Luca Mori, un giovane artista fiorentino, la sua spontaneità, la semplicità del suo linguaggio, il suo carattere genuino, il suo eclettismo vulcanico, la sua allegria, la sua opera multiforme e spiazzante…

I: intervistatore M: Luca Mori

I: Tre domande: perché la scultura? Perché le vignette? Perché il disegno figurativo?

M: Innanzitutto voglio dire che sono ottime domande. Ci sono stati degli indizi durante il liceo artistico; con il colore avevo più difficoltà mentre nel modellato, grazie anche a degli ottimi professori, ho sviluppato molto l’interesse per la creta, per la modellazione, tant’è vero avevo voti alti, e l’interesse per il figurativo che va di pari passo. Ciò mi ha confermato di essere portato per la scultura. Dopo il liceo artistico ero combattuto tra due facoltà: scienze naturali e l’accademia di belle arti. La prima per il mio amore per gli animali; tuttavia lì gli animali vanno studiati a livello scientifico, il comportamento, l’anatomia, e poi magari vai a lavorare in un parco naturale o a insegnare, mentre il mio interesse per gli animali è a livello estetico, artistico. Quando guardo i documentari sono sempre affascinato dalla bellezza di una tigre, di una balena, di uno squalo, tant’è vero che è diventato anche un filone della mia produzione artistica. L’aspetto che mi ha sempre colpito degli animali non è tanto il colore quanto il volume. Lo scultore, a differenza del pittore, vede le cose in volume. E’ vero che esistono anche sculture colorate, però il colore viene dopo. Con la scultura si crea qualcosa che si può toccare: nel caso della creta modellare, nel caso della pietra togliere. Un libro ha un volume, un dipinto no, è bidimensionale. E’ questo ciò che determina l’interesse per la pittura o per la scultura: l’interesse per il bidimensionale o per il tridimensionale. Questa è stata la mia scelta: lavorando la creta ero più contento. Voglio accennare anche al valore terapeutico della scultura; se una persona è chiusa, ha difficoltà a comunicare, tira fuori ciò che prova.

I: Perché le vignette?

M: Il discorso è più complesso rispetto alla scultura. Là c’erano degli indizi, qua c’era un’innata voglia di disegnare vignettistica, cioè la caricatura. Fin da piccolino, all’asilo, vedevo persone e cose deformate, non perché ero malato ma perché mi piaceva vedere negli altri gli aspetti ironici. Se vedevo una persona con il naso lungo, mi piaceva allungarglielo ancora di più. Ciò esprime il mio modo di vivere, l’allegria, la comicità. Ho ricevuto una critica da un mio amico, Andrea Cantucci; lui mi disse "questi disegni sono infantili". E’ vero, io dico, è quella parte del bambino che ho voluto mantenere per cogliere certi aspetti, come il bambino che rimane colpito dalla persona grassa, la persona con il nasone, e la vuol rifare, gli piace perché sembra che il naso suoni come un megafono, mi piace, mi sembra quasi un complimento, perché certi aspetti del bambino sono positivi.

I: Perché il disegno figurativo?

E’ una base scolastica, non una mia ricerca personale. Al liceo avevo la modella, il gesso da rifare, e ovviamente il professore non poteva dirmi "fammi una caricatura del gesso, fammi una caricatura della modella". Si doveva fare le cose in modo realistico, accademico. Poi per contrasto sono diventato un antiaccademico, un po’ alla Dino Campana.

I: Infatti ho visto che nella tua produzione predomina l’astratto sul figurativo. Perché l’astratto?

M: Io ho fatto la tesi su Ugo Guidi, un artista che andava oltre il figurativo. Uno si domanda davanti a un oggetto: c’è solo quella figura lì o c’è qualcosa di più, dietro? Insomma, perché artisti come Kandiski arrivano a fare dipinti con triangoli e linee, rappresentando così il loro mondo? Perché per loro esiste anche un infinito, un qualcosa di più grande; esiste un mistero. La figura accademica è fredda. Se ti fermi a guardare la realtà come se facessi una fotografia, che hai risolto? Riproduci la stessa realtà, e nemmeno uguale identica, ma se nel disegno ci metti la parte tua, i tuoi sentimenti, il tuo stato d’animo, che ha portato Dino Campana alla celebrità. Non era pazzo, non gli bastava più la poesia accademica, voleva andare oltre le regole, come Van Gogh. Genio e sregolatezza, come i poeti maledetti; ubriachi, suicidi, eccetera. Facevano una vita degenerata.

I: Si può quindi fare un parallelo tra poesia e arti visive?

M: Di sicuro. Certe poesie descrivono come dipinti la realtà.

I: Quali sono i tuoi "maestri"?

M: Per la scultura, Marino Marini, grande scultore di Pistoia, che andava oltre la figuratività. Spesso la gente dice "In queste sculture non si capisce niente". E’ vero! Non si deve capire niente, perché solo l’artista è capace di sapere cos’è quella scultura. Molta arte contemporanea si capisce a malapena, perché quando l’artista vuole dare un certo messaggio lo fa con i suoi mezzi e sentimenti, non sempre recepibili, spero che tu mi faccia la domanda su arte e comunicazione.

I: Qual è il legame tra arte e comunicazione?

M: Non sempre arte è comunicazione. Vai a una mostra e dici "qui ci ho capito poco", allora va via la comunicazione. Scopo della comunicazione è rendere comunicabile la cosa al pubblico, anche ignorante. Se il pubblico ignorante dice "io ho capito poco e nulla", c’è l’arte ma non la comunicazione. Se guardi le opere di Marino Marini e dici "boh, che l’è? Per me sono sassi…"

I: Ma non comunicano nulla?

M: Il problema è non solo trasmettere qualcosa di tuo nell’opera, ma gli altri la devono capire. Ora, aprendo una parentesi, in uno spettacolo ho fatto uno sputacchio [si riferisce alla perfomance promossa da Porpore, nel gennaio 2003, in cui l’artista ha preso parte come attore]: questa cosa l’hanno capita, perché lì c’era arte e comunicazione: una cosa che tutti conoscono, fatta in chiave comica, allora la gente rideva. C’era una forte comunicazione. Tutti capivano che facevo una parte comica, era molto evidente. Ritornando al discorso di prima, nella scultura non sempre si ottiene lo scopo di far capire al mondo quello che hai voluto dire con l’opera stessa.

I: Quali sono i tuoi maestri per le vignette?

M: Direi Sergio Staino.

I: E per il disegno?

M: Michelangelo Buonarroti.

I: Accidenti, da Sergio Staino a Michelangelo!

M. E va bè, per il disegno tanto di cappello a Michelangelo!

I: Una breve cronologia delle tue opere. Quando hai cominciato a scolpire? Le tue opere più rappresentative? Vedo poi che hai delle foto, me le commenterai poi.

M: Ho cominciato al liceo artistico, nella seconda liceo.

I: La tua prima opera?

M: Non me la ricordo.

I: Opere rappresentative?

M: Si collocano negli ultimi due anni che ho trascorso al Carrara, all’accademia di belle arti, che per me toccano l’apice. Rivedo un’analogia con Michelangelo, che lavorò a Firenze e andava a prendere il marmo a Carrara. Vedere queste Apuane, questo marmo, anche se poi sono andato a lavorare la pietra arenaria. Certo oggigiorno rispetto a Firenze a Carrara è sentita moltissimo la scultura, soprattutto nella vicina Pietrasanta. Per me sono stati molto importanti gli ultimi due anni a Carrara. Tra le mie opere più rappresentative voglio parlare del "Coccodrillo". Quest’opera ha una storia incredibile, pazzesca, come Godzilla, King Kong…

I: Perché ti attira il coccodrillo?

M: E’ una cosa particolare: quanti artisti hanno rappresentato il coccodrillo? Sì, c’è Girolamo Ciulla, però in fin dei conti il coccodrillo non è molto bello a vedersi: è squamoso, aggressivo, non è una bella donna… Io scrissi una poesia, "Vorrei essere un coccodrillo":

Vorrei essere un coccodrillo,
non un madrillo,
per nuotare quando ne ho voglia
e stare a terra quando mi pare.
Riposarmi sotto il sole,
godermi il suo calore,
mangiarmi un cacciatore
mentre passa un treno a vapore
senza preoccuparmi del passare delle ore.

Ad un certo punto mi sono detto: io ho un miliardo di problemi, di gente che mi mette sotto, di gente arrogante… mentre bene o male il coccodrillo non ha rivali. Questo mi ha sempre colpito, che il coccodrillo nel suo habitat non ha rivali, è il più forte tra gli animali. Questo mi ha affascinato, insieme alla forma, che ricorda molto i dinosauri. Io ho amato quel periodo artistico chiamato primitivismo, artisti che si rifanno all’arte primitiva, un ritorno al passato, alle origini. Il coccodrillo è rimasto uguale a sé stesso per molto tempo. Poi queste squame, questi incastri… ho detto: quasi quasi faccio un’opera cubista. Altro artista che ho amato: Picasso, perché Picasso definisce l’epoca contemporanea, ha capito che in quest’epoca frantumata dagli orrori, disunita nei valori, non si può fare una cosa tutta unita, no, bisogna fare qualcosa di frammentario, un collage. Lui riassume l’idea dell’uomo contemporaneo: un uomo stordito, preso dalle guerre, come in "Guernica". Così ho voluto frantumare questo coccodrillo, diventato simbolo dell’epoca contemporanea.

I: Altre opere?

M: Il "cane". Il mio amore per i cani è pazzesco. Io questo cane l’ho visto, l’ho fotografato a Carrara. Il mio professore guarda quest’opera e fa: "Bè, ma questo sembra la ‘Belva’", ed io gli fo: "Mah, belva, ma che belva…" e lui: "Piglia e va’ di corsa in biblioteca e va’ vedere la ‘Belva’ di Ugo Guidi". Ugo Guidi era il professore del mio professore. Da qui è nato l’argomento della mia tesi. Altra opera di cui voglio brevemente parlare è "Il Grido", che ho realizzato in due opere: "Grido 1" e "Grido 2". Il primo è il grido esistenziale di un uomo che cerca un significato, il secondo è la riscoperta dell’arte etrusca. E’ il grido di Munch, dell’esistenzialismo. L’uomo ha bisogno di gridare nella sua ricerca. Altri animali nelle mie opere… le mucche. Il mio fascino per gli animali ha toccato il suo apice con le mucche, perché sono andato a disegnare questi animali dal vivo, al contrario del coccodrillo ed altri animali. Sono andato nel Mugello con i miei genitori ad osservarle e disegnarle dal vivo.

I: Quale è stata la tua ultima scultura?

M: E’ "l’Ariete", risale all’ultimo anno di accademia.

I: Perché dopo hai abbandonato la scultura?

M: Perché dopo l’accademia non ho trovato motivazioni. Innanzitutto mi manca un laboratorio, poi c’è il problema dell’inserimento nel mondo del lavoro. Con l’accademia è molto difficile trovare lavoro, a meno che uno non si trasferisca a Carrara, ma l’appartamento costa…

I: Ma è venuto anche meno l’interesse da parte tua?

M: No, l’interesse ci sarebbe, ma bisogna fare i conti anche con la praticità, domandarsi "che ci campo"… non hai nulla di assicurato.

I: Ultima domanda sulla scultura: quale materiale prediligi e perche.

M: I materiali sono due: la creta e la pietra. Il marmo è troppo duro.

I: Passiamo alle vignette. A differenza della scultura, le vignette sono andate avanti.

M: Grazie all’associazione con la poesia. Prima le vignette da sole non sapevano di nulla, poi da quando ho cominciato a scrivere poesie ho sperimentato questo abbinamento interessante, vorrei fare una contaminazione tra le arti.

I: Quale è stato in campo artistico il tuo più grande successo?

M: Le vignette per "Il Grillo Fiorentino", è una rivista distribuita gratuitamente nelle case. Mi pagarono 50.000 lire per cinque strisce, quando ero al liceo artistico. La mia prima attività artistica retribuita. A parte questo con l’arte non ho mai fatto né una lira né un euro. Con la poesia ho guadagnato un caffè leggendo poesie alle Giubbe Rosse e un pasto all’Eliott Braun.

I: Delusioni?

M: La scultura che l’è bloccata, non si riesce a trovare uno sbocco.

I: Progetti futuri?

M: Matrimonio.

I: In campo artistico?

M: Bè, è una cosa artistica anche quella, ma tornando alle cose serie mi piacerebbe un tour di letture di poesie.

I: Nel campo delle arti visive?

M: Devo sentire un’associazione, Vivere Insieme, che usa l’arte a scopo terapeutico e umanitario.

I: Ci riallacciamo così al discorso iniziale sul valore terapeutico dell’arte.

M: Sì, un aiuto alternativo alle pasticche. Purtroppo l’arteterapia è poco conosciuta. Non che risolva tutti i problemi, però ti aiuta; il teatro in modo particolare.

 

OPERE DI LUCA MORI

    Il coccodrillo

    Il cane

    Il grido 1

    Il grido 2

    L'ariete