Memorie di un quadrumane evoluto (ovvero io 750.000 anni fa)
di Massimo Acciai



 

Marco Polo racconta di una curiosa usanza dei tartari: i genitori di un bambino morto, nel giorno in cui il figlio avrebbe compiuto l’età per sposarsi, vanno alla ricerca di un’altra famiglia che ha perso una figlia bambina e combinano un matrimonio tra morti. Vengono fabbricate immagini di carta che vengono poi bruciate; il fumo che si disperde nel cielo giungerà fino all’aldilà, dove le due anime saranno marito e moglie. Alla fine della cerimonia le due famiglie hanno stabilito un rapporto di parentela, come se i loro figli fossero vivi.

Ciò mi aveva colpito e mi sono domandato spesso perché.

C’è qualcosa che ricorda la mia vita passata? L’aldilà… il mondo delle idee. L’amore. Un’idea che c’entra poco col sesso, col corpo fisico. Finalmente le due cose sono separate in me, ora che vago in questa nuova dimensione ultraterrena. Quand’ero laggiù tutto mi appariva confuso caotico frammentario. Doloroso. Lei era stata la mia maestra del dolore. Lei, con le sue mani piccole e sapienti, con i suoi occhi grandi, enormi, con il suo respiro sul mio collo. Non l’ho toccata più di come si può accarezzare una tigre domestica.

Ora vedo che, naufrago, da un’isola deserta avrei idealizzato di più e sofferto di meno, mentre là in mezzo a voi – fatti di carne, e sangue ed endorfine – avrei dovuto forse fare il contrario. Idealizzare di meno. Nel mio volo di fantasia le regole del gioco sono mutate. Sì, anche quassù l’amore è un gioco, ma un gioco in cui vincono tutti. Là da voi perdono tutti. Il limite, quello è l’inghippo. Perché c’è un limite buono e un limite pessimo. Ciò che non so e voglio conoscere è un limite buono. La battigia di un’isola deserta, per il naufrago è un limite pessimo. È affascinante perciò il fatto che il cervello umano è progettato per assimilare quantità praticamente illimitate di nozioni. Matematica combinatoria di sinapsi e neuroni. Possiamo ricordare e gestire informazioni non solo di 70 o 80 anni, ma un miliardo di volte tanto. Eoni trascorrerebbero, e non si consumerebbe.

Volontà, ecco la parola magica. La volontà è determinante. Ma non basta. Ci vuole anche fantasia, che è spesso consequenziale, e vento sulla faccia.

Così adesso sono qui davanti a voi, con la barba lunga, la camicia fuori dai pantaloni, i jeans scoloriti e le scarpe da ginnastica consumate dal molto camminare. Non ho nulla in tasca, oltre un pacchetto di fazzoletti di carta e le chiavi di casa. È importante avere sempre con se le chiavi di casa, l’ho imparato presto. Più importante è avere le chiavi della vita, quelle che tendiamo spesso a dimenticare sul comodino la sera prima.

Lei non è accanto a me, ma danza nella mia mente eccitata. Anche la mente si eccita talvolta, lei sola senza il corpo. Si astrae. È forte allora l’impressione che non sia solo una complessa catena di reazioni chimiche – elettricità fluidi molecole atomi particelle subatomiche. È forte, l’impressione.

Conosco talvolta la risposta, ma non posso comunicarla. Non esistono parole adatte e le approssimazioni sono fuorvianti. Il mondo delle idee ha un vocabolario milioni di volte più ampio di tutte le enciclopedie, ma non sono parole scritte o parlate. Qualcuno ci ha detto che esiste la meta ma non la strada per raggiungerla. Dipende. La meta è nel mondo delle idee? L’avete già raggiunta. La realtà ci ha deluso tutti. Ci hanno insegnato ad essere infelici, ma forse non l’hanno fatto di proposito. Anch’essi sono infelici perché quegli schemi non li hanno creati loro e ce li impongono con rabbia o con stanchezza.

E c’è chi si chiude in casa col suo cane, chi si porta a letto il mondo, chi telefona a un amico e chi recita un milione di daimoku in una sera accanto ad una fiaccola che sa di limone. I cinema e i bar sono sempre aperti. Bisogna pur far qualcosa per non ascoltare troppo a lungo le lancette dei secondi: quelle che battono vicine al cuore. Qua il tempo è ancora più relativo che da voi. Qua un secondo può essere lungo un miliardo di anni. Qua l’universo nasce e si contrae in un soffio.

Ma forse ci prendiamo troppo sul serio anche qua, e non riusciamo a liberarci dal vizio di cadere nell’estremo opposto, che è poi l’immagine speculare di ciò da cui vogliamo fuggire. Vorremo convincerci di bastare a noi stessi, di essere completi così come siamo, ma i conti continuano a non tornare. Chissà dove diavolo sono andati ‘sti conti. E lei… dov’è andata? Era qui, diammine, nella fantasia di un sogno di baci e carezze. Mi sveglio e chissà dov’è andata. Si è rifugiata nel mondo delle idee, pensavo, ma adesso sono qui anch’io e ancora non la trovo. Avranno bruciato laggiù la sua immagine? Sarà ancora in viaggio il fumo o sarà stato disperso dal niño o mescolato allo scarico di un jet che va a bombardare il regno dei tartari del XXI secolo?

E Marco Polo, perché ci ha raccontato quella storia?

 

 

 

Firenze, 21-24 marzo 2003