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Per una didattica come atelier del mondo
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L'Isola delle Rose
 

Massimo Acciai


Molti hanno sentito parlare di Esperanto, ma pochi sanno che - seppure per un breve periodo - una nazione in cui si parlava la lingua internazionale di Zamenhof è esistita davvero. In Esperanto esiste la parola "Esperantujo" che indica quell'ideale paese in cui si parla tale lingua, e in concreto la collettività degli esperantisti, sparsi in tutto il mondo. Scopo della lingua internazionale non è ovviamente quello di creare una nazione, ma di estendersi in tutto il mondo. Nel corso della sua storia, ormai più che centenaria, nessuna nazione l'ha adottata ufficialmente - con una sola eccezione: l'Isola delle Rose.
Colgo l'occasione della recente uscita in libreria del romanzo di Walter Veltroni ispirato a quella vicenda, "L'isola e le rose", presentato a Firenze il 16 settembre presso la festa del PD, per ricordare questa vicenda priva purtroppo di un lieto fine. La serata, a cui erano presenti anche il giornalista Massimo Gramellini e il sindaco Matteo Renzi, è stata tra parentesi molto deludente: del libro si è parlato pochissimo, e dell'Esperanto non è stato fatto neanche il nome. Quasi due ore di noiosissime chiacchiere sulle primarie e sul ritorno di Berlusconi tra cui, en passant, dieci minuti scarsi in cui si è parlato anche dell'Isola.
Il libro non l'ho ancora letto ma conoscevo la storia dell'Isola già da molto prima, anzi avevo in mente di scrivere qualcosa del genere anch'io: sono stato battuto sul tempo (gli amici a cui ne avevo parlato possono confermare). Avevo appreso la storia in ambiente esperantista, dove è ben nota.
Riassumendo in poche parole, la storia è questa. Nel 1968, in piena rivoluzione culturale, l'ingegnere italiano Giorgio Rosa, insieme ad altri ragazzi suoi amici, dà una realizzazione concreta ad un'utopia: uno stato indipendente, basato sui principi di fratellanza e pacifismo che sono propri anche della lingua di Zamenhof, in cui tale lingua fosse usata come lingua ufficiale. L'Isola in realtà era una piattaforma artificiale costruita in acque internazionali, a 11 chilometri al largo di Rimini: l'ingegnere Rosa proclamò l'indipendenza dello stato il 1° maggio del '68, costituendo quella che in gergo tecnico viene chiamata "micronazione". Prendendo il nome ufficiale di "Repubblica Esperantista dell'Isola delle Rose" (in Esperanto "Esperanta Respubliko de la Insulo de la Rozoj"), la neonata nazione di dotò di una sua bandiera, un suo governo, una sua moneta, perfino un'emissione di francobolli (divenuti in seguito una rarità filatelica).
Molta gente iniziò a visitare l'Isola, e questo fatto positivo segnò anche la fine dell'utopia realizzata: lo stato italiano, che in teoria non avrebbe dovuto avere nulla da ridire sulla cosa - essendo la piattaforma in acque extra nazionali - progettò in breve tempo l'occupazione militare e lo smantellamento dell'Isola, avvenuto con l'esplosivo nel febbraio dell'anno successivo. Non essendo stato riconosciuto ufficialmente da nessuna nazione, il governo italiano - preoccupato per le mancate entrate fiscali di quello che considerava comunque un pezzo d'Italia - si comportò vigliaccamente da invasore senza scrupoli, nonostante le proteste degli abitanti dell'Isola presso le autorità italiane e le numerose manifestazioni di solidarietà da parte di riminesi e non solo. L'Isola affondò, ma non l'ideale che l'aveva fatta nascere, tant'è che se ne parla ancora a distanza di oltre quarant'anni. Gli ideali non si fanno saltare con l'esplosivo, sono immortali.

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