AUTOEVIDENTE

L’AMERICA FUOR DI METAFORA. FINALMENTE.

di Monica Pintucci

 

SHEEP GO TO HEAVEN.

GOATS GO TO HELL.

E noi? Sogniamo sbiancando cyber-pecorelle-elle-elle-ell-el-e…?

Stiamo qui a chiederci chi andrà in paradiso e chi all’inferno?

 

Siamo qui e ci chiediamo se stiamo sognando una galassia futura, o se una globale guerra intestina non lasci spazio nemmeno a una fantascientifica speranza per il vecchio, noto mondo (Brave New World!). Ominidi, androidi, ogm, pecore, capre, biliosi, pacifisti, uomini forti, disobbedienti, umani… Siamo qui – nella Rete - anche per aprire gli occhi, essere insolenti pedanti invadenti - "debordare" da quel qualcosa di – comodamente – innominato che ci vorrebbe contenere e costringere – o concedere, magari preventivamente.

Con colpevole ritardo (immagino che il CD – distribuito in edicola dal 24 settembre 2003 con Il Manifesto, Liberazione, Carta - non sia più disponibile, ma vale la pena informarsi!) scelgo di far parlare la poetessa e cantautrice (folksinger?) americana Ani DiFranco, occhio vigile e lingua tagliente, sguardo sempre – caparbiamente - umano. Voce graffiante, viva e indipendente della cosiddetta ‘altra America’, Ani invita con rabbia - o forse sarebbe meglio parlare di un’amara severità - i connazionali ad aprire gli occhi e mettersi in discussione – è ormai indispensabile farlo. Il brano scelto è SELF EVIDENT (titolo da me tradotto con "autoevidente"), tratto dall’album "So much shouting, so much laughter", del 2002, di cui rappresenta un punto focale, parlando del post-11 settembre e della santa guerra preventiva all’Iraq. Potete trovare la versione musicata della poesia originale pubblicata sul sito di Ani (righteousbabe.com) subito dopo l’11 settembre 2001, oppure al seguente indirizzo: http://www.peace-not-war.org/Music/AniDiFranco/index.html. Ani vuole sbrogliare la matassa di ipocrisie e convenzioni, fare emergere la "metafora" per poi liberarsene con uno sforzo di estrema razionalità e pietà umane. All’indomani della tragedia delle Torri gemelle - DiFranco propone, chiede, una scossa e una pausa di silenzio; quando tutti invocano l’unità nazionale, mette in dubbio la legittimità democratica del presidente Bush, che già nell’agosto del 2002 preannunciava la prossima avventura bellica, confessando spudoratamente di non riuscire a trovare un motivo valido per convincere l’opinione pubblica della bontà delle ragioni di questa nuova scelta sanguinaria; nel momento in cui il concetto di ‘civiltà’ viene utilizzato come discriminante rispetto al mondo arabo, Ani afferma che "Geogr. Bush non è il nostro presidente: negli Stati Uniti c’è tanta gente arrabbiata, molta più di quanto la media facciano credere. Ma chi ne parla in paesi come l’America o l’Italia nei quali i governi hanno il monopolio dell’informazione?". La sistematica e cinica manipolazione dei mezzi di informazione – che con l’ultima guerra all’Afganistan è giunta al massimo livello di ‘oscuramento’ – fa dire ad Ani che l’unica arma in nostro possesso è reagire a questa ennesima truffa, con i mezzi di cui ognuno dispone

Ani DiFranco si dichiara "carica di vergogna" per il suo Paese, l’America degli aerei e dell’individualismo usato come alibi dell’affarismo: l’America che s’è schiantata contro le Torri di New York, quella che porta la guerra in giro per il mondo. L’America sognata da Ani DiFranco è quella dei treni, quelle interminabili teorie di vagoni che solcavano il paese da una costa all’altra col paesaggio riflesso sui finestrini, quella in cui velocità e profitto non erano le uniche priorità. In una delle strofe più poetiche di Self Evident, Ani sogna di andare in tour come un tempo faceva Duke Ellington: con la sua carrozza personale. Sogna l’attesa del treno sulla banchina di una grande stazione mentre l’aria le accarezza il viso. "Dove sono finiti i nostri treni e le nostre navi?", ti dice. "Li abbiamo sacrificati per rendere florida l’industria automobilistica e siamo diventati drogati di petrolio, che poi è un’altra ragione per cui interveniamo in Medio Oriente… Non so se l’America dei treni e di Ellington era migliore della mia: per certi versi sì, per altri no. Ma almeno c’era ancora fiducia nell’idea stessa di democrazia e i politici discutevano di idee rilevanti per la gente, non erano una facciata per gli affari delle multinazionali. Un Paese di "mera facciata", come dice lei, un governo che in Self Evident è rappresentato come una bestia col pene ben piantato in qualche deserto mediorientale. Un’immagine forte. Del resto, nella discografia di DiFranco, specie nei primi album, il potere è sempre maschio e sopraffattore.

La domanda è: la gente ha il potere di cambiare le cose? Ani risponde con entusiasmo che "abbiamo tantissimo potere e non lo usiamo. Lo sperimentiamo nella vita di tutti i giorni, nelle piccole scelte che siamo chiamati a fare. So che non è facile, ma so anche che una volta che prendi posizione contro gli abusi del potere, qualcun altro ti seguirà. Dobbiamo essere disposti a sacrificare un po’ del nostro benessere."

Ani non può che essere una patriota. E questa, ti dice lei, è solo una delle tante parole che ci hanno rubato, che hanno svuotato di significato trasformandola in un luccicante distintivo dietro cui celare arroganza e avidità. L’alternativa è essere amorfi o cinici, ovvero soccombere alle forme mentali che i media spacciano come "alternative" e desiderabili assieme alla disillusione, tomba d’ogni spirito d’iniziativa. "Il compito della mia generazione e di quelle future è trasformare la rabbia in energia positiva, in forza di cambiamento. Se il sogno americano è diventato un incubo globale, io voglio essere cittadina del mondo e lottare com’è successo a Seattle, a Praga, a Genova."

È ora di fare silenzio, come chiede DiFranco negli ultimi versi di Self Evident: sshhh… Sulla banchina, ad aspettare il treno, la folksinger non è più sola.

"Dieci anni fa giravo l’America con la mia auto", ti dice, "passavo da un bar all’altro a cantare le mie piccole canzoni e facevo la dura. Ma ero sola. Più mi relaziono agli altri, e più mi sento parte di una comunità. E allora capisco di non essere isolata e sento che la responsabilità di cambiare le cose è anche mia, è anche tua."

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Quello che vi propongo – ora che anche noi abbiamo i nostri morti da piangere – è una mia traduzione del testo, liberamente ispirata alla splendida e ben recitata versione di Lella Costa, pubblicata nel CD "Danni collaterali", allegato a Carta, Manifesto, Liberazione e Rinascita: si tratta di un progetto promosso da Ricky Gianco, Gianfranco Manfredi e Velia Mantegazza. "Danni collaterali" è l’odiosa espressione che nei bollettini di guerra è spesso usata per definire le vittime civili. La raccolta in questione nasce da un’iniziativa pacifista realizzata grazie al contributo del Comune di Forlì; l’intero ricavato sarà devoluto ad Emergency al Tavolo di Solidarietà con le opopolazioni dell’Iraq. Gli artisti che vi hanno aderito nutrivano l’intento di ‘fare qualcosa di utile’ per i movimenti e le associazioni che si battono fattivamente per la pace, quindi non meramente per assecondare una spinta emotiva. Il CD – venduto a richiesta con l’acquisto de Il Manifesto, Liberazione, Carta, Rinascita – contiene 15 brani: il messaggio è: non siamo violenti né antiamericani, ma solo anti-Bush. A testimoniarlo, il fatto che molte canzoni del CD sono reinterpretazioni, con opportuna traduzione, di celebri brani anglo-americani di autori sensibili al tema pacifista [1]. A concludere la raccolta, il brano di Ani DiFranco, una poesia "fuor di metafora" sulle Torri Gemelle abbattute, un confidenziale ma duro monologo di 7 minuti che s’interroga sul tragico non-sense dell’11 settembre e sulla metafora mistificatrice, accompagnato da una sottile filigrana jazzata e reso splendid@amente in italiano da Lella Costa. Segue il mio tentativo.

 

Ani DiFranco

SELF EVIDENT

 

yes,
us people are just poems
we're 90% metaphor
with a leanness of meaning
approaching hyper-distillation
and once upon a time
we were moonshine
rushing down the throat of a giraffe
yes, rushing down the long hallway
despite what the p.a. announcement says
yes, rushing down the long stairs
with the whiskey of eternity
fermented and distilled
to eighteen minutes
burning down our throats
down the hall
down the stairs
in a building so tall
that it will always be there
yes, it's part of a pair
there on the bow of noah's ark
the most prestigious couple
just kickin back parked
against a perfectly blue sky
on a morning beatific
in its indian summer breeze
on the day that america
fell to its knees
after strutting around for a century
without saying thank you
or please
and the shock was subsonic
and the smoke was deafening
between the setup and the punch line
cuz we were all on time for work that day
we all boarded that plane for to fly
and then while the fires were raging
we all climbed up on the windowsill
and then we all held hands
and jumped into the sky
and every borough looked up when it heard the first blast
and then every dumb action movie was summarily surpassed
and the exodus uptown by foot and motorcar
looked more like war than anything i've seen so far
so far
so far

so fierce and ingenious
a poetic specter so far gone
that every jackass newscaster was struck dumb and stumbling
over 'oh my god' and 'this is unbelievable' and on and on
and i'll tell you what, while we're at it
you can keep the pentagon
keep the propaganda
keep each and every tv
that's been trying to convince me
to participate
in some prep school punk's plan to perpetuate retribution
perpetuate retribution
even as the blue toxic smoke of our lesson in retribution
is still hanging in the air
and there's ash on our shoes
and there's ash in our hair
and there's a fine silt on every mantle
from hell's kitchen to brooklyn
and the streets are full of stories
sudden twists and near misses
and soon every open bar is crammed to the rafters
with tales of narrowly averted disasters
and the whiskey is flowin
like never before
as all over the country
folks just shake their heads
and pour

so here's a toast to all the folks who live in palestine
afghanistan
iraq
el salvador
here's a toast to the folks living on the pine ridge reservation
under the stone cold gaze of mt. rushmore
here's a toast to all those nurses and doctors
who daily provide women with a choice
who stand down a threat the size of oklahoma city
just to listen to a young woman's voice
here's a toast to all the folks on death row right now
awaiting the executioner's guillotine
who are shackled there with dread and can only escape into their heads
to find peace in the form of a dream

cuz take away our playstations
and we are a third world nation
under the thumb of some blue blood royal son
who stole the oval office and that phony election
i mean
it don't take a weatherman
to look around and see the weather
jeb said he'd deliver florida, folks
and boy did he ever
and we hold these truths to be self evident:
#1 george w. bush is not president
#2 america is not a true democracy
#3 the media is not fooling me
cuz i am a poem heeding hyper-distillation
i've got no room for a lie so verbose
i'm looking out over my whole human family
and i'm raising my glass in a toast
here's to our last drink of fossil fuels
let us vow to get off of this sauce
shoo away the swarms of commuter planes
and find that train ticket we lost
cuz once upon a time the line followed the river
and peeked into all the backyards
and the laundry was waving
the graffiti was teasing us
from brick walls and bridges
we were rolling over ridges
through valleys
under stars
i dream of touring like duke ellington
in my own railroad car
i dream of waiting on the tall blonde wooden benches
in a grand station aglow with grace
and then standing out on the platform
and feeling the air on my face
give back the night its distant whistle
give the darkness back its soul
give the big oil companies the finger finally
and relearn how to rock-n-roll
yes, the lessons are all around us and a change is waiting there
so it's time to pick through the rubble, clean the streets
and clear the air
get our government to pull its big dick out of the sand
of someone else's desert
put it back in its pants
and quit the hypocritical chants of
freedom forever
cuz when one lone phone rang
in two thousand and one
at ten after nine
on nine one one
which is the number we all called
when that lone phone rang right off the wall
right off our desk and down the long hall
down the long stairs
in a building so tall
that the whole world turned
just to watch it fall
and while we're at it
remember the first time around?
the bomb?
the ryder truck?
the parking garage?
the princess that didn't even feel the pea?
remember joking around in our apartment on avenue D?
can you imagine how many paper coffee cups would have to change their design
following a fantastical reversal of the new york skyline?!
it was a joke, of course
it was a joke
at the time
and that was just a few years ago
so let the record show
that the FBI was all over that case
that the plot was obvious and in everybody's face
and scoping that scene
religiously
the CIA
or is it KGB?
committing countless crimes against humanity
with this kind of eventuality
as its excuse
for abuse after expensive abuse
and it didn't have a clue
look, another window to see through
way up here
on the 104th floor
look
another key
another door
10% literal
90% metaphor
3000 some poems disguised as people
on an almost too perfect day
should be more than pawns
in some asshole's passion play
so now it's your job
and it's my job
to make it that way
to make sure they didn't die in vain
sshhhhhh....
baby listen
hear the train?

AUTOEVIDENTE

 

Sì,

siamo tutti poesie

al 90% metafore

con una povertà di significato

vicina all’iperdistillazione

eppure un tempo eravamo raggi di luna

e scivolavamo giù per il collo di una giraffa

sì, correvamo giù per il lungo corridoio

nonostante gli annunci dell’impianto voce

sì, correvamo giù per le lunghe scale

con il whiskey dell’eternità

fermentato e distillato

per 18 minuti,

che ci bruciava la gola

giù per il corridoio

giù per le scale

di un palazzo così imponente

che resterà lì per sempre

sì, è parte di una coppia

là sulla prua dell’arca di Noè

la coppia più prestigiosa

che si rimanda la palla

contro un cielo perfettamente blu

in un mattino sublime

bagnato d’indiana brezza estiva

il giorno in cui l’America

cadde in ginocchio

dopo aver camminato impettita per un secolo

senza mai dire grazie

o per favore

e lo shock fu subsonico

e il fumo assordante

perché quel giorno eravamo tutti puntuali al lavoro

e tutti ci siamo imbarcati su quell’aereo

e quando le fiamme infuriavano

ci siamo tutti arrampicati sul davanzale

e ci siamo presi per mano,

prima di lanciarci nel cielo

e ogni distretto ha alzato gli occhi

quando ha sentito il primo scoppio

e ogni stupido film d’azione è sembrato superato

e quell’esodo di persone e automobili

assomigliava alla guerra più di qualunque cosa che avessi visto fino ad allora,

per ora

 

 

così fiero e ingegnoso

uno spettro poetico ricomparso dopo secoli

che ogni commentatore idiota si ritrovò a balbettare una litania di ‘oh mio dio’ e

‘è incredibile’ e avanti, così, per ore e ore

e vi dico una cosa,

già che ci siamo

potete tenervi il Pentagono

la propaganda

e ogni singola televisione

che ha cercato di convincermi

ad aderire al piano

di qualche fanatico liceale

per orchestrare la ritorsione

organizzare la vendetta

proprio mentre il fumo bluastro e tossico

della nostra ritorsione

ancora ammorba l’aria

e abbiamo cenere sulle scarpe

e tra i capelli

un manto di limo

da Hell's Kitchen a Brooklyn

e le strade sono piene di storie

di svolte impreviste e provvidenziali ritardi

e ogni bar aperto si riempie

di leggende di disastri evitati per un soffio

e il whiskey scorre

come mai era accaduto

mentre in tutto il paese

la gente scuote la testa

e si versa da bere

E allora brindiamo a chi vive in Palestina,

Afghanistan

Iraq

El Salvador

un brindisi a quelli che vivono

nella riserva di Pine Ridge

sotto lo sguardo di gelida pietra

del Mount Rushmore

E ora un brindisi a tutte le infermiere

e a tutti i medici

che ogni giorno offrono una scelta alle donne

che affrontano una minaccia

grande come Oklahoma City

solo per ascoltare la voce di una ragazza

un brindisi a tutti i condannati a morte

in attesa del boia,

soffocati dal terrore

unica fuga possibile

il rifugio nel sogno

Toglieteci le Playstation

e siamo una nazione da terzo mondo

dominata da una specie di erede blasonato

che ha usurpato lo studio ovale

e quelle elezioni fasulle,

voglio dire

non ci vuole certo un meteorologo

per guardare che tempo fa

Jeb aveva detto che avrebbe consegnato

la Florida,

altroché se ci è riuscito,

e queste sono le nostre verità autoevidenti:

  1. George Bush non è presidente

  2. l’America non è una vera democrazia

3) i media non mi prendono in giro

Perché io sono solo poesia, attenta

all’iperdistillazione

non ho spazio per una bugia così prolissa

abbraccio con lo sguardo tutta la mia famiglia di esseri umani

e alzo il bicchiere per brindare

al nostro ultimo sorso di carburante fossile

giuriamo di farla finita con questo veleno

di disperdere gli sciami di aerei pendolari

e ritrovare quel biglietto del treno che avevamo perduto

perché c’è stato un tempo in cui la ferrovia costeggiava il fiume e curiosava nei cortili

e c’era il bucato steso

e graffiti ammiccanti

da ponti e muri di mattoni

giravamo tra montagne

e vallate

sotto le stelle

io sogno di viaggiare come Duke Ellington

nella mia carrozza privata

sogno di aspettare su alte panchine

di legno biondo

in una stazione centrale inondata di grazia

e poi in piedi sul binario

a sentire l’aria sul volto

restituire alla notte il fischio lontano

restituire alle tenebre l’anima

mandare affanculo una volta per tutte le grandi compagnie petrolifere

e reimparare il rock’n roll

sì, gli esempi ci circondano

e un cambiamento ci aspetta

e dunque è ora di smuovere le macerie,

ripulire le strade

e rinfrescare l’aria

costringere il governo a tirar fuori il suo grosso uccello

piantato nella sabbia del deserto di qualcun altro

rinfilarselo nei pantaloni e farla finita

con gli slogan ipocriti di libertà duratura

perché quando quel telefono ha chiamato

nel 2001

alle nove e dieci

il 911

il numero che tutti abbiamo chiamato

quando quel telefono squillò

dietro la parete della nostra scrivania

fino al corridoio lungo le scale interminabili

di un edificio così alto

che il mondo intero s’è voltato

solo per vederlo cadere

e già che ci siamo

ricordate la prima volta?

la bomba?

il camion?

il parcheggio sotterraneo?

la principessa che non si era neppure accorta del pisello?

ricordate come ci scherzavamo sopra?

riuscite a immaginare quanti bicchieri di carta

dovrebbero cambiare decorazione

inseguendo l’incredibile cambiamento dello

skyline di New York?

era solo uno scherzo, naturalmente

solo uno scherzo,

allora,

ed è accaduto solo pochi anni fa

e allora che l’inchiesta dimostri

che l’FBI era coinvolta nel caso

che la trama era evidente

e leggibile nel volto di tutti.

e ad esaminare la zona

religiosamente

la CIA -

- o il KGB?

che ha commesso innumerevoli crimini contro l’umanità

sempre con questa eventualità

come scusa

per tutti gli abusi perpetrati uno dopo l’altro, senza mai un indizio

guardate, c’è un’altra finestra lassù,

al 104° piano

guarda

un’altra chiave

un’altra porta

letterale al 10%

al 90% metafora

3000 poesie travestite da persone

in una giornata quasi perfetta

meriterebbero qualcosa di più

che essere pedine nella sacra rappresentazione di qualche stronzo

così adesso tocca a voi

e tocca a me

fare in modo che non siano morti vane.

sshh…

ascolta, piccola

lo senti il treno?

 

Written, performed & produced by Ani DiFranco
From the album "So much shouting, so much laughter"
www.righteousbabe.com
© 2002 Righteous Babe Records Ltd

 

Il progetto collettivo dietro al CD "Danni collaterali" ha focalizzato l’attenzione sulle vittime civili e sui problemi che la guerra procura alla democrazia e alla convivenza dei popoli, volendo tenacemente essere qualcosa di diverso da una mera antologia.

Guardando oltreoceano, troviamo artisti australiani come i Midnight Oil, The Mark of Cain e Sia tra i promotori e sostenitori del globale movimento contro la guerra, che hanno contribuito alla realizzazione del doppio CD PEACE NOT WAR, raccogliendo fondi e funzionando come veicoli della comunicazione. Tra i partecipanti al progetto no-profit troviamo Public Enemy, Ani DiFranco, Billy Bragg, Massive Attack, Chumbawamba, Coldcut e Ms Dynamite.

L’operazione musicale promossa da Gianco, Manfredi e Mantegazza è dunque ispirata anche a Peace Not War: entrambi veicolano i temi della protesta contro la guerra e del bisogno di solidarietà tra i popoli, accanto alla necessità di raccogliere fondi e scuotere le coscienze, informando sui movimenti pacifisti in Europa, Australia, in tutto il mondo. La musica può ritagliarsi uno spazio centrale nel diffondere parole di pace, qualcosa di impossibile da trovare nei "mainstream media", come dichiarano i produttori australiani della compilation Peace Not War, Kelly & Mudge: "We believe musicians can inform and inspire people to stop the war" [2] (http://www.peace-not-war.org/Information/index.html).

Per tutti noi. Con un grazie a Ani & C., a tante bandiere e straccetti bianchi e catene di e-mail e mani intrecciate alzate o battute con rabbia e/o entusiasmo: a tutti gli ‘sforzi collaterali’ che, in luoghi e circostanze molto diversi, cercano - almeno: pace.

E allora… buona incazzatura.

E BUON VIAGGIO.

… E OSSERVATE IL PANORAMA, DAL FINESTRINO!

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P.S. Memorie di un caffellatte amaro

Giovedì 20 marzo 2003, e-mail delle 21:39

Che assurdità essere svegliata stamattina dalle parole "è iniziata la guerra" e ancora semiaddormentata accendere la CNN e vedere la faccia da scimmia di Bush che dice "We will carry on the work of peace". Anche se ormai questa era una guerra scontata, è stato come uno schiaffo in piena faccia nel rincoglionimento mattutino: OK, ci vuole una buona dose di retorica e faccia tosta per dire a un popolo intero in tutta tranquillità che ha ufficialmente mandato a morire i loro parenti, amici, connazionali, oltre a dare inizio al massacro del popolo irakeno, ma sentirgli dire ancora una volta che l’obiettivo è la pace e che l’unico scopo dell’azione bellica è restituire il controllo del paese ai suoi abitanti, mentre gli si leggeva in faccia lo sforzo per non pronunciare la parola petrolio mi faceva venire da vomitare. Ma ancora peggio è stato vedere il faccione ceronato di Berlusconi orgoglioso di dire che Bush lo ha avvertito con una telefonata dell’inizio del conflitto e che l’Italia mette a disposizione degli americani basi e spazio aereo. Che schifo. Come si può rallegrarsi di dare un sostegno attivo a questa guerra?Non penso certo che Saddam sia un benefattore, ma Bush non mi sembra poi tanto diverso: Saddam impone la sua dittatura in Iraq, Bush vuole imporsi sul mondo dietro la maschera di parole come ‘democrazia’ e pace’. E se purtroppo ci riesce è solo perché siamo deboli e America-dipendenti. Nonostante tanti discorsi e veti anti-guerra, non ci saranno azioni contro l’America, cosa che accadrebbe per qualsiasi altro paese. Ma, in fondo, nelle cose piccole e in quelle grandi, la legge non è mai uguale per tutti. L’Austria è stata sanzionata quando Haider è entrato a far parte del governo perché leader del partito di destra, per la paura che ne venisse fuori un dittatore: Hitler era pur sempre austriaco!

Ma in America Bush gioca col mappamondo e in Italia Berlusconi è Primo Ministro, AN fa parte del governo

ormai da tanto, eppure nessuno sembra accorgersene, né valutare il rischio…

E intanto su RAI 1 va in onda "La vita indiretta" con un servizio su nonna Giuseppa che ha compiuto 100 anni e ancora spacca da sola la legna per la stufa…

L’Italia: il Paese dei Balocchi.

E mentre zappo da un canale e un sito all’altro in un mix di notizie, opinioni e parole tedesche, inglesi, italiane, mi sento sempre più estranea al mio paese e penso che è sempre più difficile resistere da quaggiù. Soprattutto dall’Austria, che oggi mi appare come l’unico paese europeo coerente: ha detto NO all’inizio e continua a farlo negando l’uso delle basi e dello spazio aereo agli americani, mentre persino i francesi che avrebbero posto il veto, oggi lasciano svolazzare americani e inglesi nei propri cieli e aggiungono che nel caso Saddam usi armi chimiche entreranno in guerra. La coerenza è una virtù sempre più rara.

E intanto l’America si accorge della guerra perché l’inizio del campionato di baseball è stato rinviato e forse lo saranno anche gli Oscar, mentre giapponesi basiti chiedono in Piazza Venezia a Roma che cosa succede, vedendo persone radunarsi per l’ennesima fiaccolata per la pace, che purtroppo non fermerà la guerra, ma farà almeno sentire le voci dei dissidenti, quei "mezzi criminali" tanto temuti dal Berlusca che invita a "non aspettarsi niente di buono dalle manifestazioni pacifiste" (vedi President Bush Addresses the Nation: (http://www.whitehouse.gov/news/releases/2003/03/20030319-17.html).

Sento che l’unico risultato del primo attacco statunitense sono stati un morto e 14 feriti civili. E di certo non saranno gli unici.

Ormai è chiaro che questa guerra finirà solo quando lo vorrà Bush, e che le fiaccolate, i bei discorsi, le bandiere della pace, le petizioni e tutto il resto non possono più niente, eppure penso con orrore a come sarebbe se non ci fossero, se davvero tutto il mondo guardasse a quel che succede con indifferenza.

Scusate, ma oggi proprio non riuscivo a stare zitta. In fondo, come sempre, "chi tace acconsente". E io non sono d’accordo.

Ilaria G.

 

NOTE

1. Spesso i pacifisti vengono accusati di essere anti-americani, e si è voluto allora sottolineare le radici (anche) anglo-americane della canzone pacifista. [torna su]

2. "Crediamo che chi fa musica possa essere un veicolo di informazione e di promozione della campagna mondiale contro la guerra." (traduzione mia) [torna su]