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Istruzione (da "La nevicata")
 

Michele odiava la scuola. L'aveva sempre odiata, fin dal primo giorno alle elementari. L'aveva poi detestata alle medie, l'aveva maledetta alle superiori e perfino l'università aveva aborrito pur frequentandola e riuscendo a laurearsi in lettere entro i termini stabiliti. Era sempre stato uno studente mediocre, attento a non essere bocciato o rimandato in nessuna materia solo per non prolungare ulteriormente quel tormento. Faceva solo quanto era sufficiente, e non di più. Mirare ad un voto superiore al sei lo riteneva una sciocca perdita di tempo. Le materie non lo interessavano, ciò che lo interessava lo trovava tutto al di fuori della scuola, nelle sue letture private. Aveva attraversato gli anni di scuola come chi passa, un giorno di pioggia, per una strada che conosce bene, con gli occhi bassi, nascosti nell'ombra e il cuore rivolto ad un giorno lontano: quello della libertà. Aveva anche scritto qualche verso su questo tema.
Non poteva soffrire la scuola, ma non tanto i professori come categoria - beh, sì alcuni li avrebbe consegnati a qualche killer: ciò che però rifiutava era proprio il sistema scolastico in sé. Altro che riforma Gelmini ci voleva; l'avrebbe fatta lui una bella spianata dell'istituzione scolastica! Una bella scossa sismica (in senso metaforico) per demolire tutto l'edificio fatiscente e ricostruire tutto da capo.
La visione della scuola che aveva Michele non avrebbe incontrato nessuna approvazione, soprattutto da parte dei professori, e lo sapeva bene, perciò non parlava mai di questo argomento e cercava di sfuggirlo appena s'intravedeva all'orizzonte. Pure talvolta avrebbe avuto voglia di scriverci un trattato, un giorno o l'altro, e considerò con divertimento la strana ironia che lo aveva portato là, in quell'hotel sperduto in compagnia di professori e professoresse, ancora operanti o in pensione. Si sentiva un po' lo straniero interno, nascosto, che sorride tra sé al pensiero "se sapessero…". Vedere i volti di quegli insegnanti raccontarsi di gite scolastiche fantozziane e sentirli lamentarsi delle proprie classi e stipendi lo divertiva ed irritava al tempo stesso.
Immaginava così una conversazione proprio con quel "povero" professore che guadagnava 1800 euro al mese (una cifra che lui non guadagnava nemmeno in tre mesi, quando andava bene), e si immaginava di scandalizzarlo con il suo modello utopico di istruzione: niente esami, niente classi, niente compiti, niente voti e nessun programma ministeriale. Solo un maestro ed un allievo, in assoluta parità, che insegnano l'uno all'altro, a turno, ciò che sanno. Se solo i professori ammettessero di poter imparare qualcosa anche dai loro allievi… ma Don Milani era ancora avanti con i tempi, dopo quattro decenni dalla sua morte, e lo stesso prete di Barbiana "imponeva" i suoi ritmi e le sue materie, insomma la sua autorità, ai bambini e ragazzi che istruiva nel suo paesello sperduto del Mugello.
No, lui avrebbe fatto tutto diverso. Avrebbe innanzitutto aperto la nuova scuola solo a chi davvero desideroso di imparare. Niente studenti svogliati, costretti a stare sui banchi quando proverebbero davvero molta più soddisfazione anche solo ad andarsene a passeggio o a fare qualche semplice lavoro che non richiede una preparazione particolare. Loro se ne restino pure fuori, che sarebbero solo un disturbo per gli altri e soprattutto perdono tempo loro stessi. Istruirsi dovrebbe essere soprattutto una scelta e l'ignoranza un diritto (sì, proprio così - udite bene - un diritto! Ben inteso, non l'ignoranza delle regole del vivere civile, dei propri diritti e doveri di cittadino e di uomo o donna; quella sarebbe l'unica materia obbligatoria, impartita a tutti gratuitamente); cosa gliene frega ad esempio ad un aspirante ragioniere di chi era Napoleone o Giulio Cesare? Non gli serve per il proprio lavoro, se è interessato alla Storia può comprarsi dei libri o andare in biblioteca a soddisfare la propria curiosità.
Avrebbe organizzato la scuola sul modello un po' delle università, in cui ognuno si sceglie il proprio percorso, le proprie materie preferite, ma senza esami e senza la superiorità tra insegnanti e studenti, e avrebbe messo invece gli insegnanti a disposizione degli studenti - al loro servizio - per fornire tutte le nozioni che loro stessi gli avrebbero richiesto. Immaginava una lezione come una conferenza in cui il professore-relatore parlava e gli studenti-ascoltatori facevano domande. Ribaltare i ruoli: il professore diventava l'interrogato e, se non soddisfaceva le richiese, semplicemente veniva abbandonato dai suoi studenti i quali sarebbero andati a cercarsi qualcuno più bravo di lui. Non era già così nei corsi privati che si seguono per diventare fumettisti o programmatori?
Immaginava una scuola di base, simile a quella tradizionale solo nell'impostazione delle classi e nell'obbligatorietà: una scuola per imparare a leggere e a scrivere, di durata variabile a seconda della velocità di apprendimento del bambino. Ci si sarebbe potuti ad esempio andare a cinque o a sei anni, o anche a quattro se uno era un piccolo genio, ed uscirne a otto o nove, quando si era in grado di scrivere e leggere quel tanto per proseguire poi per conto proprio se uno desiderava farsi una cultura da autodidatta, che sarebbe stata considerata sullo stesso piano di quella "ufficiale" scolastica.
Michele aveva conosciuto troppe persone che erano state poco a scuola e che pure ne sapevano come e forse più di professori universitari per mettere in dubbio la validità della cultura da autodidatta. Erano in effetti le più motivate, i lettori più voraci, le menti più brillanti, le più curiose e le più assetate di sapere. Lui stesso aveva una certa cultura da autodidatta, anche senza raggiungere tali vette, e l'avrebbe sviluppata di più se non avesse perso tempo a scuola.
Ma in fondo non era tempo perso, e non poteva essere diversamente. La scuola era obbligatoria fino a quattordici anni, quando aveva terminato le medie, ed aveva scelto di andare alle superiori e poi all'università solo nell'illusione che un "pezzo di carta" lo aiutasse a trovare un lavoro migliore di quello di cui si era dovuto accontentare. Vana speranza, ma solo col seno di poi. Soltanto l'università gli aveva dato una qualche soddisfazione, anche se trovava scandaloso il comportamento di molti professori che disertavano i ricevimenti e le lezioni e che utilizzavano il tempo loro pagato dalle tasse universitarie per scrivere romanzi o per apparire in televisione. Ladri di stipendi.
Certo, c'erano le eccezioni. Ci sono sempre le eccezioni. Aveva conosciuto anche dei buoni insegnanti, in qualche modo "costretti" dal loro ruolo a scrivere voti sul registro e ad interrogare, ma che - sospettava - in fondo non la pensassero molto diversamente da lui. C'era anche chi non aveva la pretesa assurda di "formare" una persona ma si limitava ad insegnare la sua materia lasciando che fosse la vita stessa, quella che comunque scorre anche e soprattutto fuori dalle aule, a formare l'allievo. Perché è la vita la maestra che ci impone le sue regole, e chi è davvero libero è maestro di sé stesso. Come può un perfetto sconosciuto - stipendiato magari a 1800 euro al mese - arrogarsi tale diritto?
Non era anzi spesso la scuola ad allontanare, anziché avvicinare, i giovani dall'amore per la lettura?
A Michele era successo proprio questo. Lui era un forte lettore malgrado la scuola. Aveva scoperto il piacere di leggere proprio dopo il diploma, quando aveva avuto un po' di respiro. Nel giro di un'estate, a diciannove anni, si era trasformato in un lettore vorace ed onnivoro, spesso disordinato, che pure quando voleva sapeva organizzarsi una serie di letture progressive ed ordinate su un certo argomento che gli stava particolarmente a cuore. Aveva imparato ad insegnare a sé stesso, attraverso i libri. E anche attraverso Internet, perché no? Non era il web una buona imitazione della biblioteca infinita di Babele immaginata da Borges nel suo celebre racconto? Non era la biblioteca di tutte le biblioteche, quella che contiene perfino testi che non si troveranno mai in nessun libro? Non era davvero un oceano quasi sconfinato di informazioni in cui, appunto, navigare?


Massimo Acciai
direttore di Segreti di Pulcinella

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Un ringraziamento agli autori che ancora una volta hanno inviato il loro prezioso contributo a questo numero. Li invito di nuovo, insieme agli altri autori che ancora non hanno trovato spazio sulle pagine elettroniche di SDP, ad inviare le loro opere entro il
28 febbraio 2013. Il prossimo tema: La crescita.

Massimo Acciai
Direttore di Segreti di Pulcinella

Contatore visite dal 6 giugno 2011
 
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