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Intervista ai Marcido Marcidorjs
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La musica come comunicazione teatrale: i Marcido Marcidorjs diventano musici

di Alessandro Rizzo


Ancora una volta al Teatro Verdi di Milano la compagnia teatrale di Torino, Marcido Marcidorjs, ci sorprende come spettatori rendendoci parte integrante del progetto narrativo della poetica teatrale, con la messa in scena di parte dell'"Opera da Tre Soldi" di Brecht e Weill. Sono figli musicanti degli attori di "Bersaglio du Molly Bloom" quei musici presenti sul palcoscenico: figli dello stesso padre, il regista Marco Isidori, il direttore di orchestra improvvisato di questa nuova kermesse sperimentale in senso moderno.
Ma la musica, la strumentazione varia e plurale, dalla chitarra alle percussioni, dal mandolino al tamburello, senza dimenticare le nacchere, il triangolo e lo xilofono, non è altro che funzionale alla comunicazione di messaggi ipertestuali, messaggi di indagine scientifica e critica sull'esistenza della finita miseria umana.
E' presente tutto l'esistenzialismo filosofico dei due autori classici, ma contornati da una impostazione comica e ironica responsabile e introspettiva, come in un cabaret neomoderno. Lo spettatore è, come in ogni rappresentazione dei Marcido, coinvolto sensazionalmente nello spettacolo: la mimica espressiva facciale dei cantori, la dinamicità della recitazione e la gestualità che supera la parola, rendendola nella sua essenzialità e semplicità significante, sono i veri strumenti narrativi. E' un esperimento scientifico, come testimonia lo stesso direttore d'orchestra, Marco Isidori, il demiurgo della rappresentazione scenica, sempre disadorna, in quanto la semplicità induce il pubblico a proseguire in un viaggio metastorico e atemporale, che dirige un concerto non normale, dove si riscontrano elementi che vanno aldilà di una semplice esecuzione canora.
La ricerca esistenziale dell'essere e la comunicazione delle sensazioni come metodo guida di descrizione di un immaginario atemporale è un elemento costante in Marcido Marcidorjs. Riprendere i classici come basi letterarie per promuovere un'indagine attiva, in cui lo spettatore sia protagonista di un viaggio verso l'eterna ricerca esistenziale.
Le sperimentazioni comunicazionali fondano la parte portante del laboratorio artistico dei Marcido, uno dei cui frutti artistici è stato posto in scena con Brecht e Weill. Ricordiamo, a proposito, "Bersaglio su Molly Bloom", promosso dalla compagnia all'inizio del 2004, sempre al Teatro Verdi di Milano, in cui Joice nell'ultimo capitolo del suo "Ulisse" viene rivisitato tramite un'impostazione scenica scarna, costituita solamente da un'alta e fitta trama di bende e fili.
Una sorta di idrovora policefala è quella inscenata, nel cui epicentro più alto abbiamo l'attrice Maria Luisa Abate, protagonista del racconto, Molly, appunto, contornata nelle sue esternazioni succinte da echi e parole dimezzate, pronunciate dal resto della compagine degli attori, imbrigliati nella poderosa macchina scenografica. La parola nelle rappresentazioni dei Marcido Marcidorjs diviene elemento fonico ricco di messaggi che comunicano delle emozioni: e tramite le sensazioni si riesce, in particolare in quest'ultimo spettacolo, a percorrere il dramma della donna, in quell'anno bisestile, in un continuo viaggio nel tempo senza tempo, senza spazio e senza contorni definiti, avanti e indietro nella continua ricerca psicologica e antropologica di sé, fino a giungere a sedici anni prima, momento in cui Molly ha detto sì a quell'uomo che, ora, nel grande complesso infinto dell'idrovora dalle mille bocche narranti, le giace addormentato al suo fianco. E' rappresentata tutta la forza verbale della sensazione come denuncia della miseria umana e delle sue contraddizioni.
Un teatro nuovo, come dice Isidori, è quello proposto dalla compagnia teatrale Marcido: come sempre non si accontentano di riprendere i classici della letteratura, ma vogliono porci elementi di riflessione creativa, finalizzata a dare una visione d'insieme di tipo poliedrico, dipingendo un aspetto diverso della realtà, rappresentando il non rappresentabile, cioè l'immaginazione. Vediamo molto dell'insegnamento tipico del teatro inglese di Brook: un teatro del mito storico riproposto sotto un'altra angolatura concettuale interpretativa.
E' il teatro attivo, dove il pubblico è partecipe dell'evento. E' un teatro magico che ammalia, stupisce ma che allo stesso tempo ci induce a riflettere: il linguaggio è fondamentale ed è nella sua identificazione tra vecchio e nuovo, tra classico e post moderno che è possibile detonare quel percorso artistico di introspezione del reale nelle sue più profonde caratteristiche. Brook diceva che un buon teatro è come un buon ristorante: la gente esce soddisfatta e con un minimo di speranza in più.
Direi che i Marcido Marcidorjs sono un ottimo ristorante teatrale artistico: in loro la positività del messaggio di Peter Brook vive in modo forte e si ripropone con grandezza. Offrendo al pubblico una possibilità in più di immaginare ancora. 

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