Amore e odio

Appunti su Noi e loro di Alex Petrushevsky

 

di Riccardo Lupo

 

Un calcio sfonda la porta chiusa di un appartamento. Il rumore di legno spezzato e le schegge che volano colpiscono per il realismo quasi palpabile. Un uomo armato e mascherato, con una misteriosa e futuribile uniforme nera, irrompe.

Il film si apre dunque con una scena violenta che ci getta in un’atmosfera di attesa e di angoscia, caratteristica dell’intera pellicola di Alex Petrushevsky, molto liberamente tratta da un romanzo di Evgénij Zamjàtin (anche se richiama più le atmosfere dell’orwelliano 1984). Capiamo subito di trovarci di fronte ad uno di quei film non adatti a stomaci delicati, di quelli che ti tengono col fiato sospeso e da cui uscirai con un senso di angoscia claustrofobica che ti accompagnerà per tutta la giornata.

La scena prosegue all’interno dell’appartamento – la colonna sonora, composta di suoni bassi e ovattati su cui si innestano insistenti scatti di lancette di orologio, segna la distanza temporale che separa il momento presente dalla tragedia annunciata. L’ingresso è vuoto. L’uomo tiene stretta la pistola ispezionando una stanza dietro l’altra. In camera da letto trova una giovane donna, un uomo – il marito si capisce – e il figlioletto di pochi mesi, stretti in un abbraccio terrorizzato. Primo piano sul sorriso dello sconosciuto armato. Denti gialli, macchiati di caffè.

Due colpi di pistola, in sequenza.

Improvviso cambio di scena. Un flashback che ci riporta a dieci anni prima, in una città di un imprecisata nazione dell’America Latina, in un futuro altrettanto imprecisato ma non troppo lontano (la pellicola è del 1976, ma conserva ancora bene l’idea di un cupo futuro prossimo). Un ragazzetto timido siede dietro un banco di scuola, davanti al banco della ragazza di cui è segretamente innamorato. Il ragazzo si chiama Pedro, lei Estrella. Lui le osserva la nuca nuda e delicata, rimuginando pensieri facili da intuire. Lei si gira di scatto e gli tira uno schiaffo. E’ il primo indizio dell’appartenenza di lei alla schiera degli ESPER – ecco l’elemento più fantastico che fantascientifico: gli ESPER sono persone in grado di leggere nel pensiero. La comunità ESPER, pacifica e clandestina, vive ancora giorni tranquilli, mescolata alla gente comune. Ma le cose stanno per cambiare. Pedro comprende, durante la festa di compleanno di Estrella – che ironicamente cade il giorno di S.Valentino – che lei è una ESPER e che non lo ama, anzi lo rifiuta duramente. Lui comincia ad odiarla.

Nuovo salto in avanti nel tempo. Dopo il liceo Pedro ed Estrella si perdono di vista. C’è una crisi, una guerra civile. Il popolo è ridotto all’indigenza. Un leader oscuro e carismatico, di stampo hitleriano, sale al potere con un colpo di stato. Come il suo sinistro modello, riesce ad indirizzare il malumore della popolazione – duramente provata da anni di povertà e disordini sociali – verso la comunità ESPER, che nel frattempo si è allargata, ha preso coscienza di sé ed è uscita allo scoperto, anche se per poco. Cominciano le persecuzioni. Viene istituita una milizia speciale, che richiama volutamente le SS, per scovare e giustiziare fino all’ultimo ESPER. Ritroviamo Pedro, di dieci anni più vecchio, con l’uniforme del corpo scelto: bello e hitleriano anch’egli, col cervello pieno della propaganda del Partito, mosso tuttavia da un odio personale devastante.

Abbiamo qui una caratteristica tipica della fantascienza dei paesi dell’est, sebbene in questo caso l’ambientazione sia ispanoamericana – insolita ma non esente da luoghi comuni – cioè la distopia usata a scopo satirico contro il regime. Qui la tirannia è esercitata contro una fetta esigua della popolazione; verrebbe in mente il recente X-men, col tema del rifiuto del diverso, qui però il diverso è completamente indifeso e senza speranza di un riscatto: comprendiamo subito che gli ESPER spariranno dalla faccia della Terra, o almeno dall’immaginaria nazione latina.

Tuttavia, se a centro del romanzo di Zamjàtin c’è l’accusa al regime dittatoriale (accusa rivolta al comunismo degli anni ’20), nel film di Petrushevsky il dittatura è ridotta a sottofondo e quasi pretesto, mentre è centrale il sentimento di amore e poi di odio di Pedro, prima agnello e poi lupo, verso la bella e innocente Estrella – candida e pulita, spaventata dal suo stesso potere – colpevole solo di non amare il protagonista. E’ lecito il sospetto che il vero potere temuto e odiato da Pedro non sia tanto la telepatia quanto il potere di fare innamorare gli uomini.

Il film si dilunga in scene molto lente e fa pochissimo uso di effetti speciali – rimproveri già mossi a suo tempo a Solaris e in generale al cinema russo di fantascienza – sinceramente a tratti noiose (mano al tasto "avanti veloce"), tuttavia è memorabile, oltre alla scena iniziale della famigliola spaventata, anche la ripresa della scena iniziale dopo quasi due ore di "antefatto": vediamo due corpi distesi per terra, occhi sbarrati, un foro di pallottola sulla fronte. Un uomo e un bambino. La donna, che non può avere più di venticinque anni (sappiamo ormai essere Estrella), guarda con orrore i propri cari uccisi senza motivo – loro non sono ESPER – e poi guarda l’uomo responsabile dell’assassinio. L’uomo si toglie infine la maschera. E’ Pedro. Lei lo guarda con gli occhi sbarrati e indecifrabili. Stranamente non c’è odio, ma solo una sorpresa ed una tristezza infinita. C’è quasi perdono. C’è tristezza e fatalismo anche negli occhi di Pedro, non più odio, estintosi tutto nel momento in cui lui ha distrutto la vita di Estrella e lei l’ha tacitamente perdonato. Il sorriso che ammantava il volto di lui si è ormai spento.

Ci aspetteremo a questo punto, se non un lieto fine e una riconciliazione, almeno che il peggio sia passato. Invece c’è il colpo di scena che ci avvia al finale. Lei prende la mano armata di lui. L’accarezza amorevolmente. Punta l’arma al petto. Preme il grilletto. Se lui non ha avuto il coraggio di finire il lavoro, di uccidere il suo primo amore, quel coraggio l’ha avuto lei, per amore di lui. Lei infatti lo ha sempre amato, anche quando l’ha rifiutato al liceo. L’ha rifiutato perché lei non si riteneva all’altezza nella sua diversità. Lui comprende in un attimo tutto questo, e insieme a lui lo sbigottito spettatore, e si punta a sua volta la pistola alla tempia. Un attimo prima che prema il grilletto, si sente una voce femminile – la voce di Estrella – che risuona ancora viva e dolce nella sua mente. Il suo corpo giace sul pavimento, in un lago di sangue che si allarga, ma la sua anima si è trasferita nel corpo di lui e lo accompagnerà fino alla morte; macabra variante del "e vissero felici e contenti" delle fiabe.