Eventi  -  Redazione  -  Numeri arretrati  -  Edizioni SDP  -  e-book  -  Indice generale  -  Letture pubbliche  -  Blog  -  Link  

  Indice   -[ Editoriale | Letteratura | Musica | Arti visive | Lingue | Tempi moderni | Redazionali ]-


Libri a fumetti

Joe Kubert: Opere di un maestro scomparso
Articolo di Andrea Cantucci

Cinema

In questo numero presentiamo:
Prometheus
di Mario Gardini
Ribelle - The brave
di Mario Gardini
Skyfall
di Mario Gardini
Vendetta e pietà
di Maria Antonietta Nardone

Fotografia

Un fotografo dell'istinto e di geometrie variabili: oltre il reale l'arte di Federico Pia
A cura di Alessandro Rizzo

Insert coin

In questo numero:
Cacciatori di tutto il mondo, unitevi
Borderlands 2
LittleBigPlanet PSVita
Booktrailer

Booktrailer

Booktrailer Online Awards

Arte contemporanea

Il doppio volto di Firenze
di Luca e Alessandro

Miti mutanti 18

Strisce di Andrea Cantucci

Un artista a Coverciano 4

Strisce di Luca Mori

Joe Kubert: Opere di un maestro scomparso

 

Andrea Cantucci
tratto da www.comicscode.net

Per ingrandire le immagini cliccarci sopra


Nel volgere del 2012 sono purtroppo scomparsi tre dei più grandi autori della storia della letteratura disegnata, ognuno esponente fondamentale di una delle tre principali scuole del fumetto occidentale: il francese Jean Giraud (alias Moebius), l'italiano Sergio Toppi e lo statunitense d'origine polacca Joe Kubert. Di quest'ultimo, eccezionale insegnante di Fumetto oltre che disegnatore e scrittore, ripropongo una mia biografia aggiornata e una "recensione" sul suo Tarzan (uno dei migliori di tutti i tempi), in occasione della nuova edizione in volume appena pubblicata in Italia dalla Magic Press.

Joe Kubert, nacque il 18 settembre 1926 a Yzeran, una piccola località della Polonia, da una famiglia ebraica. Suo padre Jacob era un macellaio kosher, il ché significa che doveva preparare le carni, secondo le prescrizioni delle sacre scritture, per gli ebrei strettamente osservanti. In virtù di questo ruolo, la sua posizione sociale nella piccola comunità di Yzeran poteva dirsi benestante, ma voleva dare maggiori opportunità alla sua famiglia e decise di trasferirsi negli Stati Uniti. La prima volta avevano tentato il viaggio nella primavera del '26, ma a Southampton le autorità inglesi avevano rifiutato loro il visto per imbarcarsi, perché sua madre Etti era incinta di Joe, ed erano dovuti tornare indietro per attendere la sua nascita.
Joe aveva due mesi, quando finalmente la sua famiglia emigrò a New York, stabilendosi nel quartiere di Brooklyn. Anche qui suo padre lavorò come macellaio kosher, mentre sua madre prestò servizio presso la comunità ebraica.

Cominciò a disegnare fin da quando aveva due o tre anni di età, e mentre cresceva i suoi genitori lo incoraggiarono a coltivare il suo talento. A tre o quattro anni, i vicini gli compravano i gessetti per disegnare per strada.
Si appassionò ai fumetti fin da prima che sapesse leggerli, solo guardando le figure delle strisce sui giornali degli anni '30. Gli autori che più lo influenzarono furono quelli realistici, soprattutto Harold Foster, Alex Raymond e Milton Caniff.
I suoi genitori raccontavano spesso a lui e alle sue quattro sorelle le storie del "Vecchio Paese", la terra d'origine che non poteva ricordare, e dei bei tempi felici vissuti laggiù. Ma verso la fine degli anni '30, l'immagine idilliaca che poteva ancora associare al suo luogo natale fu sostituita da un incubo. Vari amici e parenti giunsero dalla Polonia dopo essere fuggiti dai campi di sterminio nazisti, e raccontarono quello che succedeva laggiù, le persecuzioni antisemite e l'Olocausto. I ricordi di quelle storie, di cui non poteva ancora afferrare interamente tutto l'orrore, si impressero indelebilmente nella sua mente. Il suo paese natale oggi non esiste più, è stato completamente spazzato via, e il pensiero di quello che sarebbe successo a lui e alla sua famiglia se vi fossero rimasti, lo ossessionò per moltissimo tempo, facendogli però anche constatare l'enormità della sua fortuna.

Il suo primo lavoro retribuito per gli albi a fumetti, risale al 1938, quando aveva circa dodici anni (!). Fece apprendistato prima presso lo studio di Will Eisner e poi in quello di Harry Chesler, che aveva conosciuto frequentando la High School of Music and Art di Manhattan. Nel 1940 già guadagnava più di suo padre e nel 1942, a soli sedici anni, pubblicò le prime storie di sua creazione.
Inizialmente collaborò con i comic book di case editrici minori, come Holyoke Group, MLJ Publications e Quality Comics, ma nel 1943 entrò in pianta stabile alla National Periodical Publications (la DC Comics di allora), con cui manterrà sempre un rapporto privilegiato. Tra le principali serie a cui collaborò negli anni '40, ci furono Johnny Quick, Shining Knight, Doctor Fate, Flash, Zatara e soprattutto Hawkman, che è considerato il suo capolavoro di questo periodo, ma lavorò anche a qualche episodio di Superman.
All'inizio degli anni '40, quando aveva sedici o diciassette anni, si trasferì con la famiglia nel New Jersey, dove suo padre divenne saldatore, lavorando alla costruzione delle navi. È probabile che il "grande salto" (come lui lo definisce) da uno dei quartieri più poveri di New York a un altro stato, fosse stato reso possibile anche dal suo lavoro di cartoonist.

Nel periodo della guerra di Corea, dal 1950 al 1952, prestò servizio nell'esercito e per un anno fu di stanza in Germania. Al congedo tornò a produrre fumetti, per editori come la Harvey e la EC Comics. A questo periodo risale la sua prima storia di guerra: "Tide" (Marea), pubblicata sull'albo Two-Fisted Tales nel 1953.
A partire dallo stesso anno, insieme a Norman Maurer, si occupò di adattare ai fumetti, per l'editore Archer St.John, la tecnica del cinema in 3-D, che all'epoca furoreggiava negli Stati Uniti. Il primo albo "in rilievo" che produssero fu Mighty Mouse (il super topo tratto dai cartoni animati di Paul Terry), che vendette più di un milione di copie e lanciò una nuova moda del settore.
Contemporaneamente, la St.John gli lasciò un'ampia libertà per la creazione di un nuovo personaggio, di cui poté realizzare testi, disegni, colori e (addirittura) possedere i diritti. Il risultato fu la serie preistorica Tor of 1,000,000 Years Ago (Tor di un milione di anni fa), dove cominciò a sviluppare elementi che si ritroveranno in molte sue opere: la natura selvaggia, la lotta per la sopravvivenza e il dinamismo dell'azione. Ma Tor non durò a lungo, così come la moda del 3-D, che era stato applicato anche alle sue storie.

Subito dopo tornò alla DC, creando l'eroe storico Viking Prince (Il Principe Vichingo), un probabile omaggio al Prince Valiant di Foster, che proseguì per alcuni anni con un discreto successo.
Nel 1956 collaborò con Kanigher e Infantino, inchiostrando la seconda versione di Flash, e in seguito ad altre serie come quella del viaggiatore del tempo Rip Hunter, mentre nel 1961 esordì con i suoi disegni il nuovo Hawkman, che lo scrittore Gardner Fox e il supervisore Julius Schwartz avevano trasformato da supereroe egizio a poliziotto alieno, in un misto di epica e fantascienza. Lo stile di Kubert, ormai completamente maturo e riconoscibile, decretò il successo dei primi episodi, ma l'anno seguente i troppi impegni lo costrinsero a lasciare la serie ad altri.
Infatti, dalla fine degli anni '50 e per oltre dieci anni, si dedicò prevalentemente a storie di guerra, disegnando varie serie scritte da Robert Kanigher, di cui la più importante resta Il Sergente Rock, pubblicata per molti anni sull'albo Our Army at War (Il Nostro Esercito in Guerra). L'approccio degli autori non glorificava l'uso delle armi, evidenziava invece l'aspetto più "sporco" dei campi di battaglia e mostrava la guerra per quello che è: una mostruosa macchina che macina vittime (anticipando, anche se solo in parte, il taglio di film molto successivi come Platoon o Full Metal Jacket).
Nel 1965 gli stessi due autori crearono Enemy Ace (L'Asso Nemico), un pilota tedesco della Prima Guerra Mondiale ricalcato sul modello del Barone Rosso. Una volta tanto un conflitto era mostrato dal punto di vista degli avversari.
Negli anni della contestazione però, i testi che Kanigher gli scriveva risultarono a volte un po' troppo propagandistici. Nel 1967, la loro serie di strisce "Tales of the Green Berets", che appoggiava i Berretti Verdi in Vietnam, fu interrotta dopo appena due anni, perché troppo faziosa anche per il pubblico del Chicago Tribune, giornale notoriamente di destra.
Nel 1968 divenne addirittura direttore editoriale degli albi di guerra della DC e poi anche dell'albo western Son of Tomahawk. Intanto, nel 1969, creò il personaggio di Firehair (Capelli di Fuoco), un giovane "indiano bianco" protagonista di storie particolarmente originali che mescolavano western, fantasy e antirazzismo, ma di cui uscirono solo pochi episodi.
L'ultimo personaggio bellico che disegnò su testi di Kanigher, fu "The Unknown Soldier" (Il Milite Ignoto, tradotto da noi come Il Soldato Fantasma), del 1970, su un soldato rimasto sfigurato che il Pentagono impiegava come agente segreto nelle missioni più disperate. Rispetto al Sgt. Rock risultava però un po' troppo imbevuto di retorica patriottica e molto meno umano.

Nel 1972 gli fu affidata la direzione degli albi di Tarzan e Korak, di cui la DC aveva appena rilevato i diritti. Di Tarzan inizialmente realizzò testi e disegni, riproponendo i romanzi e i racconti di Edgar Rice Burroghs in una versione fedele allo spirito delle opere originali, e al tempo stesso estremamente personale. Anche le scene più fantastiche furono da lui rappresentate con grande coinvolgimento e realismo.
In qualità di direttore editoriale, affidò a validi disegnatori come Frank Thorne, Murphy Anderson, Mike Kaluta, Alan Weiss e Howark Chaykin, la realizzazione di altre serie tratte da opere di Burroughs. Oltre alla preesistente serie di Korak, lanciò così in appendice alle due testate, le versioni a fumetti dei romanzi di John Carter of Mars, Carson of Venus, Pellucidar e Beyond the Farthest Star.
Mentre dirigeva Tarzan, si occupò anche di altre testate della DC: Rima, the Jungle Girl (di cui realizzò testi e copertine) e The Bible (La Bibbia, di cui disegnò solo le copertine). Inoltre nel 1975 lasciò i disegni di Tarzan ad altri (pur continuando a scriverne i testi) ed avviò una nuova edizione del suo personaggio Tor, ridisegnandolo con tutta l'espressività di cui ora era capace.
Purtroppo, nonostante il loro altissimo livello, nessuno di questi albi ebbe il successo sperato, Tarzan compreso. Anche all'estero, gli editori e i giovani lettori abituati al Re della Giungla disegnato da Russ Manning, non seppero apprezzare l'interpretazione più innovativa e adulta di Kubert.

Nel 1976 fondò a Dover (dove tuttora vive, nel New Jersey) la Joe Kubert School of Cartoon and Graphic Art, la prima scuola professionale al mondo dedicata esclusivamente all'insegnamento del Fumetto. In quello stesso anno interruppe la produzione delle proprie storie e, a parte qualche piccola apparizione speciale, fino alla fine degli anni '80 disegnò esclusivamente copertine, per la solita DC Comics. Dalla sua scuola sono usciti disegnatori come Rick Veitch e Steve Bissette, senza contare Adam e Andy Kubert, due dei cinque figli avuti dalla moglie Muriel che hanno seguito le sue orme, senz'altro avvantaggiati dal fatto di avere in casa uno dei più grandi insegnanti di Fumetto del mondo.

All'inizio degli anni '90, pur continuando a gestire la scuola, riprese a lavorare alla realizzazione di singoli progetti. Di questi il primo è stato Abraham Stone, una serie ambientata nel 1912 e nata per il mercato europeo, di cui uscirono tre episodi. Il protagonista è un giovane orfano che vagabonda da un punto all'altro dell'America, tra affaristi senza scrupoli, infidi produttori cinematografici e guerriglieri messicani. È come una trasposizione in chiave moderna delle insidie della giungla preistorica, a cui invece tornò nel 1993 con un'altra miniserie di quattro numeri dedicata a Tor. Con questa per la prima volta "tradiva" la DC, pubblicando sotto l'etichetta Epic della concorrente Marvel, ma raggiunse il livello grafico più alto con il primo personaggio importante da lui creato.
Verso la metà degli anni '90 disegnò anche una breve versione alternativa di Batman per la collana Batman Black and White e un episodio in due parti di Ghost Rider su testi di Howard Mackie.
Nel 1994 realizzò graficamente un racconto di The Punisher (Il Punitore), Fiume di Sangue, scritto da Chuck Dixon e pubblicato su Punisher War Zone dal n. 31 al n. 36, in cui una scia di sangue, droga e armi conduce il protagonista e una sua controparte russa da New York a Sarajevo. Il periodo è quello della guerra in Yugoslavia e gli autori mostrano gli orrori dell'odio etnico.
Ha la stessa ambientazione la sua graphic novel del 1996 "Fax from Sarajevo", basata sulla corrispondenza ricevuta dall'amico Ervin Rustemagic tra il 1992 e il 1994. Trasformando in disegni i fax che questi gli spediva ogni giorno, vi racconta di come Ervin era rimasto intrappolato con la famiglia nella città assediata, della vita che sono stati costretti a condurre sotto i bombardamenti e di come siano infine riusciti a fuggire, dopo che la loro casa era stata distrutta. È la guerra vista dalla parte delle vittime. Tutto ciò che è raccontato nel volume corrisponde ai fatti reali.

Nel 2001, dopo circa sette anni di lavoro, uscì la sua versione di Tex: "Il Cavaliere Solitario", una lunga storia speciale scritta da Claudio Nizzi e pubblicata nella collana dei "Texoni" della Bonelli. È l'unico albo che Kubert ha realizzato espressamente per l'Italia (ma è uscito in contemporanea anche negli U.S.A suddiviso in più albi) e, allo stesso tempo, è l'unico albo di Tex disegnato da un autore statunitense. A parte l'altissima qualità dei disegni, la differenza principale rispetto alla serie regolare è che il ranger agisce da solo, con una dinamica più vicina ai film di Clint Eastwood che alle storie abituali, questo perché la storia potesse essere apprezzata anche dal pubblico americano, che non conosceva il personaggio originale.
Nello stesso anno, realizzò una versione afroamericana di Batman, disegnando l'albo "Just Imagine Stan Lee with Joe Kubert Creating Batman" (Immagina soltanto Stan Lee che crea Batman con Joe Kubert), all'interno di una collana in cui Stan Lee ha reinterpretato a modo suo i classici supereroi DC, coadiuvato ogni volta da un disegnatore diverso.

Nel 2003 tornò al Sgt. Rock, con la graphic novel "Between Hell and a Hard Place" (Tra l'Incudine e l'Inferno) scritta da Brian Azzarello e uscita sotto l'etichetta Vertigo.
Nell'autunno dello stesso anno, pubblicò presso Byron Preiss la graphic novel Yossel: 19 April 1943, in cui cerca di rispondere all'interrogativo che lo ha assillato per anni: cosa gli sarebbe successo se la sua famiglia non fosse emigrata in America? Il giovane ebreo polacco protagonista della storia non è altro che il suo alter ego (Yossel invece di Joe), ma essendo rimasto in patria la sua vita viene sconvolta dalla terribile realtà dell'Olocausto: la sua famiglia è uccisa ad Auschwitz e lui deve lottare per la sopravvivenza nel ghetto di Varsavia. Anche per la famiglia di Yossel, l'autore si è ispirato alla propria, mentre per la Rivolta di Varsavia si è ampiamente documentato sui fatti storici. Inoltre, per ottenere più immediatezza e coinvolgimento, ha lasciato i disegni sotto forma di schizzi, come se provenissero dalla mente del protagonista.

Nel 2005 confezionò un altro romanzo disegnato ambientato nella Brooklyn degli anni '30 del '900, "Jew Gangster" (Un Gangster Ebreo), il cui protagonista, Ruby, è un ragazzo come tanti che, dopo aver assistito a un omicidio e non essendo entusiasta della sua vita, che gli appare destinata alla miseria, preferisce un futuro più remunerativo nella malavita; è un ragazzo che ama la sua famiglia, ma che può aiutarla solo grazie ai proventi di attività illecite.
Tre anni dopo, l'ormai anziano ma sempre eccelso Kubert pubblicò un'altra miniserie in sei numeri di Tor, dal titolo "A Prehistoric Hodyssey" (Odissea nella Preistoria), in cui il suo eroe preistorico, scacciato dalla tribù per la sua intelligenza e indipendenza che lo rendono diverso e sospetto agli occhi degli altri, incontra un gruppo di esseri umani deformi e mutati, anch'essi evidentemente scacciati dalle rispettive tribù, e tenta di superare con loro le tante insidie del mondo selvaggio in cui si trovano costretti a vivere da perseguitati, tra feroci belve, ottuse creature scimmiesche, esseri albini del sottosuolo o delle nevi, gli ultimi superstiti dei grandi sauri e gli ostacoli naturali che incontrano sul loro cammino. Alla fine di questo faticoso viaggio verso la speranza di un futuro migliore, i superstiti saranno sconsolatamente pochi, ma la loro marcia non si arresterà.

La sua ultima, lunga fatica, è stata la graphic novel "Dong Xoai, Vietnam 1965", realizzata nello stesso stile schizzato di Yossel e uscita nel 2010, in cui ha raccontato la storia romanzata di una delle principali battaglie della guerra del Vietnam, anche se purtroppo sempre e soltanto dal punto di vista dei soldati americani, ma comunque con toni meno propagandistici di quelli di una volta e con una certa attenzione anche alle condizioni delle popolazioni locali.
Da notare come l'autore, in molte di queste sue ultime opere, abbia eliminato del tutto le nuvolette dei dialoghi, affidando la narrazione, oltre che agli efficacissimi disegni, alle sole didascalie che sottolineano l'azione. Anche quando qualcuno pensa o "parla", ciò che dice o che intende dire viene riportato nelle didascalie, rimandando a fumetti d'altri tempi, eppure le sue storie risultano sempre appassionanti, vitali e anche umanamente e profondamente toccanti.





KUBERT DELLE SCIMMIE - Guida a un Tarzan d'autore
di Andrea Cantucci


Quando, ormai un secolo fa, Edgar Rice Burroughs scrisse il primo romanzo del suo personaggio più famoso, Tarzan delle Scimmie, si trattava di una serie di avventure certamente fantasiose, ma al tempo stesso plausibili e crude. In questo e nei romanzi successivi si assisteva a descrizioni di scene violente e apparizioni di discinte principesse provenienti da regni perduti, nella migliore tradizione del fantasy alla Rider Haggard. Si trattava di una lettura di pura evasione, senza troppe morali, ma che si rivolgeva con intelligenza al pubblico adulto dei romanzi pulp. Il protagonista, tutt'altro che una figura semplice o banale, oscillava tra una natura selvaggia non sempre controllabile ed una prontissima intelligenza temprata dalla vita nella giungla. Tra l'altro era capace di parlare e leggere perfettamente molte lingue. Poi il cinema, tanto per non complicare troppo le cose, ha fatto di Tarzan un tontolone illetterato. I fumetti, al contrario, pur seguendo con maggiore fedeltà la traccia dei romanzi, per molto tempo ne hanno dato un'interpretazione fin troppo composta e "signorile", almeno finché non è arrivato Kubert.

La versione di Joe Kubert, pubblicata dal 1972 al 1974 sui comic book della DC, è forse quella più aderente all'opera originale di Burroughs, con un eroe autenticamente selvaggio, i cui capelli non sono quasi mai composti e pettinati e il cui portamento è più dinamico e ferino che statuario o elegante. Anche le belve e gli scimmioni con cui ha a che fare si comportano in modo davvero "bestiale" e feroce; tutta la violenza della natura è mostrata nel modo più convincente. Lo stile e i sapienti montaggi dell'autore rendono ancora più immediate, comunicative e appassionanti le trame originali, ma rappresentano in modo completo ed efficace anche le scene più umane e toccanti.

Kubert riduce a fumetti e disegna tre romanzi: il primo, "Tarzan delle Scimmie", il secondo, "Il Ritorno di Tarzan", e il diciannovesimo, "Tarzan e L'Uomo Leone".
Il primo ovviamente è stato riproposto molte volte, anche da grandi autori, ma raramente in modo altrettanto convincente, soprattutto nelle scene in cui Tarzan cresce, dimostrando affetto per la scimmia Kala, sua madre adottiva, e invidia per gli scimmieschi compagni di giochi che considera molto più belli di lui. Comunque l'autore fa un omaggio al primo disegnatore della storia, Harold Foster, riproducendone con precisione molte vignette.
Il secondo romanzo non era stato praticamente più raccontato a fumetti in modo completo dopo la prima versione di Rex Maxon del 1929. La seconda versione di Russ Manning infatti risultava un po' lacunosa, perché per inserirlo in un unico albo era stata tagliata tutta la prima parte della storia (in cui Tarzan viaggia in lungo e in largo tra spie misteriose, la Legione Straniera, nomadi arabi e guerrieri Waziri, fino alla città perduta di Opar). Kubert si prende invece tutto lo spazio necessario occupando ben cinque albi (invece dei quattro usati per gli altri romanzi) e disegna un Tarzan plausibile e coerente anche quando si trova lontano dalla giungla.
Di "Tarzan e l'Uomo Leone" (romanzo meno noto e inedito in Italia), esisterebbero altre due versioni a fumetti, ma sicuramente non altrettanto efficaci. È uno dei più stravaganti e ironici della serie e prende in giro la produzione cinematografica sul personaggio. Tarzan sostituisce un attore pusillanime che impersona un eroe della giungla e poi si ritrova in una città popolata da scimmioni parlanti che fanno il verso ad una monarchia britannica. Kubert si sbizzarrisce nelle rappresentazioni grottesche di uomini regrediti e scimmie evolute che popolano il racconto.

Ottiene risultati altrettanto alti negli adattamenti dei racconti brevi di Burroughs. Qui un Tarzan che non ha ancora incontrato i suoi simili, si interroga su questioni filosofiche e sentimentali. La profondità dei testi sembra ispirare l'artista in modo particolare, ma purtroppo disegna solo tre dei dodici titoli che componevano la raccolta dei Racconti della Giungla di Tarzan, limitandosi evidentemente a quelli che gli permettono di sfoggiare anche la sua grande padronanza delle scene d'azione.
Nella storia "Il Prigioniero", tratta dal racconto "La Cattura di Tarzan", gli animali e gli abitanti della giungla sono resi con meravigliosi grovigli di segni e ombre, e la tensione espressiva sul volto del protagonista prigioniero è magistrale.
"Balu delle Grandi Scimmie" è tratto invece dal racconto "Il Combattimento per il Balu", che significa bambino, nella lingua delle scimmie. Qui si percepisce un forte senso di minaccia grazie ad un montaggio in parallelo con due pantere che occhieggiando da strette vignette a piè di pagina, senza contare le lunghe vignette verticali, in cui le cadute e i balzi dagli alberi sono resi con un senso della profondità e dello spazio eccezionale.
Infine nel racconto "L'Incubo", il montaggio delle vignette mescola sapientemente la realtà con i sogni del protagonista, seguendo alla perfezione il testo di Burroughs.
Dei rimanenti albi disegnati da Kubert, due sono parziali rimontaggi di episodi di Foster e Hogarth degli anni trenta e quaranta, e nove sono stati completamente ideati dall'autore, riprendendo anche qualche spunto da Burroughs, ma per lo più creando soggetti autonomi. In questi racconti, pur concentrandosi spesso su valori umani e approfondendo per quanto possibile la psicologia dei personaggi, è inevitabile che Kubert metta in particolare evidenza il coraggio e i muscoli guizzanti del protagonista, cacciandolo in situazioni che gli consentano di esprimere al meglio la carica dinamica del suo disegno.

Certo, anche queste riduzioni dovevano tener conto del target giovanile a cui erano rivolte e ci sono quindi alcune piccole censure. Ne "L'Incubo" originale, Tarzan non aveva scrupoli a uccidere un vecchio indigeno per non essere scoperto, cosa che qui viene evitata, non comunque per un attacco di pietà, ma perché l'autore fa in modo che non si renda più necessario. Il Tarzan di queste storie "per ragazzi" sarebbe capacissimo, in caso di bisogno, di aggredire ed eliminare sia uomini che bestie, si cerca però di non metterlo in situazioni che lo spingano all'estremo, almeno per quanto riguarda gli esseri umani. Un'inevitabile eccezione è la scena della prima storia in cui uccide "l'assassino" della sua madre-scimmia, ma anche questo viene trasformato in uno scontro leale, mentre nel romanzo era un vero e proprio omicidio a sangue freddo (come nella versione disegnata da Foster e in quella così "gradevole" di Manning). Invece nel racconto "Il Trofeo", totalmente ideato da Kubert, Tarzan provoca, sia pure indirettamente, la morte di uno spietato cacciatore, rivelando comunque di avere, in questa versione, molti meno scrupoli del solito.

Sfogliando i ventisette albi nell'ordine originale di pubblicazione, si assiste, nell'arco di due anni di lavoro, all'ultima grande prova di Kubert, prima di dedicarsi all'insegnamento, dall'iniziale confronto con il "maestro" Foster, fino alla massima accuratezza nella resa grafica e nel tratteggio dell'ultimo episodio, "L'Erba Magica". Forse l'unica cosa che appesantisce un po' le storie è l'abbondante uso delle didascalie, a volte superflue, ma che comunque a tratti rendono bene l'atmosfera romanzesca e spesso si alternano anche a scene mute altamente espressive. Ad ogni modo, è ancora oggi difficile trovare un'altra versione a fumetti di Tarzan che stia alla pari con questa, quanto a livello artistico, modernità e dinamismo.

TARZAN: GLI ANNI DI JOE KUBERT Vol.1
Testi e illustrazioni: Joe Kubert
Formato: 17x26, B., 208 pp., Col.
Prezzo: 20,00 €
ISBN: 978-88-7759-561-4
www.magicpressedizioni.it
 

     
Contatore visite dal 6 giugno 2011
 
Segreti di Pulcinella - © Tutti i diritti riservati