta campagna, gli alberi stilizzati e il bosco incantato, i notturni, i sobborghi, gli alfieri, un certo stereotipo di borghesia dell’epoca, languide dame e l’uomo in bombetta, colombe, sonagli, sfere, mele. Le classificazioni non riescono a circoscrivere l’impronta, unica, che caratterizza le sue opere donando loro una forza sovversiva strabiliante. Egli trasfigura la realtà quotidiana di improbabilità, con freddezza ed apparente rigidità accademica, elevandola a dimensione magica e trasmettendo la sensazione di attesa angosciata di qualcosa che incombe. Nel 1925 il pittore fu folgorato dal “Canto d’amore” di De Chirico, visse l’assurda composizione di oggetti come un’esplosione di percezione ed un modo nuovo di reiventare il mondo sensibile. La pittura del belga diventa la grammatica di un linguaggio alternativo che destabilizza e affascina lo spettatore creando sequenze di associazioni di idee impreviste. E’ sconcertante che i suoi oggetti si rifiutino di assolvere alle normali funzioni ma, attraverso il paradosso, le icone equivalgono ad atti di pensiero visivo, dunque svincolate dalla necessità. Talvolta inscena conflitti fra i soggetti e gli elementi della natura suscitando l’impressione della fine della civiltà ed un ritorno alla barbarie, ma anche quando mitiga questi effetti estremi aleggia sempre un senso di minaccia. Il concetto di rêverie di Bachelard come maggiore potenzialità dell’essere, in grado di integrare ed espandere la conoscenza umana, si avvicina molto alla filosofia di Magritte. E’ una sorta di dilatazione dell’essere che fa approdare l’uomo ad una dimensione magica svincolata dalla logica. Egli riesce a trasportare lo spettatore in questo mondo paradossale senza ricorrere alla tecnica di Dalì, quadri realistici ma in sé assurdi, preferendo invece smaterializzare piuttosto che concretizzare; l’illusionismo comune ai due artisti è giocato su piani diversi, infatti il belga si esclude dal registro della pittura per entrare in quello, totalmente cerebrale, dell’immagine. Magritte, sebbene molto vicino, in certe sue fasi, al surrealismo, è profondamente legato alla cultura simbolista che gli ha sempre fornito fonti d’ispirazione, a partire dai dipinti di Khnopff. Egli lavorò molto alla giustapposizione di soggetti non correlati fra loro, come ne “ Il volto del genio”, “Il matrimonio di mezzanotte”, “ La nascita dell’idolo”, ma poi si affidò alla strategia della trasformazione, come ne “Il modello rosso”, ma sempre, le sue immagini, nascono da un gioco ironico di accostamenti che implicano l’idea del collage, visto come un “ incontro fortuito di due irrealtà incompatibili, su un piano estraneo ad entrambe”. Egli sovente giustappone banali immagini estratte dalla quotidianità cercando di riconciliare realtà contraddittorie, ispirandosi ai versi di Lautréamont, poeta del diciannovesimo secolo, così come alle introspezioni di Freud. Il celeberrimo quadro “L’impero delle luci”, che dà il titolo alla mostra, fa coesistere un paesaggio notturno con un cielo diurno: gli elementi, presi singolarmente, rinviano ad un fatto banale ma, associati, creano meraviglia. La metamorfosi, processo a lungo indagato e sperimentato dai surrealisti, trova in Magritte un’espressione molto personale; una foglia che si tramuta in albero nell’” Incendie”, titolo preso da Balzac, le foglie che si tramutano in uccelli nell’” Ille du trésor”, con riferimenti a Stevenson, o nell’inquietante e malinconico “La saveur des larmes” dove dall’albero nasce un uccello con il corpo nervato come una foglia e mangiato da un bruco. Una serie di quadri appartenenti al suo periodo vache, quasi una parodia del fauve, ci dimostrano la sua estrema versatilità. In mostra anche una serie di calligrammi, così diversi da quelli di Mirò, nei quali la scrittura scompare nell’anonimato di una grafia standardizzata e segna la sconfitta del linguaggio come rappresentazione. Anche i titoli dei suoi quadri sono rilevanti, perché furono scelti in modo da impedire un approccio neutro all’opera, tuttavia spesso furono i suoi amici a deciderli durante le serate in cui si intrattenevano nel “gioco del titolo”. Magritte asserì :” Coloro che cerchino nella mia pittura significati simbolici non coglieranno la poesia e il mistero legati all’immagine.” E quindi seguiamo le indicazioni del suo genio e lasciamoci andare alle emozioni provocate dalla sua ode al paradosso senza costringerci a trovare elaborati significati, troppo spesso astrusi.

Magritte, l’impero delle luci
Dal 25 marzo al 16 luglio 2006- Villa Olmo, Como

Segreti di Pulcinella - © Tutti i diritti riservati